SORDOMUTO QUINDI IMBECILLE

La mattina presto del 25 maggio 1935 Carmine Mirabelli, ventenne zappatore sordomuto di Laurignano, torna dalla campagna con un grosso ramo secco di castagno. Lo poggia in piedi accanto alla porta di casa e lo sega in due.
Sono quasi le otto quando passa davanti a lui un certo Giovanni Iaccino che vive, come molti a Laurignano, dell’elemosia dei paesani e dei fedeli che vanno a visitare il Santuario della Madonna della Catena. Con ampi gesti delle mani ed emettendo degli incomprensibili suoni gutturali, invita Iaccino a prendere una metà del ramo e a portarselo via, gli potrà servire l’inverno successivo.
Poi Carmine va a passare un po’ di tempo alla cantina che è a pochi metri da casa sua e lascia l’altra metà del ramo fuori casa. Con lui ci sono alcuni paesani e tutti insieme bevono un bicchiere di vino mentre Carmine, come al solito, è invitato a raccontare a gesti qualche sua avventura.
Sono le otto e mezza passate quando il settantenne Francesco Calabrese, anche lui indigente del posto, sta tornando dal convento dove ha chiesto l’elemosina e sfila davanti alla cantina col suo passo incerto perchè evidentemente qualcuno gli ha offerto un paio di bicchieri. Calabrese, alcolizzato da anni, accanito masticatore di tabacco che, invece di sputare una volta consumato, regolarmente ingoia – in molti sospettano che sia anche arteriosclerotico – arriva davanti casa di Carmine, vede il ramo incustodito, chiama uno degli uomini che sosta davanti alla cantina e, fattosi aiutare a caricarselo sulle spalle, se ne va per la sua strada.
Carmine, girato lo sguardo in sua direzione, lo vede e mugolando si mette a inseguirlo, raggiungendolo dopo un centinaio di metri, subito dopo che la strada fa una curva, nascondedo i due alla vista di chi è sulla porta della cantina.
– Mmmmmm…. Mmmmmmm… – farfuglia Carmine indicando con ampi gesti il ramo sulle spalle del vecchio e facendo il gesto di voler riavere indietro il pezzo di legno – Mmmmmmm…
– Che cazzo vuoi? – gli risponde minaccioso il vecchio, agitandogli sotto il muso il pugno chiuso.
Carmine, che tutti conoscono come un uomo affabile ma nello stesso tempo facilmente irascibile, non si fa ripetere due volte quel gesto e gli molla un pugno in un occhio, poi afferra il ramo e comincia a tirarlo per riprenderlo ma Francesco Calabrese resiste con tutte le sue forze fin quando Carmine non lo spinge violentemente, facendogli perdere l’equilibrio. Il vecchio cade pesantemente all’indietro e batte la nuca sul selciato perdendo i sensi. Carmine riprende il ramo e se ne torna a casa.
Alla scena hanno assistito alcuni testimoni che si precipitano a soccorrere Calabrese e, rendendosi conto che non riescono a rianimarlo, cominciano a urlare chiedendo aiuto. Gli uomini che sono davanti alla cantina, se non hanno potuto vedere ciò che è successo, possono ascoltare, loro si, quelle grida e cominciano a correre per vedere che cosa sia successo. Carmine li vede sfilare ad uno ad uno davanti a lui e capisce che c’è qualcosa che non va; posa il ramo e torna indietro, giusto in tempo per vedere Calabrese immobile a terra e un nugulo di gente che si affanna a sollevarlo per portarlo a casa. Intuisce, dai gesti disperati dei presenti che ha combinato un guaio e si dilegua nelle campagne vicine, facendo perdere le proprie tracce.
Francesco Calabrese, intanto, riapre gli occhi e i suoi familiari gli fanno bere un mezzo bicchiere di vino, dopo di che resta con gli occhi mezzi aperti e non riprende conoscenza. Comincia la sua agonia.  Per quattro giorni si mantiene in uno stato di agitazione segnato da movimenti scomposti, poi cessa di agitarsi e cade in uno stato di torpore incosciente e la sera del 2 giugno muore.
