IL PREZZO DELLA VERITA’

– Signor Maresciallo c’è un telegramma urgente – fa il Carabiniere Vito Taurino al comandante della stazione di Rende, Giacinto Pace, mentre questi sta attizzando il fuoco nella stufa di terracotta del suo ufficio. Sono le 18,00 del 25 novembre 1915 e fuori si gela.
A scrivere è il Sindaco di Marano Marchesato il quale lo avvisa che poco prima in contrada Corchioli c’è stato un omicidio e il cadavere è in mezzo alla strada.
– Preparatevi in fretta che dobbiamo uscire… hanno ammazzato un uomo. Nardulli, vai dal nostro amico qui vicino e fatti prestare quattro asini, subito, mi raccomando – ordina senza specificare altro.
Quando arrivano sul posto a illuminare il cadavere c’è un fuoco di frasche fatto accendere dal Sindaco e i Carabinieri possono ritemprarsi un po’ mentre cominciano a raccogliere informazioni sul fatto.
Gli raccontano che prima di far buio, alla fontana lì vicino due donne, Rosa Morrone di 22 anni e Rosina Belmonte di 18 anni, avevano cominciato a litigare perché la Belmonte, all’improvviso, tirò due pietrate alla Morrone per dei vecchi rancori dovuti a delle lettere anonime che accusavano la madre di Rosina di essere una poco di buono, lettere che erano state attribuite al marito di Rosa Morrone. Sembrava che la cosa fosse finita lì ma Rosa, tornata a casa, racconta tutto al marito, Luigi Conforti
– Hai capito che ha fatto la tua comare Rosina? Si è nascosta dopo che avevamo avuto parole per quel fatto delle lettere e mi ha tirato contro due pietre, e che pietre! Meno male che non mi ha preso se no mi ammazzava! Ma adesso torno alla fontana e glielo faccio vedere io, glielo faccio vedere se non l’ammazzo davvero!
– Ma stai calma, ogni giorno la stessa storia! – Luigi cerca di riportarla alla ragione – adesso vado a casa del padre e ci penserà lui a darle quello che si merita
Si alza dalla seggiola sistemata vicino al fuoco e va a casa di Michele Belmonte mentre la moglie, uscita dietro di lui, va di nuovo alla fontana e ci trova di nuovo Rosina, in compagnia del fratello Gaetano di 12 anni, che ha appena finito di riempire gli orciuoli e sta avviandosi verso casa
– Tiramele adesso le pietre se hai coraggio! – le dice facendo l’atto di schiaffeggiarla ma Rosina è svelta a schivare il colpo e, lasciati cadere a terra gli orciuoli, le si avventa contro. È una lotta furibonda: le due si trascinano a terra l’un l’altra tirandosi i capelli e dandosi schiaffi e unghiate. Quando Rosina Belmonte sta per avere la peggio, suo fratello, rimasto a guardare, afferra un orciuolo e lo spacca in testa a Rosa Morrone che è costretta a mollare la presa. Rosina scappa e si rifugia in casa di un certo Leopoldo Magnocavallo ma l’altra, sebbene semistordita, la raggiunge e si accapigliano di nuovo. Leopoldo, indispettito da quella ignobile gazzarra le butta letteralmente fuori di casa e le due continuano a darsele di santa ragione finchè non arriva la madre di Rosa Morrone che le divide e si porta via la figlia.
Mentre le due donne stanno dandosele, Luigi Conforti, ignaro di ciò che sta accadendo, arriva a casa di Michele Belmonte, a letto perché sofferente di artrosi a una gamba, e fa le sue rimostranze
– Caro compare Luigi, non preoccuparti che non appena torna a casa ci penso io a farle cambiare il modo di comportarsi – lo rassicura, poi si salutano e Luigi si avvia verso casa. Giunto alla fontana, però, trova un assembramento di gente e Rosina che sbraita contro sua moglie.
In casa Belmonte, intanto, la situazione non è affatto tranquilla:
– Ah! Adesso te la prendi con tua figlia e non con quei bastardi che hanno offeso il mio onore? Non lo sai che te le hanno scritte loro le lettere quando eri in America? – Raffaella Cucunato, moglie di Michele Belmonte, rimprovera il marito non appena Luigi Conforti è andato via
– Ma lo sai che io non ho mai creduto a quelle lettere e poi, sei certa che a scriverle sono stati loro?
– Certissima! Le lettere le ha scritto il tuo compare Luigi e se non provvedi tu, provvederò io stessa a guardarmi l’onore e a farmi giustizia adesso! – termina mettendosi uno scialle sulle spalle e uscendo di casa sbattendo la porta. Michele è esasperato, non sa più cosa fare per porre termine a quella situazione che si trascina da mesi, durante i quali ha sopportato le continue lamentele della moglie e della figlia e i continui inviti a lavare col sangue l’onore offeso di Raffaella. Zoppicando, si alza, indossa i calzoni, va alla finestra, toglie uno straccio che tappa un buco sul davanzale e prende la pistola automatica che ha comprato in America, se la mette in tasca e con passo incerto si avvia alla fontana.
