AIUTA IL VIVO E NON IL MORTO

Sono le otto di mattina del 24 maggio 1912 e il brigadiere Angelino Casu della stazione di Cosenza, accompagnato dal carabiniere Vincenzo Bray, si reca all’ospedale cittadino per mettere a verbale le dichiarazioni di una certa Domenica Viteritti, prostituta ventiseienne, che qualche giorno prima è stata pestata a sangue.
– Era il 15 maggio, mancava una mezzoretta a mezzanotte; io ero abbastanza ubriaca e ho avuto una discussione col mio amante Antonio Cervino nel basso di Vico II Santa Lucia dove abito. A un certo punto ha preso un pezzo di legno e ha cominciato a tempestarmi di colpi su tutto il corpo. Io non sono né andata subito all’ospedale, né ho sporto querela, poi due o tre giorni fa non potevo più resistere per il dolore e sono venuta a ricoverarmi. Adesso voglio sporgere querela contro il mio amante.
Stando a quanto dice il referto medico di entrata, la cosa non dovrebbe essere tanto grave, una cosa che rientra nella normalità delle botte quotidiane, insomma. I carabinieri tornano in caserma e convocano Antonio Cervino, cocchiere trentacinquenne, e gli chiedono conto dell’accaduto.
– Ma quando mai! Non l’ho toccata, era ubriaca ed è caduta. Se no, perché non è andata prima all’ospedale e non mi ha denunciato? Marescià, ve lo dico io perché… perché l’ho lasciata e adesso vuole vendicarsi – si difende.
Casu però non gli crede, la donna ha contusioni su tutti e due i piedi, alle gambe, un occhio nero, un taglio allo zigomo sinistro, una contusione all’osso sacro e, infine, un sospetto schiacciamento toracico, ma deve rilasciarlo essendo trascorso il periodo di flagranza.
Le cose, però, si complicano maledettamente il 29 successivo. Le condizioni di Domenica peggiorano improvvisamente e, verso le undici di sera, muore. Adesso c’è in ballo l’accusa di omicidio. L’autopsia, già dalla sezione del cadavere, lascia supporre che ci sia qualcosa di più e di diverso da una caduta, ma i periti hanno bisogno di molto tempo per poter analizzare a fondo i reperti che prelevano. Intanto riscontrano un’anomala presenza di sangue nerastro nel cervello e le meningi fortemente infiammate; il polmone sinistro è malconcio, completamente ricoperto di puntini neri, e ci sono molte aderenze della pleura; la milza di dimensioni doppie rispetto al normale, il rene destro presenta le caratteristiche tipiche di una infezione.
Antonio Cervino viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario e nuovamente sottoposto a interrogatorio.
– Nonostante sia sposato, da circa tre anni avevo una relazione con Menichella Viteritti che, liberamente, faceva la prostituta. Io l’ho conosciuta ad Acri dove, con la scusa di prostituirsi, faceva la confidente dei carabinieri. Quando terminai il mio lavoro nel paese e mi trasferii a Castrovillari, lei mi seguì e continuò a prostituirsi senza che io l’abbia mai sfruttata. Anzi, quando fu arrestata per furto e detenuta nel carcere di Cosenza, io le ho pure pagato le spese. Mi dite che alcuni testimoni affermano che quando mangiavamo nella cantina di Giuseppina De Marco il conto lo pagava sempre lei, ma questo è assolutamente falso. La verità è che, siccome avevo deciso di lasciarla, lei cominciò a tormentarmi. Dopo l’ultima volta che sono stato con lei, la notte dal 3 al 4 maggio, sono andato alla fiera di Corigliano per comprare un cavallo e non ci sono più tornato. Passati cinque o sei giorni, una sera ero nella cantina di Giovanni Rizzuto e stavo mangiando con mia moglie e i miei cognati, lei si presentò lì ubriaca fradicia e mi fece una scenata. “Svergognato e cornuto! Te ne devi venire con me e non con questa puzzolosa di tua moglie!” mi disse davanti a tutti e dopo cadde a terra, tanto era ubriaca. Qualcuno la portò in braccio a casa come una pezza. Dopo cinque o sei giorni, mentre stavo passando lungo Via Santa Lucia per andare a governare i miei cavalli, incontrai due sue colleghe le quali mi dissero che Menichella si era ammalata e che sarebbe andata in ospedale per ricoverarsi. Così mi decisi di andare a vedere come stava ed entrai a casa sua. Le chiesi