CARMELINA

Il 26 novembre 1936 è una bella giornata. Tre amici, Francesco Caruso, 26 anni ragioniere, Carmine Cinerari, 38 anni maître al Circolo degli Impiegati, ed Eduardo Donati, 29 anni commerciante, decidono di fare una passeggiata in automobile. È da poco passata l’ora di pranzo quando salgono nella Balilla nera presa a noleggio. Scorrazzano senza una meta precisa dalle parti di via Panebianco quando incontrano una donna che fa loro segno di fermarsi.
La conoscono, si tratta di Maria Fumelio, quarantatreenne prostituta di Torano Castello che esercita, però, a Cosenza. È una di quelle che definiscono una prostituta domestica perché esercita il mestiere abusivamente in casa e non chiusa in uno dei tanti bordelli autorizzati della città. Ormai è un po’ sfiorita e per arrotondare gli ormai miseri guadagni vende uova e pollame, ma non disdegna di procurare ragazze a uomini che possono spendere bene.
– Buongiorno alle signorie vostre – li saluta senza nascondere una vena ironica – mi fate salire?
– Marì, oggi non è cosa… ti sei guardata? – la sfotte uno dei tre.
– Ma che avete capito? Non vi ho fermati per quello… è che devo ritirare delle uova e quattro galline a Torano e pensavo che voi…
– Tu devi essere pazza! – le fa Eduardo – secondo te noi dovremmo accompagnarti? E che ci dai in cambio?
– E che ci da? Solo una cosa ci può dare! – dice Francesco, suscitando l’ilarità degli altri due.
– Ma il problema, per lei, è che noi quella cosa non la vogliamo perché è sfatta! – rincara la dose Carmine, e giù altre risate.
– Intanto, sfatta o non sfatta, il biscotto ce lo avete inzuppato parecchie volte – risponde Maria, ridendo anche lei. Poi, facendosi seria, continua – invece una cosa fresca fresca per voi ce l’avrei… a Torano, però…
– Ci prendi per il culo. Noi ti accompagniamo e poi non c’è niente!
– E poi che ti dobbiamo fare?
I tre la incalzano scherzando. Non credono a una sola parola di quello che Maria sta dicendo.
– Allora facciamo così – insiste la donna – voi mi accompagnate, io vi porto nel posto che so e, mentre voi fate i vostri comodi, io sbrigo le mie faccende. Se vi ho detto la verità mi date due lire, altrimenti vi faccio mangiare e bere a spese mie e vi pago pure la benzina del viaggio. Vi va bene?
I tre amici si guardano indecisi, poi a Francesco viene la trovata giusta:
– Ma si, accompagniamola, tanto non abbiamo un cazzo da fare. Male che va mangiamo e beviamo gratis. Ma attenzione – continua rivolgendosi a Maria – se non ci fai mangiare rompiamo il culo a te e alle galline!
– Bravo! Andiamo! – dicono gli altri due all’unisono e così la combriccola si mette in marcia verso Torano Castello.
Arrivati in paese si fermano a comprare qualcosa da mangiare il cui costo anticipa Maria che, fatti gli acquisti, li porta davanti a una casa in fondo a una stradina, un po’ discosta dalle altre abitazioni.
– Aspettatemi un secondo, vado e torno – dice loro scendendo dall’automobile. Non passano nemmeno cinque minuti che Maria si affaccia dall’uscio della casa e fa segno di entrare. I tre amici scendono dalla macchina, chiamano un ragazzino che, dall’altra parte della strada, sta osservando la macchina con gli occhi sgranati, gli regalano qualche spicciolo e gli dicono di fare la guardia per non fare avvicinare nessuno all’automobile. Poi entrano.
Nella stanza ormai in penombra perché il sole è quasi tutto dietro le montagne, trovano, oltre a Maria, due donne: una che sembra più vecchia della loro compagna e una ragazzina molto ben fatta sotto i suoi stracci e suscita subito l’eccitazione dei tre.
– Lei è Carmelina – fa Maria indicando la ragazza – ha quindici anni… e lei è la madre.
Carmelina De Mari è davvero una bella ragazza, è spigliata e sa già come va la vita. La madre l’ha già venduta a un siciliano che in paese chiamano Cilardo e, dopo di lui, a chiunque avesse bussato alla sua porta. Ha anche un pretendente, Cicco Basile, che la ama nonostante tutto.
La madre, Filomena Cosentino, ha quasi quarant’anni ed è rimasta vedova poco dopo la nascita di Carmelina, quando era detenuta per avere abbandonato il suo primo figlio. La vita l’ha sempre stentata e ora che ha anche un amante più giovane di lei, partito volontario in Abissinia, vorrebbe, attraverso il commercio della figlia, concedersi una vecchiaia più tranquilla.
Maria chiama in disparte don Ciccio, Francesco Caruso, e gli dice papale papale che se vogliono la ragazza devono pagare cento lire e i tre accettano senza battere ciglio, solo chiedono che gli venga preparato il cibo che è stato acquistato. Il clima della compagnia diventa subito molto conviviale e intimo. Barzellette, battute e strusciatine si susseguono senza sosta mentre le donne preparano da mangiare.