Di Carmine non c’è traccia. I Carabinieri lo cercano solo per un paio di giorni, ma poi, il 14 giugno, lo sorprendono di notte che si aggira intorno a Laurignano e lo arrestano con l’accusa di omicidio.
Il Brigadiere Nicola Busino, comandante della stazione di Dipignano, scrive in un rapporto i motivi per i quali ha inteso agire così: Il Mirabelli è stato cercato, con esito negativo, soltanto nel periodo di flagranza, anche perché si credeva che la capacità di intendere e di volere nel Mirabelli fosse grandemente scemata e non di meno da doversi completamente escludere la imputabilità. Il Mirabelli sa leggere e scrivere. Ha sempre manifestato deficienza mentale. È di carattere molto irascibile tanto che non di rado per le sue stranezze ha dato luogo a risentimenti. Spesso ha anche allungato le mani su bambini e adulti. Vi sono però dei momenti che il Mirabelli sembra che sia nella piena delle sue facoltà mentali, per cui dato anche il suo comportamento nei fatti sopra descritti, riteniamo che il discernimento del suddetto sordomuto non debba essere completamente escluso.
Alle domande che gli pone il Giudice Istruttore risponde per iscritto sostenendo di aver  colpito il vecchio con un pugno solo per difendersi.
Tra tutti i testimoni interrogati, solo un bambino ha assistito ai fatti e li descrive quasi esattamente di come li descrive Carmine. Gli altri devono limitarsi a raccontare l’antefatto.
Giovanni Prete ricorda:
– Il giorno del fatto ho visto Francesco Calabrese prendere un pezzo di legno davanti la porta di casa di Mirabelli e portarselo via dopo essersi fatto aiutare a metterselo sulle spalle da un certo Antonio Capitale. Quando è successo questo fatto, oltre a me erano presenti anche Carmine Scavello, Palmo Prete e Oliviero Perri. Subito dopo arrivò Carmine Mirabelli al quale Scavello mimò la scena e il sordomuto, irritatissimo, si mise all’inseguimento di Calabrese e prima uno e poi l’altro scomparvero dietro una curva e non so cosa sia accaduto. Mirabelli non è uno stupido ma, anzi, è molto intelligente.
– Io ho visto soltanto il vecchio caricarsi il legno sulle spalle, aiutato da Antonio Zicarelli, e andar via. Dopo un poco ho sentito delle grida oltre la curva e sia io che altre persone accorremmo sul luogo. Carmine Mirabelli, a mio parere, è abbastanza intelligente – giura Francesco Gaudio.
Annina Caruso è vicina di casa di Carmine e sostiene di aver visto il vecchio caricare il legno sulle spalle e andare via:
– Carmine non è cioto, sa leggere e scrivere e sa quello che fa – termina la donna.
Ma Antonio Zicarelli ricorda l’antefatto in un altro modo:
– Ero vicino alla cantina di Antonio Perri, che è vicina alla casa del muto, insieme a Carmine Mirabelli, Carmine Scavello, Oliviero Perri, Palmo Prete e Francesco Gaudio. Mentre parlavamo tra noi è passato Francesco Calabrese e il muto mi ha fatto capire a gesti di aiutare il vecchio a prendere il ramo che era davanti la sua casa. Io e il vecchio abbiamo preso il legno e io l’ho aiutato a metterselo sulle spalle, poi si incamminò lungo la rotabile ma subito dopo Mirabelli gli corse dietro, ridendo come un esaltato. Poi sono scomparsi dietro la curva e ho sentito delle urla. Anche io, come altri, sono accorso sul posto e ho notato che il muto guardava Calabrese a terra con gli occhi stralunati. Mirabelli è intelligentissimo però è un esaltato, per questo è successo il fatto. Il vecchio non avrebbe mai preso il legno se non glielo avesse dato Carmine.
Insomma, le cose non sono affatto chiare: questo maledetto pezzo di legno è stato rubato da Calabrese o gli è stato regalato da Carmine Mirabelli? E Carmine Mirabelli è quasi incapace di intendere e volere, come sostiene il Brigadiere Busino, o è molto intelligente, come sostengono i paesani?
