È il 9 novembre 1889, la vigilia delle elezioni amministrative a Paterno Calabro e il clima in paese è molto teso tra chi sostiene il partito degli “Innovatori”, all’opposizione ma con buone probabilità di vittoria, e il partito dei “Conservatori”, al potere ma inviso perché la sua amministrazione è giudicata immorale e dannosa. Si agita, quindi, fierissima lotta per coloro che stando al posto vogliono restarvi e coloro che li vogliono espellere per surrogarli.
Sono le nove di sera e si cerca di raccogliere le ultime promesse di voto. Achille Filosa e Giuseppe Napolitano, agenti potentissimi del partito Innovatore che dispongono di molti voti, stanchi per i giri fatti casa per casa, tornano insieme verso le proprie abitazioni e si fermano nello spazio che si trova innanzi la palazzina di Napolitano e per rilassarsi passeggiano chiacchierando fino alla cantonata della via, poi tornano indietro.
All’improvviso le detonazioni di due fucilate, una dietro l’altra, non dà loro nemmeno il tempo di capire cosa stia accadendo perché vengono investiti da numerosi pallini e pallettoni. Filosa cade morto all’istante, crivellato dai proiettili, mentre Napolitano è più fortunato perché viene centrato nella parte superiore della spalla sinistra, senza che i proiettili ledano organi vitali.
Prima che arrivino i Carabinieri in paese, i sospetti sull’autore dell’attentato cadono genericamente su qualche militante del partito Conservatore, ma nessuno fa nomi, la paura di ritorsioni fa novanta.
La prima cosa che fanno il Vice Pretore di Dipignano, il Brigadiere Antonio Marchetti ed il Delegato di P.S. Vincenzo Cotecchia, appositamente incaricato dalla Prefettura di Cosenza data la gravità del delitto, è raccogliere la testimonianza del ferito, Giuseppe Napolitano, degente a letto:
– Posso affermare semplicemente che tanto io che l’assassinato Achille Filosa siamo due vittime della lotta elettorale. Appena venne indetto il giorno delle elezioni, due partiti sorsero in questo Comune: l’uno, composto da tutti gli onesti del paese, avea scopo di sorvegliare l’attuale Amministrazione perché niente corretta, era ed è rovinosa delle finanze comunali e molto opprimente per i contribuenti; l’altro è composto dagli attuali amministratori, i quali facevano ogni sforzo per rimanere al potere. Tutti e due partiti si affaticavano e lavoravano per riuscire al proprio intento. Ieri, vigilia delle elezioni, tanto io che Filosa ci posimo in giro per riunire le forze del nostro partito affinché questa mane si fosse potuto votare compatti. Tale operazione ci tenne occupati fino ad ora tarda, e precisamente fino le nove di sera, e dopo ambedue presimo la volta delle nostre abitazioni. Giunti innanzi questa mia casa ci tenemmo in colloquio passeggiando. Fu allora che partirono due colpi d’arma, che ritengo sia stato fucile a doppietta, dai quali lo sventurato Filosa rimase estinto ed io ferito nella spalla sinistra. Ad alta voce chiamai al soccorso e molti accorsero constatando il fatale avvenimento. Io non sono sicuro, ma suppongo che i colpi vennero tirati da uno degli orticciuoli che stanno di prospetto alla via dove noi passeggiavamo.
– Siete riuscito a vedere chi ha sparato?
– Il cielo era coperto di nuvole e sebbene vi era il beneficio della luna, pure non ho potuto scorgere l’individuo o gli individui che ci tesero l’agguato e tanto più che io mi trovavo in orribile orgasmo ed in preda della paura.
– Avete dei sospetti su chi possa essere stato a sparare?
– Come ho detto, non solo ignoro gli autori dell’orribile fatto, ma non saprei manco fornire indizi che possano servire allo scoprimento dei medesimi. Dico solo che tanto io che Filosa non avevamo inimicizie con chicchessia e che, però, debbo fermamente ritenere che colui o coloro i quali si spinsero ad assassinarci vennero a tanto indotti dai gravi rancori contro di noi per la guerra aperta che volevamo sostenere onde rovesciarli dall’amministrazione.
