THE FIRST NIGHT IN BUFFALO

Il 17 agosto 1882 sono passati appena tre giorni da quando il trentaduenne pettinaio di tela Giuseppe Manfredi è tornato dall’America e a Carpanzano non si parla d’altro che delle possibili vendette pendenti sulla sua testa. Anche il Sindaco del paese è furibondo e scrive una lettera di fuoco al Prefetto:
Trovando inconcepibile che le Autorità Consolari avessero permesso il ritorno nello Stato senza alcuna sorta di recapiti al controscritto individuo notoriamente incolpato di avere, or volgendo alquanti mesi, ucciso in New York il proprio fratello Angelo Manfredi; e poco serio d’altronde quel ch’egli si studia di persuadere di essere cioè stato assolto da quella Autorità Giudiziaria perché accertato di avere agito in un momento di disordine mentale, disordine di cui per altro non offre alcun segno e che perciò lo han lasciato liberamente, e senza veruna ingiunzione, ritornare in patria ed in ultimo perché le molteplici contradizioni in cui è caduto e per sottrarlo alle ingiuste ed arbitrarie violenze della vedova dell’estinto e dei congiunti di lei, di cui si hanno fondatissimi motivi di temere. Ho trovato opportuno farlo assicurare e tradurre innanzi a lei a mezzo dell’Arma dei R. Carabinieri per tutti quei provvedimenti che stimerà del caso e perché usando dei maggiori mezzi di cui dispone, si possa venire in conoscenza della verità dei fatti.
Accidenti!
Il Prefetto fa interrogare Giuseppe Manfredi il quale confessa di aver davvero ucciso suo fratello Angelo con una coltellata il 19 marzo a Buffalo, di essere stato arrestato e poi mandato in un manicomio dove lo hanno riconosciuto pazzo e quindi gratuitamente lo imbarcarono in un legno Inglese e dopo un mese di viaggio, sbarcato a Napoli, se ne tornò a Carpanzano.
Sembra davvero una barzelletta. Il reato è stato davvero commesso o sono le solite notizie che attraversando l’oceano cambiano completamente il senso? Esiste, per esempio presso il Ministero per gli Affari Esteri, una notizia di reato? Non ci sono che due cose da fare: la prima è interrogare la vedova o presunta tale; la seconda è scrivere al Ministero per saperne di più, insistendo molto sulla questione dell’ordine pubblico. Intanto Giuseppe viene rimesso in libertà perché non ci sono elementi per trattenerlo in carcere.
– Mio marito Angelo partì per l’America con suo fratello Giuseppe e altri paesani nel mese di gennaio scorso in cerca di lavoro. Da una lettera scritta da Salvatore Sacco alla di lui moglie appresi che il predetto mio marito era stato ucciso con un colpo di coltello dal fratello. Oltre di tale notizia null’altro ne seppi
La lettera di informazioni fatta dal Prefetto al Ministero per gli Affari Esteri richiede tempi lunghi: in Italia non risulta niente e un paio di lettere scritte al Console italiano a New York non hanno riscontro positivo per la mancata risposta delle autorità di Buffalo. Anzi, il Ministro, forse spazientito dalle pressanti richieste del Prefetto che vanno avanti da mesi, per accelerare la pratica il 18 gennaio 1883 propone: Se codesta R. Prefettura credesse di guarentire la spesa necessaria, potrebbe il prefato R. Console inviare sui luoghi persona per accertare il fatto ed assumere prove.
Viene chiesto un parere sul da farsi anche al Ministero dell’Interno che risponde: Le dichiarazioni fatte dal Giuseppe Manfredi costituiscono un elemento sufficiente per poter promuovere a di lui carico un procedimento penale a termini del vigente codice penale.
Viene emesso un mandato di comparizione per Giuseppe, ma adesso nessuno sa dove si trovi perché è da parecchio tempo assente dal paese per assolvere il suo mestiere di pettinatore di tela.
