Sono le quattro di pomeriggio del 5 luglio 1924. In contrada Salice, nei pressi di Sartano, Angelo Fazio è davanti alla sua fornace con i lavoranti Valentino Gallina, Domenico Nicoloro, Luigi Foschiani e Luigi Mollucchi da San Miniato in provincia di Firenze per spostare alcuni attrezzi. Proprio in questo momento passa lì davanti Attilio Trotta a cavallo del suo asino che, arrivato davanti alla porta della fornace, si ferma e non ne vuole più sapere di andare avanti.
– Ce l’hai un po’ di biada così si rimette a camminare? – fa Trotta a Fazio.
Foschiani, forse per far risparmiare al padrone la biada, raccatta un pezzo di legno e dà un colpo all’asino. La cosa fa infuriare Trotta, che smonta e gli molla un ceffone facendolo cadere a terra. Foschiani si rialza e i due si azzuffano rotolando a terra. Trotta riesce a prendere un sasso e colpisce l’avversario alla tempia e questo gli dà il tempo di correre a prendere la scure appesa al basto dell’asino e di tornare indietro per ammazzare Foschiani. Solo adesso Fazio si decide ad intervenire per evitare la disgrazia e per fortuna riesce a disarmare Trotta. Tutto finito. No, Trotta, rivolgendosi a Fazio, minaccia vendetta:
– Pagatemi la camicia che mi ha rotto se no finisce male!
– Sì, la camicia te la pago io purché te ne vai! – gli dice e Trotta, accontentandosi della promessa, se ne va. È andata bene.
Sono le cinque e mezza. Foschiani è steso sulla sua branda ancora un po’ intontito, Valentino Gallina è seduto accanto a lui; Luigi Mollucchi sta cucinando della carne davanti alla porta del dormitorio; Angelo Fazio e Domenico Nicoloro sono all’ombra di una quercia ad una cinquantina di metri di distanza. Dalla sua posizione Fazio vede sbucare accanto al dormitorio Attilio Trotta con un fucile in mano e suo fratello Silvio con una rivoltella in pugno. È troppo tardi per correre a fermarli e urla loro di fermarsi, ma quelli continuano e adesso sono davanti alla porta con le armi spianate che guardano verso l’interno. Davanti a loro c’è Luigi Mollucchi che alla vista delle armi, impressionato, sgrana gli occhi e dice:
– Ma cosa fate? siete pazzi?
– Spostati, non cerco te – gli risponde freddamente Attilio Trotta.
All’interno Foschiani è sempre sulla branda e sempre seduto accanto a lui c’è Gallina che vede Attilio Trotta col fucile spianato nella loro direzione e, come un lampo, mentre si butta a terra dà uno spintone a Foschiani nello stesso istante in cui Trotta spara una fucilata. La scarica di pallini colpisce Foschiani alla spalla sinistra e subito urla:
– Son morto!
Gallina, approfittando dell’attimo di confusione e del fumo che c’è nella stanza, si rialza e chiude la porta per evitare che Trotta spari ancora, ma proprio in questo momento Silvio Trotta spara in direzione di Foschiani due colpi di rivoltella, senza fortunatamente colpirlo, poi i due fratelli si girano e con le armi spianate si allontanano senza fretta.
Luigi Foschiani perde molto sangue e Angelo Fazio, dopo aver cercato di tamponargli la ferita, corre a Sartano per chiamare il medico e per telegrafare ai Carabinieri della stazione di Cerzeto, che arrivano in paese quando ormai è buio e, accompagnati da Fazio, vanno sul posto dell’accaduto. Il ferito non c’è perché il medico, arrivato prima di loro, giudicandolo in pericolo di vita, lo ha fatto trasportare allo scalo ferroviario di Torano per essere inviato subito all’ospedale di Cosenza. Così, il Brigadiere Gaetano Catanoso corre alla stazioncina, ma il ferito è già partito.
I fratelli Trotta restano latitanti per alcuni giorni, poi si presentano e vengono interrogati. Il primo a sedersi davanti al Pretore è il ventiquattrenne Attilio:
– Il giorno cinque, verso le tre di pomeriggio, mi avviavo verso la contrada Salice per fare erba che serve per i pagliai e passando vicino al casino di Angelo Fazio mi fermai qualche minuto a parlare con lui, stando a cavallo del mio asino. Siccome la bestia non voleva ripigliare il cammino, io dissi per scherzo a Fazio “forniscimi un po’ di biada che gliela diamo”. Il Foschiani, ch’era lì vicino, esclamò “ora gliela do io la biada” e, dato di piglio ad un grosso pezzo di legno, assestò alla povera bestia un tale colpo che si piegò ed io fui costretto a cadere per terra. Mi risentii col Foschiani ed avendo egli minacciato di percuotere anche me, ci afferrammo ed io gli assestai uno schiaffo. Intervennero allora non so se due o tre compagni del Foschiani e tutti mi tempestarono di pugni e calci. Per tre o quattro volte cercai di liberarmi, ma essi mi furono sempre addosso e mi ridussero un cencio, facendomi uscire sangue dalla bocca e dal naso e facendomi gonfiare anche l’occhio destro.
– Veramente io non vedo segni di percosse sul tuo viso…
– È vero che oggi non presento più tracce di lesioni perché sono già guarite, ma assicuro che quel giorno mi sentivo assai male. Anche ora, quando mangio, sento dolore alle mascelle. Infuriato com’ero corsi ad una casa colonica ad armarmi di fucile e tornato sul luogo esplosi un colpo all’impazzata contro Foschiani. Presi pure una rivoltella, ma mio fratello me la tolse dalla tasca e con essa esplose due colpi in aria.
Poi è la volta del diciottenne Silvio:
– Verso le quattro del giorno cinque, mentre lavoravo in un mio fondo che dista circa un chilometro dalla fornace, vidi mio fratello Attilio che, correndo con in mano un fucile a due colpi, si avvicinava verso la fornace. Attilio aveva il naso, la bocca ed il petto della camicia insanguinati e, avendogli chiesto che cosa gli fosse accaduto, egli niente mi disse e continuò a correre. Io gli corsi appresso senza poterlo raggiungere e vidi che egli, giunto a quattro o cinque metri da Foschiani, gli esplose contro un colpo di fucile ferendolo. Siccome insieme a Foschiani c’erano altri nove o dieci compagni, per tema ch’essi ci uccidessero, esplosi in aria due colpi con una rivoltella che avevo tolto dalla tasca di mio fratello nell’attimo in cui potetti avvicinarlo. Io e mio fratello ci demmo alla fuga e fu allora che Attilio mi raccontò quello che poco prima gli era accaduto.
Riascoltati, tutti i testimoni confermano di aver visto correre insieme i fratelli Trotta con le armi impugnate ed in più il trainiere toranese Raffaele Ippolito si presenta e racconta ciò che ha visto:
– Mentre caricavo dei mattoni presso la fornace di Fazio, vidi passare due giovani che non conosco, uno armato di fucile e l’altro di rivoltella. questi si avvicinarono al casino di Fazio e, fermatisi davanti la porta del vano dove abitano i lavoranti della fornace, esplosero dei colpi di arma da fuoco e poi se ne andarono. Prima che i due giovani si fossero recati al casino, Fazio li chiamò, ma uno di essi gli disse “Fai silenzio altrimenti il primo colpo sarà tuo”.
Questa ultima deposizione è decisiva perché si proceda contro i fratelli Trotta per mancato omicidio premeditato e per questo reato viene chiesto il loro rinvio a giudizio.
Il 22 ottobre 1924 il Giudice Istruttore, in difformità con la richiesta, decide:
Ritenuto che lo stato di sovraeccitazione in cui gl’imputati agirono e le modalità tutte del fatto inducono ad escludere nei prevenuti la volontà omicida ed a mutare, di conseguenza, la rubrica di mancato omicidio in quella di lesioni personali volontarie commesse con arma (fucile), apportanti pericolo di vita, malattia per giorni 72 ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 122. Ritenuto che la qualifica della premeditazione deve essere esclusa, per tali motivi, modificata la rubrica, ordina il rinvio di Trotta Attilio e Trotta Silvio al giudizio del Tribunale Penale di Cosenza.
La causa si discute il 9 gennaio 1925 ed il Collegio Giudicante, concessa ad Attilio Trotta l’attenuante della provocazione grave, lo condanna ad anni 2, mesi 9 e giorni 5 di reclusione; condanna Silvio Trotta, al quale spetta l’attenuante dell’età minore degli anni 21, ad anni 1, mesi 8 e giorni 17 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.
Silvio Trotta ricorre in Appello e l’8 giugno successivo la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza, gli concede il beneficio della provocazione grave e ridetermina la pena in mesi 4 e giorni 21 di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, peraltro già scontata.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.