LA PESTE ALLE PORTE DI COSENZA di Matteo Dalena

«Che Dio, se esiste, ce ne liberi» esclama il direttore, nell’unico stanzone della redazione de La Sinistra, corriere di Cosenza fondato da Luigi Bartelli, dopo aver ricevuto la visita di un delegato provinciale. C’è da scrivere in fretta un pezzo sulle prescrizioni, gli obblighi, i divieti e mandare tutto in stampa. «Peste bubonica». Due parole, secche e senza sconti aprono così l’edizione del 14 ottobre 1901. Si parla di disinfezioni radicali, isolamento, fuoco, soldati e, addirittura, della predisposizione di un luogo il cui solo nome, all’alba del Novecento, fa accapponare la pelle: lazzaretto.
La notizia della possibilità un focolaio di peste bubbonica a Figline Vegliaturo, piccolo borgo della Valle Savuto in provincia di Cosenza, era rimbalzata già all’indomani dello spaventoso incendio di corso Telesio (PIOMBO E FUOCO A PIAZZA DUOMO – clicca per leggere). Il rogo divampato nell’armeria di Clemente Rija al pianterreno del palazzo Giannuzzi-Savelli aveva letteralmente devastato i primi due piani dello stesso edificio, abitati dai fratelli Luigi e Vincenzo Tafuri, il terzo di proprietà del marchese Andreotti e prodotto danno enorme anche al quarto, abitato dal medico provinciale Domenico Migliori.
I DIARI DI MIGLIORI | Figlio del più noto Felice, Domenico rappresenta una più d’una speranza per la scienza medica cosentina (qualche anno più tardi lavorerà gomito a gomito del piemontese Bartolomeo Gosio nelle campagne di eradicazione della malaria). Al momento del rogo Migliori non è in casa. Richiamato a Figline con somma urgenza annota quanto segue:
«Oggi, 28 settembre 1901, mentre divampano ancora le ultime fiamme dello spaventevole incendio, che ha lasciato triste ricordo nella città di Cosenza, gli ufficiali sanitari di Figline [i dottori Gaetano De Majo e Francesco Sicilia, nda] denunziavano di persona a questo Medico Provinciale trovarsi in quel paese, in una famiglia rimpatriata dalle Americhe e transitata per Napoli, tre persone ammalate, due delle quali gravemente con forme sospette di peste bubbonica».
A guidare la penna del giovane medico è anzitutto la preoccupazione che avere la peste alle porte di Cosenza, significava vederla già trapiantata in città da dove, per le importanti e rapide comunicazioni, costituiva una grave minaccia per la intera nostra provincia. A Figline intanto si formano gruppi di preghiera e dolore al fine allontanare lo spettro della “morte nera” – annota Migliori – il cui solo nome suonava nella credenza delle nostre popolazioni imminente strage di vite umane. I diari della profilassi parlano di azione pronta ed energica, isolamento degl’infermi sospetti con le persone venute a loro contatto, infine praticate efficaci abbondanti disinfezione.
FROM AMERICA TO FIGLINE | Incubati da masse umane in movimento sui vapori della speranza, nuovi e vecchi bacilli passano da un continente all’altro insieme alla miseria più nera. Proveniente da Callispillo negli States, la famiglia d’un tal Marino – marito, moglie e cinque figli – aveva attraversato in treno l’intero continente: San Paolo, Chicago, New York. La traversata oceanica a bordo del “Nuova Sicilia” li conduce, praticamente disfatti, in una Napoli funestata da una strana malattia scoppiata nelle fetide locande della marina e nei vecchi quartieri. Quest’ultimi, a detta del Migliori, fornirono il primo contingente di vittime alla infezione pestosa. La stessa riscontrata dai Marino nello Stato di Callispillo. Rientrati a Figline Vegliaturo, tutti i componenti della famiglia vengono colti da febbri altissime accompagnate da sintomi speciali e sospetti«I più gravemente colpiti caddero in stato comatoso – scrive Migliori – ed in tutti poi si notarono ingorghi glandulari ed esterni cutanei emorragici; alle quali manifestazione morbose tennero dietro localizzamenti sulle mucose respiratorie e digerenti, ed in uno degli infermi sulla sierosa peritoneale».
