Sono solo voci che volano libere in paese, ma il brigadiere Giuseppe Papa, comandante della stazione dei carabinieri di Maierà, vuole vederci chiaro: è o non è incinta la signora Mariantonia Laino di anni 36 maritata Magurno Giuseppe fu Luigi, residente all’estero da circa dieci anni?
Per scoprirlo, ma soprattutto per scoprire l’identità dell’eventuale amante, il brigadiere la fa pedinare non ottenendo altro risultato se non quello di accertare che la donna è visibilmente ingrassata. Dopo quasi un mese, il 14 giugno 1923, le voci raccolte in paese sono concordemente univoche nell’affermare che la donna ha appena partorito e così, accompagnato da un carabiniere, il brigadiere va in contrada Lagarote dove abita la signora Laino, ma non la trova in casa. Gli dicono che è in un fondo di sua proprietà distante dalla casa circa un chilometro. Papa si siede all’ombra di un gelso e ordina al suo sottoposto di andare a chiamare la donna.
Camminando sotto il sole già alto e cocente e bestemmiando per i sudori che gli scendono dalla fronte e lungo la schiena, il carabiniere Sabella raggiunge la donna e l’invita a seguirla.
– Signora – esordisce il brigadiere – ci è giunta voce che siete stata incinta e adesso vi siete sgravata da qualche giorno. D’altra parte dovreste conoscere il carabiniere Sabella che qualche tempo fa è venuto a casa vostra con la scusa di chiedervi un bicchiere d’acqua e vi ha vista incinta. Vorremmo sapere dov’è il bambino…
La donna non sembra affatto imbarazzata davanti all’accusa, si siede sopra uno dei gradini di pietra davanti al portone di casa e, quasi con noncuranza, risponde:
– Si, effettivamente ero incinta di quasi cinque mesi quando la sera del dodici giugno, potevano essere le dieci, ero seduta proprio su questo gradino con i miei due bambini e mi presero dei dolori fortissimi che sembravano doglie. Ordinai ai bambini di andare a letto e rimasi seduta qui perché stavo male. Poi i dolori sembrarono calmarsi e decisi di andare a letto, saranno state le undici, ma appena cercai di alzarmi i dolori tornarono più forti di prima. Io accavallai le gambe e stetti così per un po’, poi sentii che qualcosa doveva uscire e, appena aprii un po’ le gambe, uscì un grosso grumo di sangue che mi sporcò le vesti e cadde per terra.
– Signora… perdonatemi se insisto ma non credo che eravate incinta di cinque mesi, parlate del bambino che è meglio, poi dovrete dirmi del padre…
Mariantonia resta in silenzio per un po’, poi continua:
– Come vi ho già detto, mi uscì un grosso grumo di sangue che cadde a terra. Io lo presi e lo sotterrai sotto quel cumulo di letame – termina indicando il luogo.
Il brigadiere si alza e ordina al sottoposto e a Mariantonia di seguirlo fino al mucchio di letame, quindi, armatosi di una vanga, comincia a scavare nel punto indicatogli. Papa e Sabella scavano e rovistano nel letame per quasi due ore senza tuttavia ottenere alcun risultato poi, spazientito e madido di sudore, si rivolge alla donna:
– Qui non c’è niente. Eviteremmo di perdere altro tempo se ci diceste dove diavolo avete messo l’affare!
– Ma ve lo giuro! L’ho nascosto proprio qui! Non è che qualche cane randagio o qualche volpe ha sentito l’odore del sangue e se l’è rubato?
– Non dite sciocchezze! – tuona il brigadiere, tutto inzaccherato, sudato e maleodorante, nonché incazzato nero – torniamo a casa – ordina.
Ormai è mezzogiorno passato, fuori non si può stare perché fa caldo e i primi morsi della fame cominciano a farsi sentire. La signora prende un mezzo pane, una pezzotta di formaggio pecorino e una bottiglia di vino e tra un boccone e l’altro il brigadiere la incalza con le sue domande:
– Ditemi chi è l’uomo.
