LA GROTTA DELLA PALOMBA

Tonino Russo ha 8 anni e abita a Grisolia. La mattina del 28 gennaio 1913 suo padre, come spesso accade, gli affida la loro pecora e il loro agnello per portarli al pascolo. Quella mattina Tonino sale sulla montagna alle spalle del paese con il quindicenne Gaetano Caputo, che custodisce un gregge di una cinquantina di pecore. Tonino e Gaetano se ne stanno tutta la mattina seduti sotto un albero a guardare gli animali, poi verso mezzogiorno Gaetano si arrampica lungo una zona scoscesa ed entra in una grotta che tutti chiamano la grotta della palomba.
– Tonino! Tonino! Sali qua che ti faccio vedere una cosa.
– Cosa?
– Sali!
Tonino, nulla sospettando, si arrampica sulle rocce ed entra nella grotta dove lo aspetta Gaetano.
– Che mi devi far vedere? – fa Tonino guardandosi intorno.
– Vieni qua – Gaetano lo invita a raggiungerlo in fondo alla grotta. Tonino percorre il breve spazio e, una volta accanto all’amico viene abbrancato. Gaetano è troppo più forte, con una veloce manovra gli slaccia la cintura dei calzoni e, dopo averglieli abbassati, lo scaraventa a terra a faccia in giù. Tonino urla ma lì nessuno può sentirlo. Gaetano con una mano tiene giù il bambino e con l’altra si sbottona i calzoni mostrando la sua asta virile in grande erezione, poi si inginocchia sulla sua vittima.
Il grido di dolore di Tonino è straziante. Vorrebbe ribellarsi ma la mano di Gaetano che gli preme sul centro della schiena gli impedisce qualsiasi movimento. Percepisce distintamente l’aggressore muoversi avanti e indietro e una fitta di dolore ogni volta che Gaetano gli sbatte contro. Dopo che l’aggressore emette una specie di grugnito, Tonino sente che i colpi cessano,  l’asta virile di Gaetano si affloscia e adesso è libero.
– Non dire niente a nessuno se no sono guai per te…
Tonino si alza i calzoni e sente un rivolo di sangue scendergli lungo le gambe. Se ne torna piangendo in silenzio sotto l’albero. Vorrebbe tornare a casa, ma i suoi animali si sono allontanati e sente troppo dolore per andare a riprenderli, così decide di aspettare sperando di sentirsi meglio e quindi andarsene.
Chiude gli occhi cedendo alla stanchezza ed è proprio in questo momento che Gaetano lo abbranca di nuovo, se lo carica sulle spalle come se fosse un agnello e lo riporta nella grotta, violentandolo brutalmente di nuovo, poi se ne va lasciando il bambino stremato e in preda a un pianto dirotto.
Tonino non dice niente ai genitori per paura delle busse. Non mangia, non parla e non cammina per un paio di giorni, poi finalmente dice tutto alla mamma e al papà, che va subito a chiamare un medico il quale conferma le parole del bambino: si, la violenza brutale c’è stata. Domenico Russo, il papà di Tonino corre dai Carabinieri a denunciare l’accaduto con il certificato medico in mano e i militari vanno subito a prendere Gaetano.
Nel giorno 28 entrai col Russo nella grotta, ovvero in uno di quei vuoti che presentansi nel monte. Il Russo, allora, propose che osservassimo chi di noi due avesse l’asta virile più grossa. Accettai la proposta e fu così che ognun di noi mise fuori la propria asta.  Constatazione comune fu che il Russo avesse l’asta più grande della mia. Egli disse: “Tu sei più grande di me ed io ho l’asta più grande della tua”
– Poi lo hai preso, gli hai tolto i calzoni e l’hai violentato per ben due volte! – gli urla in faccia il Carabiniere Vito Muti, reggente della stazione di Grisolia.
Non è vero che io gli abbia aperto i calzoni e lo abbia violentato due volte!
– E allora chi è stato?
– Io sono innocente…
Per Gaetano viene emesso un ordine di carcerazione e il 4 giugno 1913 la Sezione d’Accusa lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise per essersi, con atti esecutivi della medesima risoluzione, congiunto carnalmente per due volte alla distanza di qualche ora con Russo Antonio, di età inferiore agli anni dodici, dal quale fatto derivò, al Russo medesimo, una lesione all’orificio anale, con conseguenza di malattia guarita in giorni quindici.
Il 29 aprile 1914, la Corte d’Assise di Cosenza, davanti alla richiesta del Pubblico Ministero di condannare l’imputato a venti mesi di reclusione, non riconoscendo l’aggravante della lesione prodotta a Tonino, lo condanna a quindici mesi di reclusione.[1]

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

Lascia il primo commento

Lascia un commento