SANGUE TRA LE CASTAGNE

Ottobre, tempo di castagne.

La mattina del 12 ottobre 1884 Vincenzo De Vita, 68 anni da Lappano, insieme con la moglie Maria Porcaro va nel suo castagneto in contrada Funtana du’Ncinu per tagliare i filici, le felci, che userà per conservare mele e pere nella prossima stagione iemale, e pulire, così, il terreno su cui cadranno i ricci.

Ma trova una sorpresa: il suo vicino Antonio De Marco gli ha appena rubato alcune castagne, riempiendo il vuoto del suo cappello.

Tu dunque non vuoi finirla! – lo rimprovera De Vita, sospettando che sia proprio il suo vicino ad avere rubato in passato la sua roba. Ma De Marco è un po’ duro d’orecchi e interpreta male le parole e risponde peggio:

– Che vuoi, porco e merda?

Vatinne, vattene pei fatti tuoi – De Vita resta calmo, poi si gira per mettersi al lavoro. Chissà cosa capisce De Marco perché all’improvviso si avventa sull’avversario e lo colpisce alla testa con la zappetta che ha in mano. De Vita si gira e riceve un altro colpo sotto l’occhio sinistro mentre abbranca il suo aggressore.

I due cadono a terra azzuffandosi e dandosele di santa ragione, poi De Vita riesce a mettere con le spalle a terra De Marco e a bloccargli il braccio destro sotto un ginocchio. Adesso la zappetta, in forma di martello da un lato e dall’altra a punta acuminata, è a portata di mano, l’afferra e comincia a colpirlo sulla testa. De Marco è stordito e la cosa potrebbe finire qui se non fosse che De Vita non ebbe più freni. Toglie di tasca un coltello a serramanico e colpisce l’avversario quattro volte al torace e due sul collo, poi, ansimando, raccoglie le sue cose e se ne va con la moglie.

Bisogna però fare un piccolo passo indietro, sarebbe troppo semplice credere che i due siano entrati in urto per una manciata di castagne, anche se la roba in tempi di fame ha un valore altissimo. No, la cosa parte da qualche tempo prima, da quando, cioè, Antonio De Marco costruisce sul confine tra la sua terra e quella di Vincenzo De Vita un muricciolo a secco per difesa di qualche frana, ma De Vita non gradisce perché, sostiene, l’acqua piovana, scorrendo giù dal muro, porta via tutte le castagne che cadono dagli alberi miei.

È il muro la vera ragione del contendere.

Antonio De Marco non è morto. Riesce a trascinarsi fin sopra un viottolo ed è qui che lo trovano due paesani che, sorreggendolo da sotto le braccia, lo riportano a casa.

– Sono Stati Vincenzo De Vita e sua moglie a colpirmi – riesce a dire prima di svenire. Poi, dopo qualche ora di agonia, muore.

I Carabinieri di Celico, fatti avvertire dal Sindaco di Lappano, arrivano dopo qualche ora e si mettono subito sulle tracce dell’assassino. Non devono faticare troppo perché lo trovano in casa, ferito. Ma sua moglie non c’è e questo fa subito pensare che la dichiarazione del povero Antonio sia vera: anche Maria Porcaro ha partecipato attivamente al fatto.

– Ho fatto tutto da solo, mia moglie non c’entra niente – giura De Vita al Pretore di Celico.

– Allora perché se vostra moglie è innocente si è fuggita e non vuole presentarsi a Noi che l’abbiamo chiamata? – lo incalza il Pretore.

Non si è presentata perché è andata ai fondi

Chi è innocente non fugge e fa meraviglia che sapendo il marito ferito ed arrestato preferisce più la roba anziché la di lui persona.

Mia moglie non sa nulla di tutta questa cosa

– Ma se avete appena dichiarato che vostra moglie era con voi essendosi trovata presente al fatto! Non è possibile che, avendovi visto ferito, ora dite che ignora il fatto.

Mia moglie non era presente al fatto altrimenti mi avrebbe difeso. Solo mi ha veduto ferito e solo all’una dopo mezza notte mi ha lasciato solo in mia casa portandosi ai fondi

Qui le donne partono da casa all’una dopo mezzanotte?

Qui le donne partono in detta ora in caso di bisogno!

– Il bisogno di vostra moglie era quello che, riconoscendosi colpevole, cercava d’involarsi alle ricerche della giustizia! – tuona il Pretore.

Non è vero! – urla De Vita.