Fuori dalla casa il ragazzino messo di guardia alla macchina gioca con le due monetine che gli uomini gli hanno regalato e non si accorge che, dal fondo della strada, due carabinieri di pattuglia nel paese stanno sopraggiungendo, incuriositi dalla insolita presenza dell’automobile forestiera.
– Che stai facendo qua? Chi ti ha dato quei soldi? Li hai rubati nella macchina? Di chi è la macchina? – lo tempesta bruscamente uno dei due carabinieri.
– No… brigadiè… non li ho rubati… me li ha dati il pa… padrone della macchina per gua… guardargliela – balbetta.
– E dove sarebbe andato questo padrone?
– Ve… veramente sono tre… so… sono andati a casa di Fi… Filomena – risponde indicando la casetta dall’altra parte della strada.
– Sparisci! – gli intimano i carabinieri mentre si preparano a fare irruzione nella casa. Le voci di quello che accade in quella casa sono arrivate anche in caserma e adesso hanno l’occasione di mettere i ferri a qualcuno.
Si avvicinano e sentono grasse risate che accompagnano battute oscene. Quando sono davanti all’uscio non c’è bisogno né di bussare, né, tanto meno, di sfondarlo perché è appena accostato. Le risate si strozzano in gola e un silenzio imbarazzato cala sulla compagnia.
I carabinieri identificano tutti e poi, lasciati andare i cosentini, arrestano la madre e la ruffiana perché Carmelina racconta che Maria le ha proposto di prostituirsi con i tre e la madre era d’accordo, ma che ha rifiutato perché non è una puttana. E le credono.
È juta bbona – fa Ciccio Caruso mettendo in moto la Balilla.
– Speriamo… speriamo che al brigadiere non venga in mente di portare avanti la cosa se no ci chiamano in Tribunale – osserva saggiamente Eduardo Donati.
– Per adesso vai a tutta velocità! Si torna in città! Che ne dite se ci andiamo a mangiare uno spaghettino aglio e oglio a Quattromiglia? – propone Carmine Cinerari.
– No… io me ne torno a casa…
– Pure io…
Intanto a Torano i carabinieri hanno già provveduto a portare le due donne nel carcere di Montalto e Carmelina è libera di gestire la propria vita come meglio crede. E crede bene di continuare a fare ciò che faceva prima, intensificando l’attività, dato che adesso può tenere tutto per sé.
La notizia di quanto è avvenuto corre per mare e per terra e arriva anche in Africa a Giuseppe Guagliano, l’amante di Filomena, il quale, tornato in licenza, incarica un cugino, che è anche il genero della donna, di scrivere per lei un biglietto di fuoco col quale le comunica che la lascia a causa delle sue malefatte:
Carissima Amante ti agurio il santo natale e mi trovo a licenza di tre mesi e non ti ho trovato nella casa dove ti ò lasciato e ti trovi in carciro per tante porcherie che tu ai fatto con la tua figlia carmilina tanto che il vicinanzo si chiama vico sporco santa lucia e tua figlia à lasciato a Cicco Basile e ne cambia uno al giorno e la notte ci fanno la spia e fa tante porcherie con le persone che poi li conoscirai quando esci dal carciro ò saputo che tu avevi venduto a tua figlia Carmilina a un farabutto siciliano chiamato cilardo ammogliato con cinque figli per qualche piatto di mangiare e la moglie di cilardo ti à fatto arristare ed à fatto bene che tu sei stata la rovina di tua figlia Carmilina; ho saputo che tu volevi vendere a tua figlia a tre persone di Cosenza per lire duecento se ti piace me la compro io per lire trecento e la porto con me nella Abissinia e poi la vendo ai bissinesi e ti dono una buona somma di denaro ti faccio sapere che tuo genero sabocca sta morendo per cinque cortellate, che gli à dato Notaianno luberto che va scappando e non lo possono prendere i carabinieri; se tengo tempo ti verrò a trovare con il mio cugino Armando ma io pirò non ti voglio più perché non sei stata fedele; ti saluto tuo Amante Giuseppe Guagliano.
Eduardo Donati è stato facile profeta. La causa va avanti e i tre sono costretti a sfilare davanti ai giudici per spergiurare che non avevano la benché minima idea di scopare con la ragazzina. Gli andrà bene. Maria e Filomena se la caveranno con poco, sanno come va il mondo e una piccola condanna ci può stare.
Cicco Basile, il pretendente di Carmelina, ha la testa dura e non si arrende. Dopo che Carmelina gli ha detto di non farsi più vedere perché ha grandi progetti per il futuro, per tutta risposta si piazza in casa della ragazza e, insistendo giorno dopo giorno con le buone ma anche con le cattive, la convince a smetterla con quella vita e a mettersi con lui e, per evitare che continui il viavai dei clienti che ancora non sono informati della chiusura dell’attività, non esita a sparare contro i più ostinati.
Carmelina è salva e l’amore vince![1]
[1] ASCS, Processi Penali.

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