POMERIGGIO DI FUOCO

– Sette punti e tre di buon gioco fanno dieci e ventuno li avevamo, abbiamo vinto! – è il pomeriggio del 23 aprile 1920, Silvio Alfano, Giorgio Giudice, Luigi Covelli e Raffaele Bernaldo stanno giocando a tressette nella cantina gestita da Salvatore Caruso a Zumpano. Finita la partita, al gruppo di giocatori si uniscono altri amici per fare il padrone e sotto e bere il litro di vino messo come posta al gioco.
Cinque sette e nove, diciassette e diciannove, scupa a ottu e scupa a nove, vintitri e trentunu a culure… – dopo aver dato le carte,  Silvio Alfano cantilena la regola per stabilire chi sarà il padrone del vino.
No, hamu ‘e fare vintunu e no trentunu – protesta Luigi Covelli dopo aver dato un’occhiata alle sue carte.
– ‘A regola è trentunu, ‘un rumpere ‘u pasticciotto – lo riprende il primo.
E mò facimu vintunu.
Iu tiagnu diciannove ma fallu tu ‘u patrune… – Silvio Alfano sa che Luigi è un tipo pericoloso e lascia perdere, così padrone del vino è Covelli.
– ‘U fazzu iu? Iu ‘u fazzu pecchì tocca a mia, no pecchì tu dici ca ‘u puazzu fare, oi strunzu! – Luigi è su tutte le furie, la frase di Alfano gli è sembrata un’offesa e reagisce violentemente cercando di tirare un pugno in faccia all’avversario, ma tra gli altri giocatori c’è il fratello di Silvio, Pasquale, che si intromette per difenderlo e tira due colpi di scudiscio in testa a Covelli, il quale cerca di scagliarsi contro Pasquale ma questi, tenendolo a distanza con lo scudiscio, gli dice:
‘Un ti movare ca t’abbampu! – intendendo con ciò che gli avrebbe sparato contro. Covelli si ferma, sbuffando apre la giacca, si sbottona il gilet mostrando la camicia e replica:
‘U vì? Signu dissarmatu… ‘un te puazzu fare nente…
Tutti gli altri pensano che si sia andati troppo oltre per un bicchiere di vino e si mettono in mezzo riuscendo a riappacificare i contendenti, poi da buoni amici dividono il litro di vino e quasi tutti lasciano la cantina. Tra questi c’è Luigi Covelli che ha fatto solo finta di riappacificarsi con gli Alfano, ma l’animo gli ribolle di odio e corre a casa a prendere la sua rivoltella per andare a regolare i conti. Mentre sta uscendo, il padre gli chiede perché è tornato per armarsi e Luigi gli racconta tutto. Apriti cielo! Sante Covelli, che non è un angioletto avendo scontato una condanna a dieci anni per omicidio, si incazza più del figlio. Prende un’altra rivoltella e segue Luigi.
La cantina di Salvatore Caruso è in un magazzino del palazzo comunale, proprio sotto la chiesa di San Giorgio. Padre e figlio abitano un po’ più su e quando arrivano all’altezza del muretto che cinge lo spiazzo davanti la chiesa vedono a una ventina di metri da loro, davanti al Comune, i fratelli Alfano. Luigi Covelli si mette dietro il muretto, dalla parte della chiesa, e il padre si appiattisce contro il parapetto dalla parte opposta della strada, leggermente più in avanti. Tirano fuori le rivoltelle e Luigi Covelli lancia la sfida:
– Chi mi ha tirato la bastonata si faccia avanti! – Pasquale Alfano che, in compagnia di Gaetano Bisciglia, si sta allontanando dalla cantina ha un sussulto e si gira per rispondere, ma l’amico lo trattiene per un braccio. Nello stesso momento Silvio Alfano tira fuori la sua rivoltella e si para davanti all’avversario e cominciano a sparare l’uno contro l’altro. Bastano pochi istanti e anche Pasquale, liberatosi dalla stretta dell’amico, da una parte e Sante dall’altra cominciano a tirare revolverate.
I fratelli Alfano, che si sono fatti trovare imprudentemente allo scoperto, cercano riparo per sfuggire ai colpi che fischiano minacciosi intorno a loro. Pasquale si ripara dietro un angolo del palazzo comunale e Silvio si appiattisce contro un muretto dalla parte opposta alla posizione degli avversari.
Nella disposizione dei contendenti, quelli più esposti ai colpi sono Sante Covelli da una parte e Silvio Alfano dall’altra e infatti entrambi vengono colpiti al petto.
Sante cade a terra ma la sua ferita non è grave. Il proiettile entra ed esce senza ledere organi vitali.
Silvio invece vacilla, attraversa la strada barcollando e riesce a percorrere una ventina di metri verso il basso, cercando di raggiungere una casetta poco sotto il livello della strada. Comincia a scendere i cinque gradini che lo separano dalla salvezza ma l’emorragia interna che il proiettile gli ha causato non gli dà scampo e cade ruzzoloni in fondo alla scala, con i piedi che toccano la porta della casa. È morto.
I due avversari rimasti in piedi si scambiano qualche altra revolverata e poi, finite le munizioni, se la danno a gambe levate in direzione opposta.
Quando torna la calma e la gente esce a gustarsi la scena, c’è una brutta sorpresa: per terra non ci sono due corpi ma tre. Oltre a Sante e Silvio, sulla porta della bettola c’è Giorgio Giudice il quale, quando inizia la sparatoria stava uscendo dalla cantina e si è trovato sulla linea di fuoco diretta a Pasquale Alfano, venendo centrato da un colpo all’inguine e, nel movimento istintivo di girarsi per il dolore, da un altro colpo al gluteo sinistro.
La prima impressione che hanno l’appuntato Nunzio Nuzzi, comandante ad interim della caserma di Celico, e i suoi sottoposti quando arrivano sul luogo è quella di un campo di battaglia. Bossoli dappertutto, muri, porte e finestre sforacchiati dalle pallottole esplose, una trentina rapporta per difetto l’appuntato. Ricevute sommarie informazioni sui fatti, Nuzzi va a casa di Sante Covelli e lo trova a letto ferito, ma di Pasquale Alfano e Luigi Covelli ancora nessuna notizia. Arrivano anche dei rinforzi da Spezzano Sila e, anche se è ormai notte inoltrata, si comincia a battere la campagna e a perquisire le case dei parenti e degli amici dei latitanti, senza però successo. Non si trovano nemmeno le armi, nemmeno  quella appartenuta al morto.
– Ad ammazzare Silvio Alfano è stato il fratello Pasquale mentre sparava contro di me e di mio figlio che ha risposto al fuoco per difesa. Io non ho sparato perché non ho armi e poi stavo camminando in pace per conto mio… mi sono trovato in mezzo senza sapere come e perché… – si difende Sante Covelli, cercando di sviare le indagini perché sa che il suo coinvolgimento nell’omicidio questa volta lo porterebbe diritto all’ergastolo.
La sua versione, però, crolla nel giro di pochi minuti, giusto il tempo di interrogare qualcuno dei paesani che ha assistito alla scena da dietro le finestre e ha parlato. Ma l’appuntato è convinto che nessuna delle persone interrogate abbia detto la verità fino in fondo e che si nasconda qualcos’altro a carico dei Covelli, dei quali tutti hanno paura per i loro precedenti penali. Nello stesso tempo viene accertato che gli Alfano giravano armati essendo in possesso di regolare porto d’armi, mentre quelle dei Covelli sono detenute illegalmente.
Quando il Pretore di Spezzano Sila interroga Giorgio Giudice sorgono dei sospetti che anche lui possa aver partecipato alla sparatoria, sia perché il cantiniere ha detto che anche Giudice, da lui visto in compagnia di Sante Covelli, probabilmente era armato, sia perché dichiara di non essersi accorto di avere ricevuto due colpi di rivoltella ma solo uno.