– Tu devi farti gli affari tuoi, lasciala stare a mia moglie, sono liti stupide le vostre – dice Luigi con tono calmo cercando di pacificare gli animi. Rosina lo ascolta con la testa bassa senza rispondere. Poi Luigi, quando vede che anche il suo compare sta arrivando, pensa che lo aiuterà a mettere la parola fine a quella antipatica situazione
– Dov’è mia figlia? – esordisce Michele, poi la vede tutta scarmigliata che, ringalluzzita dalla vista del padre enspalleggiata dalla madre e dal nonno, inveisce contro Luigi.
Compare, permettimi che ti voglio dire la ragione… – comincia a dirgli Luigi andandogli incontro – Questo non mi si doveva fare… questo proprio no… – lo interrompe Michele che, estratta la pistola, spara quattro volte contro Luigi. Il primo colpo ferisce alla mano il contadino Pietro Porro di 62 anni che è lì per caso, mentre Luigi cerca di ripararsi dietro il padre di Michele ma, colpito da tre proiettili alla gola, al naso e al cuore, cade morto all’istante. Poi Michele, sorretto dalla moglie e dai figli torna a casa, buttando la pistola in un fosso.
Il maresciallo Pace per prima cosa interroga la vedova che gli racconta la sua versione dei fatti
– Verso le 17,00 di oggi, mentre tornavo dalla fontana mi sono stati scagliati addosso due sassi da Rosina Belmonte ma non sono rimasta ferita. Arrivata a casa ho posato gli orciuoli e sono uscita di nuovo in cerca di Rosina per darle una lezione, dopo aver raccontato tutto a mio marito, il quale è andato a lamentarsi col padre della ragazza. Quando l’ho incontrata ci siamo accapigliate ma ci hanno divise e io me ne sono tornata a casa. Poco dopo ho udito delle detonazioni e ho pensato subito che fosse successa qualcosa di grave, così mi sono precipitata alla fontana e lì ho trovato il mio povero marito morto.
Poi va a casa dei Belmonte per interrogare Rosina e il padre, se non si è dato alla macchia. Invece lo trova a letto e gli chiede conto dei fatti
– Fin da quando ero in America, da cui rimpatriai il 16 giugno di quest’anno, non correvano buoni rapporti fra la mia famiglia e quella del mio compare Luigi Conforti. Io mi sono sempre adoperato per far fare pace alle donne ma non ci sono riuscito. Stasera si è presentato compare Luigi molto arrabbiato dicendomi che mia figlia aveva insultato sua moglie e le aveva tirato due pietre e che la moglie l’avrebbe appostata e quindi calpestata e mangiata viva. Io ero a letto, così come lo sono anche adesso, gli ho risposto che l’avrei rimproverata non appena fosse tornata, anche picchiandola se fosse stato il caso. In quel frattempo abbiamo sentito qualcuno che gridava “l’ammazzano, l’ammazzano!” e compare Luigi è corso nella direzione delle grida. Io allora, temendo per la vita di mia figlia perché Luigi mi aveva detto che se sua moglie l’avesse presa l’avrebbe ammazzata, mi sono alzato, mi sono armato e sono accorso sul posto. Lì ho trovato Rosina tutta scompigliata, le ho chiesto cosa fosse successo e mi ha risposto “mi ha messo i piedi sulla pancia!”. A sentire quelle parole ho perso la ragione, mi sono rivolto a Luigi chiedendogli conto e lui mi ha risposto malamente… “quello che ho fatto a tua figlia lo faccio a te!” mi ha detto, così
dalle parole siamo venuti alle mani e mi ha ferito al dito con un morso. – racconta mostrando il dito effettivamente ferito – A quel punto io ero sicuro di soccombere perché sono vecchio e malato e lui invece era giovane e forte. Temendo per la mia vita, anche perché ho visto che cercava di prendere qualcosa in tasca, ho estratto la pistola e ho sparato… non mi ricordo nemmeno quanti colpi e non so se l’ho colpito, se è ferito o se è morto. Poi sono tornato a
casa e ho buttato la pistola in campagna ma non saprei dirvi con precisione dove… – poi lancia l’affondo – quando mia moglie mi ha ricordato le lettere anonime, mi è tornato in mente il fatto che il figlio di Luigi Conforti aveva tentato di disonorare mia figlia Rosina e questo mi ha ancora di più convinto ad ammazzarlo!
