SCANDALO NEL CARCERE DI COSENZA di Cinzia Altomare

Florindo Cetraro, carceriere delle carceri della Regia Udienza, il 3 Agosto del 1793 fa questa dichiarazione:
Giuseppe Renzelli, chianchiero[1], è stato arrestato e condotto nelle carceri di Cosenza con l’accusa di rissa in luogo pubblico ai danni di uno dei servitori del Signor Nicola Toscani, su cui c’è ancora un totale riserbo di notizie. Il Renzelli ammette di avere un temperamento sanguigno e di non potere sopportare che si bestemmi il nome del Signore Iddio, quindi si è apprestato a frustare il servitore che aveva bestemmiato. Da qui la pronta denuncia del Signor Toscani. E solo qui subentrano i racconti del buon Cetraro che ammette di avere udito gli ordini del tenente Domenico Rizzuto, della Compagnia di Campagna di questa città, e di avere visto i caporali Bernardo Rizzuti, Francesco Antonio Cozzetto, Gaetano Scozzafave e Vito Clausi, eseguire l’ordine di cattura, ma solo dopo avere fabbricato una mitra di carta per beffeggiare a dovere il rigorismo religioso del Renzelli. Condotto nelle carceri, al Renzelli vengono date cento legnate, ma non contenti di ciò. i caporali lasciano il detenuto in balia dei costumi dei carcerati, che significa infierire con pugni e poi portare l’ultimo incarcerato a mo’ di trionfo per festeggiare il possesso della nuova “qualifica” conquistata.
Giuseppe Renzelli si ribella, per quanto gli permettano le sue esigue forze, a tale beffa, ma senza alcun risultato poiché nessuno dei Caporali presenti ritiene di intervenire. In sede processuale presso il Tribunale, però, lo stesso Renzelli ha denunciato l’intero deplorevole rito e di tal cosa è stato anche informato Don Francesco Gervino, Procuratore Fiscale. Infatti oltre a queste costumanze ignominiose, la tacita noncuranza del personale delle carceri ha attirato le maggiori personalità sul caso.
Don Giovanni Donato, Preside del carcere, si è prontamente recato in presenza del Procuratore e si è scusato per l’accaduto, asserendo di ignorare lo svolgimento di tali riti, così dando la sua massima disponibilità per risolvere l’intero accadimento. Sappiamo che tra i primi provvedimenti presi, si è proceduto all’incatenamento per caviglia dei carcerati e non si conosce l’effettiva quantità di giorni nei quali subiranno la loro punizione. Il Renzelli si ritiene soddisfatto per avere ottenuto alla beffa una sommaria giustizia e si augura che le sue forze non lo abbandonino nei duri giorni che lo attendono per il termine della sua pena, in una cella separata dagli altri carcerati.[2]

 

I CAMINANTI-Quando gli zingari rubavano galline

[1] Macellaio
[2] ASCS, Atti Notarili.

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