LA TESTATA

I colpi alla porta della casa al 18 del IV Vicolo Marini Serra si fanno sempre più violenti. Dentro, due donne e due uomini si guardano timorosi. Hanno riconosciuto dalla voce, chiaramente alterata dal vino, Giuseppe, l’amante della donna più giovane, la ventenne Teresa. L’altra donna è sua madre Maria, che di anni ne ha 37. I due uomini sono i fratelli Mario, di 17 anni e Antonio di 22.
Teresa è una prostituta e lo è diventata dietro le minacce del suo amante che la fa prostituire in casa della madre la quale o per paura o per convenienza accetta la situazione. Ma ora Teresa sembra non essere più disposta a subire oltre le angherie di Giuseppe e da qualche giorno non lo fa più entrare in casa. Giuseppe, da parte sua, non vuole sentire ragioni e pensa, con la scusa di farsi restituire dei regalini di quasi nessun valore, di poterle parlare (si fa per dire) e farla ritornare a più miti consigli.
– Apri questa maledetta porta! – urla, mentre i quattro all’interno discutono a bassissima voce sull’opportunità o meno di farlo entrare e, alla fine, decidono che è meglio aprire.
– Puttana! Lorda! Troia! – esordisce Giuseppe appena affacciatosi in casa, poi le si scaglia contro e comincia a picchiarla selvaggiamente con calci e pugni. Mario, che sulle prime è rimasto per un po’ a guardare mentre la povera Teresa chiede disperatamente aiuto, cerca di trattenere l’aggressore e si becca una raffica di contumelie accompagnata da un paio di schiaffi. L’intermezzo però dà il tempo a Teresa di mettersi in salvo.
Giuseppe è furioso. Non contento di quanto ha già fatto, afferra il ragazzo per i baveri della giacca e tenta di trascinarlo verso una finestra per buttarlo di sotto, poi mette una mano in tasca come a voler prendere un’arma. Mario, intuendo che potrebbe capitargli qualcosa di brutto, con una mossa improvvisa sferra una tremenda testata sulla faccia dell’avversario che cade tramortito a terra, mentre un fiotto di sangue sgorga da un angolo della bocca. Giuseppe si mette due dita in bocca e scopre che gli sono saltatati i due incisivi superiori. Incurante del dolore e del sangue che continua a scorrere si rialza, si guarda intorno e vede una scopa. L’afferra e vibra un potente colpo sulla testa di Mario che cade a terra a sua volta, sanguinando. Giuseppe si avvicina per continuare a colpire ma intervengono gli altri tre tutti insieme e riescono a evitare guai peggiori. Antonio tira due schiaffi al fratello rimproverandolo e ottiene il risultato di far calmare l’aggressore, poi lo prende sottobraccio e se lo porta a fare quattro passi verso il ponte di San Francesco.
– Giusè, hai ragione – comincia a blandirlo – Teresa e mio fratello si sono comportati male, ora aggiustiamo tutto, stai tranquillo.
– Tonì, tu si che sei un amico! Quella troia mi vuole lasciare per mettersi con tuo fratello… e mò i denti chi me li paga? – farfuglia tamponandosi il sangue con un fazzoletto.
– Ti ho detto di stare tranquillo che me la vedo io… aspetta… sta venendo Giovanni, lo chiamo e lo mando a prendere mio fratello così parliamo da cristiani – Antonio ferma il comune amico e lo incarica di andare a casa di Teresa e di portare da loro Mario, che arriva pochi minuti dopo con la testa fasciata.
– Chiedi scusa come si deve a compà Giuseppe – intima Antonio al fratello minore.
– Scusa compà… non so che mi è preso… – Mario capisce che bisogna stare al gioco, Giuseppe è un tipo pericoloso e potrebbero venirgli grossi guai.
– Guarda che mi hai fatto – gli risponde quello aprendo la bocca e lasciando vedere il vuoto degli incisivi.
– Stai tranquillo compà, la spesa dei denti la pago io, scegliti il dentista e fammi sapere quant’è – lo tranquillizza Mario. La pace è fatta e i tre si abbracciano. Poi, insieme, tornano in casa di Teresa. Bisogna chiudere un accordo anche con lei e la madre.
– Stasera non è successo niente – esordisce Giuseppe con tono di minaccia – se caso mai vi dovesse chiamare la Questura, dovete dire che Antonio e Mario sono venuti qui mentre io già c’ero e che mi hanno aggredito. Siamo tutti d’accordo? – i quattro, a malincuore, acconsentono.