– Chi sono i capi del partito avversario al vostro?
– I capi del partito che noi combattevamo sono il Sindaco Pietro Goffredo, i fratelli Giuseppe, Raffaele e Francesco Antonio Vitelli e Luigi Spada, ma con ciò non intendo dire che fu per opera loro o per mandato di qualcheduno di costoro che io venni ferito e Filosa assassinato.
– Chi abita vicino all’orticciuolo da cui pensate che vi abbiano sparato?
– Giuseppina Marrello, Gaetano Cassano, Francesco Bruno alias Sillo e Anello Bruno.
Nemmeno Basilio Filosa, il padre dell’assassinato fa nomi, ma è anche lui convinto che si tratta di un omicidio politico e che il responsabile debba annidarsi tra gli appartenenti al partito Conservatore.
Il Vice Pretore Agostino Serra va a fare un sopralluogo col Perito Cacciatore Saverio Reda nell’orticciuolo indicatogli dal ferito. Si tratta di un giardino alberato a piante di gelso moro, il di cui terreno è smosso perché zappato di recente. Ci sono delle impronte di scarpe che partono da un albero di gelso e arrivano fino al muro a secco che segna il confine del giardino, al di sotto del quale vi è un altro giardino, dove continuano le impronte e ciò fa ritenere che questa è stata la via di fuga dell’assassino. Poi si concentra sulle impronte e ne segna la forma e le misure, quindi chiede al Perito Cacciatore di verificare la possibilità che un uomo armato di fucile, sparando da dietro l’albero di gelso, possa con certezza ferire od uccidere un uomo che si trovasse avanti lo spiazzo della casa di Giuseppe Napolitano, perché non intercede altra distanza di circa venticinque metri. Si, è certamente possibile.
Dopo qualche giorno di indagini e riflessioni logiche, la nebbia che ammanta il misfatto sembra diradarsi, tant’è che il Brigadiere Antonio Marchetti, raccolte informazioni utili alle indagini, si induce a verbalizzare accuse durissime: la pubblica opinione, mentre fa cadere la responsabilità del misfatto su tutti i membri della Giunta Municipale, ritenendo il fatto una trama infernale da loro ordita per non avere rivali nel potere, ci ha additato come mente direttrice Vitelli Giuseppe, d’anni cinquantadue, impregiudicato, e come braccio esecutore il Maestro Elementare Sicoli Spada Domenico, d’anni ventotto, impregiudicato. E spiega quello che dovrebbe essere il movente del misfatto: premeva al Vitelli di scompaginare le fila del partito avverso, che ostinatamente lo combatteva e l’avrebbe di certo sconfitto, impedendogli così di salire al potere, ciò che per lui è ormai diventato l’unico cespite, risorsa per vivere oziosamente e pieno di vizi. Premeva al Sicoli Spada disfarsi del Filosa perché attorno a quell’onesto, laborioso ed intelligente operaio si stava raccogliendo un forte nucleo di onesti elettori che avrebbero innalzato al potere nuovi elementi, i quali non avrebbero di certo conservato nel suo impiego il Maestro Elementare che tanto si affaccendava per non mollare il cadente edifizio della vecchia amministrazione. Il padre dell’interfetto, basandosi sulle inflessioni suaccennate, ci ha assicurato che l’estinto suo figlio è certamente perito per mano del Sicoli Spada Domenico, fattosi vile esecutore dell’insano proposito formato dal Vitelli e lodato e favorito dai membri tutti del Consiglio. Il superstite Napolitano Giuseppe, nella deposizione fattaci, ha ritenuto per certo essere il Sicoli Spada l’assassino di Filosa e ad avvalorare la sua asserzione ci ha soggiunto che un altro dato di fatto, forse impellente quanto quello della lotta elettorale, spinse Sicoli Spada al maleficio in quanto che questi visse tempo addietro in tresca illecita con la zia materna dell’interfetto, a nome Broccolo Margherita, e siccome il Filosa si adoprò nella propria famiglia acché quella relazione scandalosa avesse a cessare, il Sicoli Spada gliene serbò odio accanito che non sapeva dissimulare, tanto che il morto gli disse più volte “Quando vedo quell’individuo mi sento rimescolare lo stomaco perché so che egli mi odia a morte”. Maggiormente il Napolitano è convinto della colpabilità del Sicoli Spada inquantoché egli dice che, essendogli stretto amico, non ebbe il coraggio di ucciderlo, quantunque si trovasse assieme e per la causa medesima col Filosa, contro il quale vide sparare i due colpi d’arma da fuoco.