– Probabilmente il secondo l’ho ricevuto mentre bussavo alla porta della cantina che nel frattempo era stata chiusa dal proprietario – asserisce, ma così non può essere perché viene accertato che la porta della cantina non era visibile da nessuno dei partecipanti alla sparatoria e quindi poteva essere colpito solo da qualcuno che gli stava davanti e in alto e non di lato.
– Ripeto che non so spiegarmi come sono stato ferito, né chi mi ha ferito.
– Eri armato quando sei uscito dalla cantina? Il proprietario dice di averti visto una rivoltella in mano – lo incalza il Pretore.
– Assolutamente no! Ero disarmato e se il cantiniere dice il contrario, mente!
– Ma non sei parente dei Covelli? – Continua il Pretore.
– Si, sono parente dei Covelli, così come sono nello stesso modo parente degli Alfano – per il Pretore i dubbi restano, ma questi vengono fugati dalla perizia tecnica che scagiona pienamente Giorgio Giudice.
La stessa perizia conferma la partecipazione attiva alla sparatoria da parte di Sante Covelli e asserisce che i colpi che hanno ferito Giorgio Giudice provenivano dalla parte degli Alfano e non dei Covelli e che a uccidere Silvio Alfano può essere stato solo Luigi Covelli.
Ma come mai i colpi sparati dagli Alfano sono stati indirizzati verso la direzione di Giudice, spostato di alcuni metri rispetto a Pasquale Covelli? Il perito sostiene che a far deviare i colpi sia stato il rinculo della rivoltella ma questa ricostruzione anziché fugare i dubbi li accresce. 
Quando, dopo avere ottenuto alcuni mesi di proroga per completare le indagini, la Procura del re di Cosenza relaziona alla Sezione d’Accusa della Corte d’Appello di Catanzaro, chiede il rinvio a giudizio per omicidio volontario e tentato omicidio tanto di Luigi Covelli, suo padre Sante e Pasquale Alfano, quanto di Giorgio Giudice.
La Sezione d’Accusa, a sua volta, il 22 dicembre 1920, ritiene di dover rinviare a giudizio per i reati contestati solo Luigi Covelli. Pasquale Alfano invece viene rinviato a giudizio per le lesioni lievissime procurate a Luigi Covelli con la bastonata, prosciogliendolo dal tentato omicidio di Sante Covelli, che ritiene essere stato colpito da Silvio Alfano prima che venisse colpito a morte e proscioglie Sante Covelli e Giorgio Giudice per non aver concorso ai fatti loro contestati. Un vero guazzabuglio!
Per quanto riguarda le lesioni riportate da Giorgio Giudice, la Corte, da una esatta e rigorosa valutazione delle prove, ha motivo di ritenere ch’egli sia stato ferito, sia pure per errore, dai colpi esplosi da Pasquale Alfano ma poiché il Giudice fu ferito quasi contemporaneamente a Sante Covelli e l’Alfano agiva per legittima difesa, anche per questo capo d’imputazione deve dichiararsi non doversi procedere.
Infine, quasi come se non fosse successo niente, la Corte dispone, in attesa del processo, la scarcerazione per entrambi gli imputati.
Il processo in Corte d’Assise termina il 13 marzo 1922 con l’assoluzione per Pasquale Alfano e la condanna a cinque anni e un mese di reclusione per Luigi Covelli, il quale rinuncia a presentare ricorso.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

2 commenti

  1. Sono un pro-pro nipote di Silvio e Pasquale inquanto il mio bis nonno era Francesco Alfano altro loro fratello.Vorrei sapere se esistono articoli di giornali del periodo in Vostro possesso e se sapete dove sono custoditi gli atti processuali.Infinite Grazie Ottavio Alfano

  2. Mi scuso per l'enorme ritardo, ma non ho ricevuto alcuna notifica e non mi sono accorto della richiesta. L'unico giornale dell'epoca era Cronache di Calabria e si può trovare sia presso la Biblioteca Civica di Cosenza che presso la Biblioteca Nazionale. Gli atti del processo sono conservati presso l'Archivo di Stato di Cosenza.
    Francesco Caravetta

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