Intanto passano altri mesi e finalmente arrivano le prime notizie dall’America: il District Attorney della città di Buffalo conferma in pieno il racconto fatto da Giuseppe e aggiunge che questi fu consegnato al signor Carl H. Fuller, soprintendente dei poveri della contea dell’Erie, che provvide al suo rimpatrio. A stretto giro di posta arriva anche l’intero incartamento originale riguardante tutta la vicenda, corredato da una traduzione giurata. Adesso si che le cose possono essere completamente chiarite!
Angelo e Giuseppe Manfredi, insieme ai compaesani Salvatore Sacco, Vincenzo Manfredi e Pasquale Lamanna arrivano a New York a bordo della nave Caledonia e sbarcano il 28 febbraio 1882; dopo alcuni giorni di permanenza nella metropoli, arrivano tutti insieme a Buffalo il sabato 17 marzo successivo e, secondo le indicazioni ricevute, trovano un alloggio provvisorio nell’Osteria Italiana di Boiler Street, gestita da tale Giuseppe Nardella, dove arrivano dopo le otto di sera. Il piano terra del fabbricato è occupato dal gestore, mentre al primo piano ci sono le stanze per i clienti; la sistemazione non è delle migliori perché i letti, se così si possono chiamare, sono fatti di tavole inchiodate e senza materassi.
Dapprima vidi Angelo che girava per la stanza con del denaro ed un orologio in mano. Questo denaro e l’orologio erano di Angelo e Giuseppe glieli aveva levati di tasca – racconta Vincenzo Manfredi al Coroner Joseph Fowler che si occupa del caso.
Durante la notte Angelo si alzò e, andando verso Giuseppe, disse che voleva i suoi 10 dollari e l’orologio. Anche poco avanti avevano questionato e Giuseppe disse che aspettasse fino all’indomani ed allora gli avrebbe dato la metà – dice Pasquale Lamanna. In realtà si trattava di 20 dollari, 10 di Angelo e 10 di Giuseppe ed i due fratelli avevano stabilito che li dovesse custodire Angelo. Ecco perché Lamanna riferisce che Giuseppe gli avrebbe dato la metà –. Angelo non voleva far ciò e guardò nelle tasche per vedere se vi aveva il denaro e non ce lo trovò. Angelo disse a Giuseppe di averlo veduto prendere la roba di tasca. Giuseppe rispose che non aveva la roba di lui, quando Angelo gli tirò un pugno.
Gli tirò un pugno nella testa – continua Vincenzo Manfredi – allora Giuseppe si alzò e ferì Angelo con un coltello. Giuseppe quindi si coricò. Angelo portò la mano alla ferita e scese giù per le scale a chiamare il padrone dell’osteria che era a letto, dicendogli: “mio fratello mi ha ucciso”.
Alle 6 ½  della mattina Angelo scese giù tenendosi la mano sul ventre e mi disse che suo fratello lo aveva ferito con un coltello – racconta Giuseppe Nardella –. Si stese giù in cucina e vi rimase. Venne una Guardia di polizia ed io salii con essa. Vidi Giuseppe nudo a letto che faceva la vista di dormire. La Guardia lo tirò su e dopo che si fu vestito lo condusse abbasso. Raccontò che Angelo gli aveva tirato un pugno sul viso e che così lo aveva ferito. Giuseppe non vide suo fratello quando scese giù. Angelo mi disse che Giuseppe gli aveva portato via il denaro e l’orologio.