Due indizi utili, forse decisivi, vengono dall’autopsia: in una delle ferite sul corpo del povero Filosa viene repertato un brandello di feltro onde sogliono essere composti i tacchetti delle cartucce per i fucili a retrocarica, donde mercé fucile di siffatta specie fu perpetrato il delitto; la palla di piombo rinvenuta nel cadavere è stata sparata da un fucile calibro 16.
E siccome Domenico Sicoli Spada è uno dei pochi paternesi a possedere un simile fucile, il Brigadiere va a fare una visita a casa del maestro e sequestra un fucile a doppia canna, legalmente detenuto, carico con due diverse cartucce, l’una composta di soli pallini e l’altra formata di una palla corrispondente al calibro 16 del fucile. Fatte periziare le cartucce, risulta che il brandello di feltro repertato nel corpo della vittima, pria che avesse subita l’azione dello sparo, dovea essere di colore simile a quello del feltro delle cartucce sequestrate.
È arrivato il momento di contestare i sospetti e gli indizi raccolti sia a Domenico Sicoli Spada, sia a Giuseppe Vitelli, entrambi arrestati, ma per mettere le manette a Vitelli i Carabinieri devono faticare perché, avvisati che si trovava a casa dei fratelli, quando bussano alla porta Vitelli salta da una finestra e scappa verso Dipignano ma poi, venuto a miglior consiglio, rientra in paese facendosi trovare in prossimità della casa del ferito Napolitano.
– Io sono innocente e la mia innocenza può provarsi colle deposizioni dei testi che mi videro affacciare dalla finestra di mia casa allorché furono esplosi i colpi fatali – esordisce Domenico Sicoli Spada.
– Noi sappiamo che odiavate a morte il Filosa…
– Non è vero che nutrivo odio contro Filosa, anzi le più cordiali relazioni di amicizia passavano tra me e lui. Aggiungo che Filosa era il mastro calzolaio che serviva me e la mia famiglia.
– Qualcuno ci ha riferito di un diverbio tra voi, Filosa e Napolitano nel pomeriggio in cui avvenne il fatto. È vero?
– È vero che m’incontrai con loro e Fortunato Terzi ed ebbi un colloquio, ma non venne affatto pronunziata alcuna parola offensiva o motteggi. Si parlò di elezioni comunali ed io promisi a Filosa e Napolitano il mio voto, sebbene mi avessero dichiarato di non credermi perché sapevano che appartenevo al partito contrario.
– Sappiamo anche che avevate una relazione intima con una zia di Filosa e che lui si opponeva in ogni modo…
– Non posso negare che tempo fa Filosa mi fece sapere che nel pubblico circolava la voce che io avessi avuto delle relazioni carnali con sua zia Margherita, ma nel farmi questa dichiarazione subito aggiunse che non ci aveva prestato fede per le buone relazioni che passavano fra noi. Io maggiormente l’assicurai che quella voce era falsa e capziosa e quindi le nostre relazioni rimasero quali erano.
– In definitiva, nel momento del delitto, dove eravate?
– Avevo già cenato e stavo per prendere della frutta quando s’intesero i colpi e quando il pubblico clamore annunziava il fatale avvenimento.
– Questo fucile è vostro? – fa il Vice Pretore mostrandogli l’arma sequestratagli.
– Si e confermo che era carico con una cartuccia con palle e pallini e un’altra di soli pallini.
– Avete sparato e ucciso voi?
– No e ignoro chi abbia potuto compiere il misfatto, ma debbo mettere la giustizia in conoscenza che se Filosa era un giovine esemplare, Giuseppe Napolitano, per l’opposto, ha sempre tenuto una condotta scorretta e si è creato molte inimicizie nel paese.
Poi è la volta del presunto organizzatore dell’agguato, Giuseppe Vitelli.
– Mi sorprende apprendere dal vostro labbro ch’io fui arrestato quale complice nell’assassinio in persona di Achille Filosa e nel mancato assassinio di Giuseppe Napolitano ed è grande la mia sorpresa in quanto non vi era motivo per il quale mi fossi potuto spingere a tale maleficio. Io vivevo in ottime relazioni col Filosa e sono parente col Napolitano, per cui non vi era ragione per trucidarli. D’altronde io sono un galantuomo e ho tenuto sempre alta questa divisa. Il carattere che ho sempre spiegato allontana ogni sospetto da me!
– Filosa e Napolitano erano vostri acerrimi rivali politici…
– Non vi è dubbio che mi combattevano apertamente per farmi cadere dalla carica di consigliere, come accanitamente combattevano gli altri consiglieri comunali, ma ciò per un uomo civile, quale mi reputo, non è motivo per spingermi a commettere due assassinii. Ognuno è libero a dare il proprio voto a chi meglio gli ispira fiducia a potere bene esercitare la carica di consigliere comunale e nessuno può però adombrarsi da una lotta elettorale. A meglio dimostrare che io vivamente professo tali principi, si possono interrogare tutti gli elettori del mio comune se io abbia a loro fatte vive premure per rieleggermi. La mia innocenza è garentia sufficiente per farmi riavere la libertà, né temo le capziose voci dei tristi che credono di congiurare ai miei danni!
– Dove eravate la sera del fatto?
– Ero in compagnia di Fraschitto Napolitano, fratello del ferito, di Ventura Funaro e Giuseppe Cozza ed in loro compagnia mi trattenni fino le ore tre della notte in attesa del Sindaco e dopo rientrai in mia casa.
A questo punto Giuseppe Napolitano viene di nuovo ascoltato per chiarire i termini del diverbio avvenuto tra lui, Filosa e Sicoli Spada:
– Sull’imbrunire del nove novembre io, Filosa e Fortunato Terzi eravamo fermi innanzi al mio palazzo e Domenico Sicoli Spada, venendo dalla parte inferiore della borgata, ci rivolse la parola dicendo “state uscendo pazzi con questa elezione, avete questo sbattito!”. Filosa, in tono risentito, gli rispose “e tu non l’hai lo sbattito? Tu sbatti più di noi perché non solo in paese, ma sei andato a brigare anche in Belsito e sono venute le lettere che tanto assicurano!”. Sicoli Spada, di replica, aggiunse “se io sbatto, sbatto non per me, ma per altro fine”, volendo con ciò dire che non aspirava ad essere consigliere, ma propugnava la candidatura di suo padre e degli altri che erano al potere. A quelle parole Filosa soggiunse “a questo tuo fine spero di non farti riuscire” e Sicoli Spada, volgendoci le spalle per dipartirsi, conchiuse dicendo “e va bene, buonasera!” – poi aggiunge – Quanto a Giuseppe Vitelli ritengo, a dir vero, che non abbia avuta alcuna parte nell’accaduto, neppure come istigatore. Sicoli Spada, come ho detto, aveva causale propria per determinarsi a consumare il crimine e se fu istigato, il suo istigatore poté essere piuttosto il Sindaco perché in grandissima intimità fra loro.