Il Giudice Istruttore, a questo punto, chiede al Brigadiere di argomentare le sue affermazioni
– Ho detto che il Mirabelli ha sempre manifestato deficienza mentale perché, spesso, mentre è calmo e tranquillo monta su tutte le furie per un nonnulla. Mi spiego meglio: Mirabelli non è un uomo normale ma non posso affermare che sia cretino, anzi è abbastanza intelligente…
La situazione è alquanto confusa e il 12 luglio il Pubblico Ministero, per fugare ogni dubbio, chiede al Ministero di Grazia e Giustizia di sottoporre Carmine a perizia psichiatrica al fine di stabilire la condizione di discernimento o meno del predetto. La richiesta viene accolta e il 17 settembre 1935 Carmine varca la soglia del manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto.
I dottori Vittorio Madia e Antonino Bonomolo, incaricati della perizia, ricostruiscono la personalità di Carmine e scrivono:
nell’infanzia si ammalò di morbillo; qualche volta orinava in letto durante il sonno.
Nato sordomuto, fu tenuto per sei anni alla scuola speciale per sordomuti a Catanzaro, ove mostrò buona attitudine ad apprendere.
Dalla fanciullezza si rivelò molto irascibile ed impulsivo.
All’età di 10 anni fu colpito da una forma grave di tifo addominale. Poi soffriva spesso di dolori di capo.
Risulta che era dedito al vino ed al gioco.
Di umore variabilissimo, ora si mostrava crudele, ora pietoso, frequentemente litigava coi familiari.
In società teneva un contegno strano, irritabile, volubile. Si mostrava bigotto, frequentando spesso la chiesa.
Incostante nel lavoro, per lo più vagabondo, viveva, si può dire, a carico della famiglia. 
Secondo le sue affermazioni, è sempre stato buono, ubbidiente e laborioso; esercitava il mestiere di contadino con interesse e costanza.
Nega di avere avuto contatti carnali con donne e di essersi masturbato, di essere dedito al vino, alle bevande alcooliche e al tabacco; dice solo che, qualche volta, giuocava.
Il periziando si presenta con fisionomia sorridente, tranquillo, abbastanza ordinato nel vestire e nell’abbigliamento.
Di umore in genere gaio, manifesta completa indifferenza per la sua posizione giuridica nei rapporti del grave delitto ascrittogli.
L’espressione del viso è vivace, l’occhio mobile, la gesticolazione esuberante.
Si coopera agli esami cui viene sottoposto ed appare come cercasse di prendere parte attiva alla vita dell’ambiente.
Affetto da sordomutismo, si sforza di supplire a questa sua grave deficienza accentuando la mimica. Si presta volentieri all’interrogatorio, che si pratica soprattutto con cenni delle labbra ed a segni, ma spesso non intende ciò che gli si domanda e quindi dà risposte non adeguate. Altre volte si smarrisce e si dispera e, infine, chiede di poter fornire per iscritto il suo pensiero e subito fa l’atto di prendere la penna per scrivere.