Sono medico chirurgo ed abito in Main Street – attacca il dottor G. Stone Armstrong –. Fui chiamato verso le 4 pomeridiane in via Boiler per visitare uno che si diceva essere stato ferito. Trovai un italiano seduto su uno scranno che si lamentava e parlava con degli altri italiani. Alzatosi la camicia, osservai che gl’intestini gli uscivano fuori da una ferita. La ferita era nella regione inguinale sinistra e lunga da un pollice e ¼ fino a due pollici e ¼ (da 3 a 5,7 cm circa. Nda) ed era un’incisione netta. Parte delle 3 matasse intestinali sporgevano fuori ed erano divenute fredde dallo essere esposte. Collocai l’individuo sul sofà per rimettergliele a posto e non riuscendo a far ciò senza allargare la incisione, mandai a prendere del cloroformio e addormentai il ferito, quindi allargai la incisione ½ pollice circa all’esterno e così mi riuscì far rientrare gli intestini. Per quanto potei osservare gl’intestini non erano lesi. Cercai se vi fosse qualche ferita ma non ve la trovai. La cavità addominale era naturalmente ripiena di sangue e poteva contenerne da 10 a 15 once (da 30 a 45 cl circa. Nda). Feci tre suture, accomodai il ferito fasciandolo ed ordinai che fosse trasportato al General Hospital. Il polso del ferito continuò ad accelerare i battiti; le pulsazioni fino a 130, deboli. Nel tempo che rimasi colà, 10 minuti circa, il malato accennava a migliorare.
Giuseppe Manfredi viene arrestato e Angelo muore.
Secondo il mio parere quell’uomo è morto di peritonite causata dalla lesione dell’addome. La emorragia proveniva dall’arteria epigastrica che era tagliata al punto di congiunzione del terzo inferiore col medio – attesta il dottor Arthur M. Barker che ha eseguito l’autopsia.
Il comportamento tenuto in carcere di Giuseppe e la dichiarazione del suo paesano Vincenzo Manfredi: “Giuseppe era stato più volte in manicomio ed era stato riconosciuto e confermato pazzo. La madre di Giuseppe e Angelo era pazza”, induce il Coroner a ordinare una perizia psichiatrica. I dottori Samuel G.  Dorr, William D. Granger e G. Stone Armstrong sono incaricati della perizia e cominciano a osservare Giuseppe in carcere.
All’epoca in cui si trovava detenuto in prigione faceva discorsi incoerenti, soffriva d’insonnia e di anoressia, rimanendo in tale stato in carcere finché non gli fu somministrata una larga dose di potassa, idrato bromico e clorico, dopo di che poté dormire. Dopo aver dormito, la sua sovraeccitazione si calmò ed allora procedemmo all’esame. Ci raccontò di aver tentato di ferire in Italia la moglie di suo fratello e domandatogli il perché, ci disse la stessa risposta dataci quando gli chiedemmo perché aveva rubato l’orologio e il denaro di suo fratello: “lo avevo fatto per celia”. Tutte le persone venute con lui sono concordi nell’affermare che egli fu sempre considerato “light headed”, scemo – riferisce il dottor Dorr.
Secondo la mia opinione quell’uomo era pazzo. La statura è mingherlina, appena 5 piedi, ha la faccia piccola, la fronte bassa e la testa bassa e schiacciata; non riuscì ad imparare né a leggere né a scrivere, sebbene ne avesse il mezzo. Faceva chiasso come un ragazzo ma i suoi amici riferiscono di non averlo mai veduto vivace ed allegro. Domandatogli se fosse mai stato malato rispondeva: “si, alla testa”, dolori alla testa come se gliela tagliassero, che la violenza del male alla testa durava da 20 a 30 giorni per volta, che vedeva ogni cosa di sotto in su e non sapeva se era giorno o notte; credeva di aver dato fuoco ad una casa ed era di notte, mentre tal cosa non era avvenuta. Ritengo che questo fosse il principio della sua follia ed un attacco di mania acuta. Un anno o due indietro divisero i beni fra fratelli e sorelle. Il perito, egli stesso e suo fratello furono avvelenati quella sera ed egli questionò con suo fratello mordendogli un labbro. Dopo questo fatto visse ritirato in un’altra casa solo, ma vicino a suo fratello, cuocendo i cibi da sé. Tale è lo stato del demente cronico. Egli fu tanto incoerente Domenica, quando era in carcere, che l’interprete non poté rilevare nulla altro che voleva uccidere suo fratello e desiderava tagliargli la gola. Io dunque lo ritengo demente, e per il racconto che fece del ferimento, e per i sentimenti espressi circa la morte di suo fratello. Non conosce la gravità del delitto commesso e semplicemente dice che gli rincresce che suo fratello sia morto. Non è in grado di calcolare la natura del fatto, che secondo il mio parere è una prova dell’alterazione mentale da cui è affetto. Considero il caso come follia cronica con periodi di disturbi maniaci e ritengo che egli abbia ucciso il fratello in uno di tali parossismi. Credo che una cura migliorerebbe il suo stato di mente, ma non vedo probabilità di risanamento e non vedo che potrà mai essere una persona completamente assennata – certifica il dottor Granger.