– Dov’è il coltello col quale avete colpito De Marco?

È possibile che col coltello a piega con cui tagliava i così detti filici si avesse potuto ferire da per se stesso nel momento che ci colluttammo, ma è certo però che io non l’ho ferito affatto con detta arma.

– E si è ferito da solo sei volte? De Marco, prima di morire, ha detto di essere stato ferito a colpi di coltello

Egli deve essere creduto ed io no? Vi dico che non l’ho colpito con un coltello…

– In verità ha dichiarato che anche vostra moglie gli ha tirato dei colpi con lo zapparello.

Ed io vi dico che questo fatto non è vero, mentre l’autore della morte del De Marco sono stato io!

L’autopsia, oltre a rilevare 5 ferite da corpo contundente sulla testa della vittima, due delle quali hanno mostrano anche delle scheggiature delle ossa craniche, mette in evidenza 6 ferite tra il collo e il torace, prodotte da arma da punta e taglio. De Vita ha mentito e mente ancora confermando che le ferite da coltello la vittima se le è procurate da solo.

I molti testimoni ascoltati confermano che non è affatto vera la storia delle castagne, nemmeno come causa scatenante.  De Vita, sua moglie e il povero De Marco hanno litigato perché i primi due pretendevano la demolizione del muro sul confine e il terzo si oppose per la ragione che quel riparo, più che di pregiudizio, era di giovamento ad entrambi i fondi. Quindi l’aggressione e i colpi che dopo poco portarono De Marco alla morte.

La Procura del re non ha più dubbi e chiede il rinvio a giudizio per Vincenzo De Vita e sua moglie Maria Porcaro con l’accusa di omicidio volontario.

La Camera di Consiglio sposa questa tesi e rinvia i due al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. È il 31 ottobre 1884 ma c’è un problema: Maria Porcaro è ancora latitante.

Maria si presenta nell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Cosenza il 19 novembre successivo e fornisce la sua versione dei fatti:

Andai al castagneto dopo mezzogiorno allo scopo di preparare qualche cosa da mangiare a mio marito. Al mio arrivo detto mio marito andò in paese per sentire la messa e nel ritorno che fece nell’ora di Vespro, mangiammo insieme dentro il pagliaio dov’era solito pernottare e poscia uscì per andare a girare il fondo dicendomi che sarebbe tornato ad ora giusta da caricarmi l’asinello per farmi andare a casa. Intanto era passata una buona ora e non lo vidi venire, sicché temendo che mi avrebbe sbrigata tardi, uscii dal pagliaio in cerca di lui, ma quale fu il mio dispiacere nel vederlo col volto tutto insanguinato, lo domandai cosa gli era successo e non mi ebbi risposta alcuna. Si fu allora che per la paura e per l’ora tarda corsi in Lappano per dare avviso a Filomena De Vita, figlia di primo letto, ed infatti dopo che a costei manifestai lo stato in cui avea visto mio marito, io mi rimasi a casa alle assicurazioni della Filomena che andava a ritirare mio marito per condurlo in famiglia con suo nipote di nome Pietro. Infatti verso tre ore di notte me lo vidi venire e siccome vi accorse molta gente io non potei domandarlo come era andato il fatto e da chi era stato ferito in quella guisa, né lo potei fare più tardi essendo stato arrestato nel corso di quella notte.

– Quindi non sapete niente… almeno avete visto se Antonio De Marco era nel suo fondo?

Io non vidi affatto in quel giorno Antonio De Marco… non so niente… sono innocente!

– Vostro marito dice delle cose diverse.

– Io non ero presente al fatto, altrimenti avrei fatto di tutto per evitare le conseguenze che successero. Seppi dalla voce pubblica che mio marito era venuto a parole col De Marco e si erano feriti scambievolmente.

– E perché siete scappata?

Non è vero che io mi fossi data alla latitanza perché non avevo preso alcuna parte nel fatto e solo cercai di guardarmi per non cadere nelle mani dei reali Carabinieri, tenendomi nascosta nei bassi sottoposti alla mia abitazione

L’11 maggio 1885 Vincenzo De Vita viene condannato alla pena della relegazione per la durata di anni cinque, mentre Maria Porcaro al carcere per anni tre. Entrambi in solido alle spese del procedimento ed all’indennizzo dei danni verso le parti lese.

Il ricorso in Cassazione verrà rigettato perché sfornito di motivi per De Vita e di deposito per Porcaro.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

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