Constatati i diversi caratteri comuni tra la malattia di natura infettiva e diffusiva che aveva colpito la famiglia Marino e la tipica infezione bubbonica, Domenico Migliori ordina la cura coercitiva la scrupolosa vigilanza del decorso della malattia e l’impiego di tutti i mezzi scientifici valevoli ad accertare la vera natura del male.
“QUELLA COSA” | Terrorifica, per questo innominabile. Il settimanale La Lotta gira attorno all’incombente pericolo peste senza mai nominarla esplicitamente. Così, mentre il caso o l’affare di Figline accende diatribe giornalistiche sulla validità delle fonti circondate d’ogni possibile garanzia di segretezza, le notizie giunte dal paese non fanno ben sperare. I componenti della famiglia Marino vengono trasferiti in due diverse case di campagna e posti in quarantena, mentre in paese le misure prese finora sono quelle che la scienza e il buon senso consigliano, esse si riassumono in un solo provvedimento ritenuto il più efficace: l’isolamento, e saranno seguite da un altro che è compreso fra i disinfettanti più sicuri: il fuoco. A preoccupare sono però le condizioni di due dei cinque figli del Marino: colti da eruzioni cutanee purpuree, forme pulmonari e gastrointestinali, febbri altissime, in un caso ben oltre i 40 gradi, entrambi presentano delle tumefazioni all’inguine che hanno una certa somiglianza coi bubboni. Il sito ritenuto infetto viene guardato a vista giorno e notte da un buon numero di Carabinieri allo scopo di tenere in custodia le case dove sono ricoverati gli infermi e le loro famiglie e di proibire, con ogni mezzo che alcuno ne uscisse e che gli estranei si avvicinassero. Il Consigliere provinciale Vaccaro intanto telegrafa al Ministero sulla necessità di siero antipestoso per ogni precauzione e disinfettanti. Al Vallo, il casino di Florio viene adibito a lazzaretto, mentre in attesa del responso del Consiglio sanitario il panico pervade l’intera provincia. 
CAVIE | Nell’assoluta mancanza di notizie, Migliori viene bersagliato dalle critiche: Alcuni ci dicono che il medico provinciale non dorma sonni tranquilli circa la certezza della tanto aspettata diagnosi – scrive La Lotta – anche se si vocifera di analisi di sangue e colture batteriologiche già eseguite. Domenico Migliori, assistito dai due medici locali De Majo e Sicilia e, in seconda battuta, dal professor Luigi Tavernari del Ministero dell’Interno, visita i pazienti sotto cura coercitiva e annota tutto, giorno per giorno, mentre le colture bacillari preparate in laboratorio vengono inoculate a topi e conigli. Il responso è alla fine quello che l’intera provincia attende ormai da giorni:
I caratteri colturali se mostravano dei punti comuni con quelli del bacillo della peste, se ne differenziavano poi nettamente per la forma dei batterii e pel modo di comportarsi con i processi di coloramento […] Data quindi la parte importantissima che hanno gli streptococchi nella patogenesi è lecito il concludere che alla loro azione, forse associata a quella dell’altro bacillo isolato, sia dovuta la malattia argomento della presente nota.
Nessuna epidemia di peste, nessun decesso. Nonostante un paese isolato e una famiglia in quarantena, i figli del Marino ritornano lentamente in salute. E al medico provinciale, assurto ad immortalità – scrive La Lotta – non rimane che rivolgersi ai propri detrattori:
Legittime erano le preoccupazioni, e la necessità di risolvere i dubbi insorti. Ed anziché da pretenzioso empirismo, doveasi invocare il responso infallibile dalla tecnica scientifica moderna (Domenico Migliori, 20 dicembre 1901).
Per approfondire:
La Lotta, giornale settimanale, Anno XIII, nn. 27 e 28 – 30 settembre 1901, L’affare di Figline
– 6 ottobre 1901, Il caso di Figline
La Sinistra, corriere di Cosenza fondato da Luigi Bartelli, edizioni: – 14 ottobre 1901, Peste bubonica
Domenico Migliori, A proposito dei casi sospetti casi di peste in Figline Vegliaturo. Contributo agli studi sperimentali sulle simbiosi batteriche con particolare riguardo alle streptococche, Tip. Riccio, Cosenza, 1901.

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