Che Giuseppe abbia in mente qualcosa? Che c’entra la Questura se tutti sono d’accordo che non è successo niente e le spese del dentista saranno pagate da Mario?
La sorpresa arriva con la befana del 1947. Sono le 19,00 del 6 gennaio quando Giuseppe si presenta alla Questura di Cosenza per sporgere denuncia contro Mario per averlo aggredito rompendogli i due incisivi superiori con una testata. La Polizia ferma Mario il quale, ovviamente, fornisce una versione diametralmente opposta a quella di Giuseppe. Dice che lui, il fratello Antonio e Giuseppe sono amici intimi ed è stato proprio Giuseppe a invitarlo a godere delle prestazioni di Teresa dietro il pagamento di somme di denaro per la ragazza e di cibo e vino per sé stesso. Aggiunge che ogni volta che andava a casa di Teresa, Giuseppe assisteva passivamente ai loro incontri e che qualche volta si coricava nel letto con loro due, solo per guardare meglio. Una storiaccia. I poliziotti ascoltano anche Teresa, sua madre e il fratello di Mario che forniscono una versione sostanzialmente uguale a quella di Mario. Ma Teresa, ricoverata nella sala celtica dell’Ospedale, svela anche l’antefatto della rissa:
– Mentre tornavo con gli oggetti e stavo per restituirglieli, Giuseppe mi ha colpito con un calcio e con pugni, come faceva sempre durante la nostra relazione. A questo punto Mario si alzò dalla sedia per dividerci dicendogli: “Perché meni Teresa?” e Giuseppe gli rispose: “Sei anche tu un miserabile! Usciamo fuori”. Allora i tre uomini uscirono e andarono sopra Palazzo, tornando a casa mia dopo una decina di minuti e mentre si avvicinavano sentivo Giuseppe che ripeteva sempre le stesse parolacce e le stesse minacce contro Mario. Una volta dentro casa, Giuseppe afferrò con una mano Mario per il bavero della giacca e con l’altra cercò di prendere qualcosa in tasca dicendogli: “Miserabile!”. Mario, con una mossa fulminea bloccò la mano che Giuseppe teneva in tasca e gli diede una testata in faccia dicendogli a sua volta: “Miserabile sei tu!”. A questo punto siamo intervenuti tutti e li abbiamo divisi e Antonio diede due schiaffi in faccia al fratello per evitare guai peggiori. Giuseppe, allora, si scagliò contro di me che stavo uscendo di casa e prese una scopa per colpirmi ma io riuscii a evitare il colpo e lui si scagliò contro Mario e lo colpì sulla testa. Poi lui e Antonio uscirono.
– Ma Mario ti pagava? E come ti pagava? – le chiede il commissario che la interroga.
– Mi ha sempre pagato in contanti e non ricordo se mi ha dato 5 o 6 mila lire in due o tre volte – risponde.
– Perché è finita la relazione con Giuseppe? – continua il commissario.
– Per i continui maltrattamenti che mi ha sempre riservato ma che non ho mai denunciato per paura di conseguenze più gravi.
– Ti risulta che Mario dava soldi a Giuseppe per farlo stare con te?
– In mia presenza, mai. So, però, che Giuseppe mangiava e beveva con la roba che Mario faceva portare a casa mia e che pagava in contanti.
– E tu gliene davi soldi a Giuseppe?
– Molte, anzi troppe volte sono stata costretta a dargli il denaro che guadagnavo vendendomi ad altri per paura di essere picchiata.
Gli inquirenti, a questo punto, decidono di incriminare Giuseppe per sfruttamento della prostituzione e la madre di Teresa per induzione alla prostituzione. Lei era sempre in casa quando la figlia riceveva i clienti e quindi è colpevole. Ma Maria si giustifica asserendo di essere anche lei vittima della violenza di Giuseppe:
– Io non potevo ribellarmi perché lui era diventato un vero e proprio despota in casa nostra. Ci picchiava e qualche volta mi mandò via di casa facendomi dormire fuori. Prendeva i soldi che mia figlia guadagnava prostituendosi con uomini che portava Giuseppe.
Giuseppe, Mario e Maria finiscono in Tribunale, ognuno col suo capo di imputazione e il 14 marzo 1947 ascoltano la lettura della sentenza: Giuseppe e Maria sono dichiarati colpevoli e condannati rispettivamente a tre anni e a un anno. Mario viene assolto.
Due anni dopo, in Appello, la sentenza sarà riformata per Maria che viene assolta per insufficienza di prove. Il 6 maggio 1952, la Cassazione dichiarerà inammissibile il ricorso di Giuseppe.
E Teresa?
Di lei si sono scordati tutti.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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