– Filippo Vivona – gli risponde Mariantonia senza reticenze – il figlio di Antonio. Ha ventotto anni… non lo vedo più dalla fine di febbraio, forse i primi di marzo…
– Va bene, ma sappiate che non credo assolutamente che eravate incinta di cinque mesi per cui dovrete venire con me perché voglio farvi sottoporvi a visita medica e se, come credo, mi avete mentito, saranno guai…
– Come volete – gli risponde sicura.
Il dottor Ugo Vaccari è il medico condotto di Maierà. Il brigadiere bussa alla sua porta accompagnato dal carabiniere Sabella, da Mariantonia e da una donna portata come testimone. Dopo averla sottoposta a visita, il medico si siede alla sua scrivania, guarda negli occhi tutti i presenti che fremono in attesa di conoscere il suo verdetto, inforca gli occhiali a pinza e, quasi non curandosi della loro presenza, si mette a scrivere ripetendo ad alta voce:
– Attraverso le pareti addominali si palpa l’utero col suo fondo nel terzo superiore sottombelicare, della linea scifo-pubica, di forma globosa, consistenza dura e dolente alla pressione. All’ispezione dei genitali esterni si osserva lochiazione siero-sanguigna, edema vulvare e piccole abrasioni alla forchetta. Al riscontro, la vagina si presenta sfiancata, l’orifizio uterino dilatato di circa cinque centimetri e la cavità occupata da coaguli sanguigni. Le mammelle si presentano turgide con pigmentazione marcata dell’areole ed appariscente marezzamento sieroso. Alla espressione fuoriesce colostro. Per tutte le suddette considerazioni affermo che la paziente trovasi in puerperio da circa 5 giorni.
– Cioè? – fa il brigadiere.
– Cioè la signora ha partorito, a termine, al massimo da cinque giorni…
Mariantonia abbassa gli occhi e si asciuga una lacrima che sta per rigarle il viso. Il brigadiere la guarda severamente, poi le dice:
– Allora, vogliamo dire che fine ha fatto il bambino e la chiudiamo qua?
– Lasciatemi sola con lei – gli risponde indicando la testimone – lo dirò a lei…
Usciti tutti i maschi dallo studio del dottor Vaccari, le due donne confabulano per qualche minuto, poi la testimone apre la porta, chiama il brigadiere e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Mariantonia è bianca come un lenzuolo e maltratta un fazzoletto. Senza dire una sola parola si incammina in mezzo ai due carabinieri.
Una volta giunti a casa, Mariantonia fa segno al brigadiere di seguirla. I due si inoltrano nel terreno coltivato per circa duecento metri, poi la donna si ferma accanto a un sasso e lo indica. Papa chiama a gran voce il suo sottoposto e gli dice di scavare in quel punto facendo molta attenzione. Sabella non deve quasi scavare. Sotto pochi centimetri di terra c’è qualcosa avvolto in un grembiule. Il carabiniere rimuove tutta la terra intorno con delicatezza e ripulisce l’involto altrettanto delicatamente, poi solleva il corpicino tenendolo davanti a sé tra le mani. Il brigadiere Papa non può trattenere un gesto di stizza e una imprecazione solo sussurrata mentre tutti e tre si avviano, uno dietro l’altro come in un corteo funebre, fino alla casa e quindi in caserma.
Mariantonia viene chiusa in camera di sicurezza e il corpicino, adagiato su un tavolo, viene amorevolmente vegliato dai carabinieri fino all’arrivo del Pretore e del medico legale.
– Non ha usato alcuna violenza per ucciderlo – dice il perito – il bambino è morto soffocato dal grembiule avvolto intorno alla testa e, forse, dalla terra con la quale è stato coperto. Non sono in grado di stabilire se era già morto quando l’ha sotterrato.
Mariantonia viene rinviata a giudizio per avere cagionato la morte di un infante non ancora iscritto nei registri dello stato civile.
Il 24 marzo 1924, la giuria popolare le riconosce il momentaneo stato di infermità mentale, tale da toglierle la coscienza e la libertà dei propri atti e così Mariantonia può tornarsene a casa libera.[1]
[1] ASCS, processi Penali.
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