Alle orecchie del Maresciallo Pace il racconto è credibile perché le informazioni di cui è in possesso parlano solo genericamente della responsabilità di Michele Belmonte e nemmeno la moglie della vittima sa con precisione come sono andati i fatti, ma c’è un morto di mezzo e lo dichiara in arresto, concedendogli, viste le sue condizioni di salute, di tradurlo nel carcere di Cosenza l’indomani mattina.
– Marescià, portatemi adesso… non voglio che mi veda tutto il paese coi ferri ai polsi… troppa vergogna per la mia famiglia… –  e il Maresciallo lo accontenta.
Ma quando il Pretore di Rende comincia a interrogare i testimoni, il castello di menzogne costruito da Michele comincia a crollare miseramente.
Non è vero che Luigi Conforti abbia mai detto o scritto cose offensive nei riguardi della moglie di Michele Belmonte ed è ancora meno vero che il figlio abbia cercato di disonorare la figlia Rosina, ripetono decine di testimoni; altri rincarano la dose affermando che quando Michele era in America, la moglie Cucunato Raffaella lasciò parlare di sé ed il Conforti l’avvertì di mantenersi onesta per il bene della famiglia. Per tale fatto la Cucunato divenne nemica del Conforti ed altrettanto fece la famiglia di lei. Tutte le persone presenti al momento dell’omicidio giurano che nessuna donna, parlando di Belmonte Rosina ebbe a gridare “l’ammazzano, l’ammazzano”. Belmonte Michele venne spontaneamente e con la evidente intenzione di uccidere il Conforti. All’apparire del padre la Rosina Belmonte, che non
piangeva, non disse “papà, mi hanno messo i piedi sulla pancia”, né il Conforti profferì le parole “l’ho fatto a tua figlia, lo faccio anche a te”. Escludo che egli abbia dato un morso al Belmonte e che abbia tentato di prendere alcuna arma
. Altri ancora, vicini di casa di Michele, presenti quando Luigi andò a lamentarsi per il comportamento di Rosina, escludono categoricamente che questi abbia detto che la moglie avrebbe appostata, calpestata e mangiata quest’ultima.
Ma se il morso non glielo ha dato Luigi Conforti chi glielo ha dato? Per rispondere a questa domanda, il Pretore ordina una perizia medica al dottor Giuseppe Martino di Rende e i risultati sono che l’imputato il morso nel dito indice della mano sinistra e precisamente nella piegatura della seconda falange se lo sarà dato da sé in un momento di esasperazione. Escludo che sia stato prodotto da altra persona perché il morso altrui non avrebbe potuto mai addentare quella parte del dito, che resta sempre garantita nel momento della colluttazione, restando invece esposta la regione del mignolo.
Le cose si mettono veramente male per Michele. Poi, il 14 dicembre accade qualcosa di grave e imprevisto: qualcuno, all’alba, nascosto dietro alcuni cespugli spara un colpo di fucile contro il figlio dodicenne di Michele Belmonte e poi scappa precipitosamente. Il ragazzo sente fischiare vicino a lui la pallottola e per fortuna rimane illeso. Il Maresciallo Pace fa un sopralluogo e le impronte lasciate dallo sconosciuto si fermano a qualche decina di metri dalla casa del povero Luigi Conforti. Che si tratti di un tentativo di vendetta? I carabinieri perquisiscono la casa e trovano un fucile a retrocarica con una sola canna. Ad un primo esame sembra che l’arma abbia sparato di recente e sospettano della vedova, anche se sembra improbabile. Più plausibile sembra che a sparare possa essere stato qualche suo parente, ma gli unici due maschi, il padre della donna e suo cognato, vengono subito esclusi, il primo perché gravemente invalido e il secondo perché acerrimo nemico di Luigi, addirittura indifferente alla morte del congiunto. Le perizie eseguite sull’arma non riescono a stabilire se l’arma abbia o meno sparato di recente e il caso viene chiuso, lasciando il dubbio se il fatto sia veramente accaduto o se non sia stato un maldestro tentativo di alleggerire la posizione di Michele Belmonte.
Michele viene rinviato a giudizio ma nel frattempo la Grande Guerra sottrae alla Giustizia molti testimoni partiti per il fronte e per arrivare al dibattimento ci vorrà il 9 marzo 1920.
Michele, nonostante tutto sia contro di lui, ottiene la concessione delle attenuanti generiche e quella della provocazione grave, per cui la giuria stabilisce che nel momento in cui uccise Luigi Conforti si trovava in tale stato di infermità di mente non da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti, ma da scemare grandemente l’imputabilità, senza escluderla.
La pena è stabilita in sette anni e sei mesi di reclusione, più il risarcimento del danno. Il 21 maggio 1920 la Corte di Cassazione rigetterà il ricorso presentato dai suoi legali.[1]

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