Dal suo contegno tenuto dopo l’arresto, riterrei che fosse matto: cantava, urlava incoerentemente, fischiava. In quell’epoca non poteva apprezzare il delitto commesso. Confessava candidamente di aver ferito il fratello ed era spiacente di avergli tagliato la gola mentre era sveglio. Col suo contegno in presenza del fratello morto fece chiaramente scorgere che non era in grado di valutare la gravità di quanto aveva fatto. Quando gli parlammo del ferimento si esaltò moltissimo. Ritengo trattarsi di demenza cronica e che quando commise l’omicidio egli era pazzo. Non credo che guarirà mai, ritengo che sia una persona pericolosa da schivarsi – giura il dottor Armstrong.
È il 28 marzo 1882 e se le cose stanno davvero così, per il Coroner Fowler e la giuria che deve decidere sul caso, è tutto semplice: lo Stato di New York non spenderà un cent per ospitare Giuseppe Manfredi in un ospedale psichiatrico.
I giurati dicono che Giuseppe Manfredi è pazzo e di mente scema; che nel momento in cui irrogò detta lesione al corpo del prefato Angelo Manfredi era demente; sembra inoltre ai predetti Giurati che detto Giuseppe Manfredi era pazzo prima di abbandonare il suo paese in Italia circa il 24 gennaio 1882, raccomandando che le Autorità competenti provvedano a che sia rinviato al paese natale immediatamente.
E, come abbiamo già visto, così è stato.
Ma adesso, secondo le indicazioni del Ministero dell’Interno, è la Giustizia italiana a doversi occupare di Giuseppe Manfredi e sono passati ormai più di due anni e mezzo dall’omicidio quando, il 24 ottobre 1885, dopo che non è stato compiuto alcun atto formale di verifica sulle circostanze emerse durante l’inchiesta americana, né in merito alle condizioni mentali dell’imputato, né sulla corrispondenza o meno dei due ordinamenti giuridici per capire come procedere, la Camera di Consiglio del Tribunale Correzionale di Cosenza, candidamente, si esprime in merito:
Atteso che, a prescindere dalla considerazione se la formale terminativa dell’Istruttoria penale condotta nello stato di New York equivale ad un provvedimento definitivo, a senso dell’art. 10 del vigente Codice Penale, nel qual caso non si potrebbe più provvedere a carico del prevenuto Giuseppe Manfredi, pur tuttavolta non si può disconoscere che per i risultati sia di quella istruzione che dell’altra svoltasi nel Regno va dimostrato che l’imputato Manfredi all’epoca del commesso reato era in istato di pazzia. Se egli, adunque, quando commise l’omicidio trovavasi in istato di privazione di mente, giusto il disposto dell’art. 94 detto Codice, le provvidenze a darsi nel caso in esame sono quelle consigliate dall’art. 250 del C. di P.P.
Dichiara
Per inesistenza di reato non farsi luogo a procedimento penale contro Manfredi Giuseppe pel crimine surriferito. [1]
Inesistenza di reato? Complimenti.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento