– Marescià, correte al cimitero… ohi madonnella mia – grida la donna precipitandosi nella caserma dei Carabinieri di Bisignano – ohi mammamiabella…
– Calmatevi, che è successo al cimitero?
– Ohi mamma! Non ce la faccio… andate… andate… – continua disperata, battendosi la faccia coi palmi delle mani.
Il maresciallo non perde tempo, è evidente che si tratta di qualcosa di grave e, in compagnia di un sottoposto, si precipita al cimitero, in contrada Rio Siccagnu.
Le urla della donna, intanto, hanno richiamato in strada un sacco di gente, che ora vede la poveretta accasciarsi a terra. Qualcuno le porta un orciuolo con acqua fresca e poi tutti dietro al maresciallo.
Il cancello del cimitero è socchiuso e il lucchetto che dovrebbe serrarlo è appeso al catenaccio. Nessun segno di scasso. Temendo di trovare nel cimitero qualche malintenzionato armato, il maresciallo Lombardo estrae la pistola e apre con circospezione il cancello cigolante, mentre l’altro carabiniere tiene distante la piccola folla che li ha seguiti.
Anche se è ancora marzo, la luce del sole del primo pomeriggio è fastidiosa, Lombardo si sistema la visiera del cappello d’ordinanza, poi con circospezione guarda alla sua destra: niente; si gira dall’altra parte e nota qualcosa che spunta per terra dietro l’angolo della camera mortuaria.
– Chi va là? – urla mentre inserisce il colpo in canna – chi va là? – ripete senza ottenere risposta. Appiattendosi contro il muro avanza verso il piccolo edificio e quando arriva a due o tre metri di distanza gli è chiaro di cosa si tratti: un cestino di canne intrecciate.
“Il sole di marzo ha dei riflessi strani” pensa il maresciallo perché gli è sembrato di vedere una gambetta spuntare dal cestino. Si fa ombra agli occhi con la sinistra e vede ciò che non avrebbe voluto vedere. Non si è sbagliato, nel cestino c’è il corpicino nudo di un neonato, immobile.
Bestemmia, poi ricorda che è in un luogo consacrato e si fa il segno della croce, rimette a posto la pistola e fa i pochi passi che lo separano dal bimbo.
Lombardo ne ha viste tante nella sua carriera, ma non può trattenere un conato di vomito guardando la testolina del bambino trapassata da un oggetto appuntito.
“Bastardi” dice tra sé e sé, poi esce e sussurra qualcosa all’orecchio del carabiniere che si fa bianco come un lenzuolo.
– Non fare entrare nessuno – gli ordina. Poi, serrando le mascelle per la rabbia, se ne va determinato a scoprire gli autori di quell’orrore, ma non caverà, purtroppo, un ragno dal buco. È il 10 marzo 1945 e gli immondi assassini resteranno per sempre ignoti.[1]
[1] ASCS, Tribunale di Cosenza, Processi definiti in istruttoria.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.