I periti lo sottopongono a un iterrogatorio per stabilire le sue capacità psichiche. Carmine risponde alle domande più semplici ma non riesce a orizzontarsi in quelle un po’ più elaborate:
Come si chiama il Re?        “Vittorio”
Come si chiama il Papa?    (resta a guardare e fa il movimento colle mani come per dire: non so cosa scrivere)
Chi è il Capo del Governo?           “Mussolini”
Che differenza passa tra porta e finestra? (indica esattamente la porta e la finestra della stanza in cui si trova)
Che differenza passa tra prestare e regalare? (resta smarrito)
Che differenza passa tra avarizia e parsimonia? (resta smarrito)
Che differenza passa tra errore e bugia? (resta smarrito)
Che cosa è il dovere? (non riesce a rispondere)
Che cosa è l’invidia? (non riesce a rispondere)
Che cosa sono, presi tutti insieme, le aquile, le anitre, i galli? (fa capire che conosce detti animali, ma non sa cosa scrivere)
Se ad un numero che abbiamo pensato aggiungiamo cinque ed otteniamo dodici, qual è il numero che abbiamo pensato? (si confonde e non sa cosa scrivere)
Perché vi hanno portato qui?       “Non so”
Quanto credete di poter stare qui? (fa capire di non sapere cosa scrivere)
Che distanza pensate vi possa essere da casa vostra a qui? (fa capire che “molto prima è stato in automobile, poi in treno, poi in mare e poi un’altra volta in treno”)
Che età dimostro io?       “cinquanta” (l’interlocutore ha 35 anni)
Si può ammazzare?      “No”
Perché non si può rubare?        “No” (poi continua a scrivere: “Calabrese ladro, coltello, vino, ubbriaco; io buono e onesto, zappo terra”)
Andate in chiesa?      “Si”
Sapete qualche preghiera?     “Si”
Poi i periti continuano
Indiscutibilmente, nel sordomutismo, abbiamo un fattore psichico capace di influire sull’intero organismo: il sordomuto, nei confronti di coloro che hanno il bene dell’udito, ha uno sviluppo psichico ritardato, derivato dallo stato di isolamento in cui egli viene a trovarsi.
Il nostro periziando, però, non è soltanto un sordomuto, ma un “frenastenico” e la sua deficienza è dovuta a processi cerebropatici in cui è dimostrabile una lesione organica da imputare a degenerazione ereditaria.
Invero, egli possiede ristrette capacità intellettuali. L’astuzia tien luogo dell’intelligenza ed offre agli inesperti l’impressione di ricchezza intellettuale!
La coscienza abituale del periziando è limitata, la percezione, pur apparendo pronta, è insufficiente, la memoria alquanto imprecisa, manca ogni ideazione superiore, la critica è debole, manca ancora in lui la capacità di valutazione delle cose e delle situazioni. Possiamo concludere che lo sviluppo intellettuale del periziando è basso, ineguale, disarmonico.
Egli è spinto a compiere azioni antisociali, non solo perché è debole di intelletto, ma perché presenta delle vere anomalie a carico della sfera affettivo-sentimentale e volitiva. All’esame psichico abbiamo rilevato uno spiccato predominio della vita istintiva, e specialmente dell’istinto di conservazione, di difesa, di offesa, di aggressività.
I rapporti affettivi coi familiari sono indifferenti; alla domanda se vuol bene al padre ed alla madre risponde subito di si, ma, in realtà, non chiede mai di essi, né ha scritto per dare sue notizie o riceverne dai familiari. Al ricordo della vittima si mostra indifferente, si protesta innocente e tiene a far sapere che il Calabrese era un pessimo soggetto, mentre egli è buono, disciplinato, laborioso e che al paese non faceva altro che zappare la terra.
Considerato il difetto dei sentimenti elevati della morale, della Giustizia, del dovere, che sono rimasti allo stato embrionale ed attaccaticci per quello che ha appreso alla scuola, considerato l’insufficiente sviluppo dei poteri inibitori che lo pone in balia dei riflessi più semplici ed immediati, siamo autorizzati a concludere che il periziando è un essere antisociale, capace di commettere, con molta facilità e per futili motivi, atti insensati e crudeli, dei quali non può essere ritenuto giuridicamente imputabile.
Si giudica il Mirabelli affetto da “imbecillità”, con grave difetto affettivo-sentimentale e volitivo, incline a compiere atti mancanti di ogni sufficiente elaborazione, atti violenti ed impulsivi e, in genere, reati anche di sangue, sì da rendersi pericoloso per la società.
L’azione delittuosa della quale è imputato è in stretto rapporto con la psicopatia sopra descritta, per cui non può, né deve esserne ritenuto imputabile.
In base a ciò, il 27 dicembre 1935, il Giudice Istruttore firma la sentenza di non luogo a procedere contro Carmine Mirabelli ma nello stesso tempo, ritenuto socialmente pericoloso, ne dispone l’internamento in manicomio giudiziario per cinque anni.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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