come stava, le feci dichiarare davanti alle sue colleghe presenti che io non l’avevo nemmeno sfiorata, diedi tre soldi a una certa Concetta perché le comprasse una tazza di brodo e me ne andai. Di ritorno dalla stalla mi fermai di nuovo nel basso di Menichella e lei mi chiese di contare degli spiccioli che teneva in un fazzoletto legato. Dopo avere contato gli spezzati glieli restituii e lei se li rimise nel petto. Ricordo anche un altro episodio: circa tre mesi fa venne in Piazza Piccola dove io avevo la mia carrozzella e mi chiese di noleggiarla per trenta centesimi a un’altra prostituta, Rosina la Sangiovannese, la quale doveva andare a Panebianco per incontrare un cliente che la pagava dieci lire. Accettai e mandai il mio cocchiere, ma passarono diverse ore e i due non tornavano, così decisi di andare a cercarli in compagnia di Stanislao Artese, ‘U Rashcatu, anche con l’intenzione di divertirci un po’. Quando trovammo la mia carrozza, dentro c’era anche Menichella completamente ubriaca che si stava divertendo con l’amica, il mio cocchiere e un ragazzino di 11 o 12 anni. Alla mia richiesta di spiegazioni e di un compenso aggiuntivo di una lira e mezza per il ritardo, lei mi tirò una pietra in testa e io dovetti ricorrere alle cure del farmacista Ettore Feraco e del dottore Cesare Elia ai quali dissi di essere caduto. Menichella andò pure lei dal medico perché si fece male cadendo, tanto era ubriaca, ma disse che l’avevo picchiata e non è assolutamente vero! Ma  la cosa venne all’orecchio del brigadiere Casu che mi interrogò sulla faccenda e io gli dissi che avevo intenzione di querelare Menichella.
– Ci sono un paio di cosette che non quadrano – obietta il Pretore Antonio Macrì – la prima è che non riesco a capire il motivo per il quale quando andasti a trovare la Viteritti a casa sua le facesti dichiarare che non l’avevi picchiata. Se non lo avevi fatto non c’era motivo di farglielo ripetere davanti a testimoni; la seconda è che il brigadiere Casu e il carabiniere Bray sostengono che quando ti interrogarono per il fatto della carrozza, tu ammettesti di averla picchiata e adesso dici il contrario. Come la mettiamo?
– Signor Pretore, onestamente non so dire perché le feci dichiarare di non averla picchiata. Per quanto riguarda l’altra questione i carabinieri si sbagliano perché io non ho mai dichiarato una cosa del genere – cerca di difendersi, senza tuttavia essere convincente.
– Ci sai dire con quale frequenza incontravi la Viteritti?
– Prima del 3 maggio scorso passavo quasi tutte le notti a casa sua. Signor Pretore, voglio aggiungere che Menichella molestava continuamente mia moglie. Ricordo che una notte, a dicembre dello scorso anno, durante la quale io dormivo con mia moglie, venne in carrozza sotto casa mia e cominciò a urlare parole oscene ma né io né mia moglie ci affacciammo e allora urlò che la mia stalla stava bruciando ma io non mi affacciai e mia moglie la mandò via dicendole: “Vattene che Totonno non c’è!”. Un’altra volta, non ricordo con precisione se era la domenica di Pasqua o il lunedì, venne nella mia stalla, mi prese per il petto e mi disse: “Devi venire a stare a casa mia!” e io la minacciai di chiamare le guardie. A questo fatto era presente Giovannina Malizia, ‘A Carriatura.
Il Pretore, guardando con aria perplessa il cancelliere, decide che può bastare e fa portare via Cervino. Intanto viene recapitata in Pretura una lettera anonima molto circostanziata che viene presa in seria considerazione per gli spunti investigativi che offre:
Ill.mo Signor Pretore
Io uomo da coscienza e di fede vengo con questa mia a darci informazione della defunta Domenica Viteriti e del malfattore soprannominato il Guerrino.
E vero che la disgraziata era una prostituta, e è pure vero che dava a mangiare all’assassino della propria vittima, di più gli dava denari e lo vestiva; ma lui sempre crudele a dargli delle bastonate da orbo senza pietà e bastona ogi, bastona domani, nessuno dei testimoni che si sono venuti a saminare e che sanno le cose meglio di me sono andati all’autorità a denunziare quel malfattore.
Ill.mo Signor Pretore chiamate di nuovo i testimoni qui sotto segnati e fati parlare con glialtri testimoni che segno io qui sotto e fatici fare confronto per vedere se dicono la verità o pure no: Rosa Prato abitante in via S. Lucia, lei dovrebbe dire tutto ma si mette paura di suo figlio Francesco Passannanti che và a favore del malfattore e minaccia sua madre di bastonarla se dice la verità, quanto al Passannanti e andato la mattina che la disgraziata aveva avuto le percosse e andato assollevarla dal letto per vedere se la poteva fare alzare. Chiamate di nuovo a Francesca soprannominata la Vavusa che lei era la padrona di casa e ci stava sempre dentro la casa della vittima che lei potrebbe dire tutto, nongià di quando lo chiamata io che lei scendeva dall’ufficio della S.V. Ill.ma lei mi disse che bisogna aiutare il vivo e non il morto. Quando la mattina che la Signora padrona di casa era andata a riscuotere la moneta dalla disgraziata, che pagava 2 £ al giorno, in presenza di Passannanti e Rosa Prato e altri, la povera defunta disse questa notte il Guerrino e sua moglie mi anno ucciso di bastonate e mi anno calpestato come uova. Chiamate la Prostituta Rosina la Sangiovannese che si liticò con la sua padrona di casa a nome Peppinella la Raschiata, che le disse che la povera morta non gli mandava nessuno biglietto da mille, che qualche cosa la poteva avere dal vivo e non dalla morta.
Chiamate a Peppinella la tarantina che stanno muro a muro col capezzale del letto e si sente li dentro pure se uno fiata, era possibile che si sentivano le percosse e le grida della povera vittima? Mandate l’autorità a pigliare le perizie a quella casa e vedete se o torto o ragione.
Chiamate le persone di coscienza e le persone che dicono la verità, che sarebbero i presenti, che potrebbero fare confronto con le persone che sisono saminati e si debbono saminare per contestarcelo innanzi alla S.V. Ill.ma: il calzolaio Vicenzo di rimpetto alla porta della defunta con il suo giovane vi sapranno dire tutto che loro lavorano e parecchie notti loro sono usciti a vedere di che si trattava.
Chiamate pure lelettricista Mostardi che e un giovanotto con i capelli ricci e non so se è sopranome o pure cognome, che una notte passando proprio quanto la povera gridava lui a fatto leva alla porta e entrato a dividere poi lui pratticava per quella contrada che amoreggiava con una signorina e ci stava le nottate intiere e vi potra dire per quanto sappia. Non altro a dirle la riverisco Suo Devotissimo Servo…
Mi anno calpestato come uova ripete mentalmente il Pretore mentre prende dal fascicolo la relazione della sezione cadaverica per rileggere quanto c’è scritto in relazione ai polmoni e alla milza della vittima. E si, sembra proprio che l’anonimo sappia davvero come sono andate le cose. Menichella è stata massacrata di botte.
Chiama i nuovi testimoni e richiama tutte le persone già sentite ma non cava un ragno dal buco perché tutti continuano a trincerarsi dietro i “non so” e i “non ricordo”; anzi addirittura aumentano le testimonianze a favore di Cervino e tutte sono concordi nell’affermare che Menichella era sempre ubriaca e che per questo motivo qualche volta Totonno la picchiava.
Gli unici ad ammettere qualcosina sono Rosina Mazzei, prostituta come Menichella, la quale sostiene di essere stata presente quando in ospedale il brigadiere Casu insisteva per far sporgere querela contro Cervino e la poveretta gli disse se guarisco mi percuoterà di bel nuovo, ma poi si decise a denunciarlo ed Ernesto Mostardi, l’elettricista nominato dall’anonimo, il quale sostiene che Totonno picchiava con calci e pugni Menichella per ogni nonnulla e che talvolta notava che si coricava senza contusioni sul viso ed al mattino si alzava con gli occhi gonfi e contusi.
In questo frattempo i periti consegnano la relazione definitiva sulle cause che hanno determinato la morte della ragazza: causa unica e determinante della morte di Viteritti Domenica è stata l’infezione settico-piemica-eresipolacea dovuta allo streptococco penetrato prima da una lesione di continuo alla regione zigomatica destra e poi propagatasi agli organi interni ed alla massa sanguigna.
Questo si che aiuta il vivo e non il morto! In base a ciò l’accusa viene modificata in omicidio preterintenzionale e Totonno può tirare un bel sospiro di sollievo perché i guai grossi sono alle spalle.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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