Una lettera viene davvero rintracciata e sequestrata:
Fiumara 8 Novembre 1889
Carissimo D. Alessandro
Per il porgitore vi rimetto questo biglietto onde farvi conoscere che ieri è stato in Belsito il maestro di scuola di Paterno in casa del mio fratello Marco, il quale aveva la lista degli elettori. Nella lista ci siamo scritto 1° il fratello Marco 2° io 3° il fratello Gaetano, ma però il terzo anno fatto sbaglio su la paternità in vece di mettere Gaetano De Bonis fu Fedele si trova iscritto Gaetano De Bonis fu Giovanni. Se voi potete fare correggere questo sbaglio lui viene come gli adetto il maestro di scuola purche vuotava per la lista loro gli corigevano lo sbaglio. Non altro vi saluto, il vostro amico Carmine De Bonis
Intanto i Carabinieri raccolgono la deposizione di Luigi Broccolo, che riporta la confidenza fattagli dal signor Nicola Spada pochi giorni prima del delitto: Giuseppe Vitelli lo minacciò apertamente di morte nel caso si fosse adoperato per farlo scadere da assessore. Poi aggiunge due circostanza allarmanti: la prima è che trovò in casa del ferito tale Giuseppe Florio che confabulava con il fratello del ferito; andato via Florio visibilmente turbato, Fraschitto Napolitano gli raccontò che l’uomo “è venuto qui mandato dal sindaco, minacciando mio fratello che se insiste contro Sicoli, gli farà pagare l’omicidio di D. Ignazio Prantieri”; la seconda è che Luigi Spada, padre naturale di Domenico Sicoli Spada, gli raccomandò di non prendere parte attiva contro costui per la sua punizione, ma di lasciare andare perché non appena Domenico sarebbe uscito dalle carceri lo avrebbe fatto partire subito per l’America, ma rifiutò il consiglio, come, da lui avvisato, lo rifiutò anche il signor Nicola Spada, che gli disse “ti prevengo, però, che Sicoli uscirà lo stesso durante il corso dell’istruzione”. Broccolo riferisce anche che ha fatto dei rilievi sul luogo del delitto e ha seri dubbi sulla circostanza che le fucilate mortali siano partite dall’orto indicato da Napolitano perché, camminando Filosa e Napolitano uno di fianco all’altro e ed essendo stati entrambi feriti al fianco sinistro ed in direzione orizzontale e che il lampo del fucile abbagliò uno di essi, il colpo che ferì l’uno ed uccise l’altro partì da poca distanza da individuo appostato dietro la siepe ch’è sul muretto di rimpetto alla casa di Napolitano. Poi aggiunge che dai suoi rilievi il secondo colpo, invece, dovette partire da un orto di sua proprietà ad una ventina di metri di distanza, colpo che secondo Broccolo sarebbe andato a vuoto, come si vede dalle tracce dei proiettili che colpirono il muro di fronte. La perizia ordinata in merito darà ragione a Broccolo e quindi i sicari furono due e non uno solo.
Bisogna dire che il Tenente Efisio Fadda, che coordina le indagini, ricevuto il rapporto su tutto ciò e interrogato Giuseppe Florio, non ritiene di approfondire la cosa. Poi gli inquirenti raccolgono le ritrattazioni di alcuni testimoni che in un primo tempo avevano deposto che nel momento del delitto avevano visto Sicoli Spada affacciarsi alla finestra di casa sua e la deposizione del sarto Giuseppe Rendace, il quale afferma:
– La mattina dell’11 novembre, verso le ore otto, si presentò nella mia bottega Luigi Spada, padre di Domenico, invitandomi a dire, nel caso venissi interrogato, che io mi trovavo in casa Spada nel momento in cui furono esplosi i colpi che resero cadavere Filosa o almeno che ne ero uscito qualche minuto prima.
Infine, la testimonianza che potrebbe inchiodare Sicoli Spada, se confermata: Rosina Frangella asserisce che Maria Gaetana Petramala, abitante in prossimità di casa Sicoli Spada, davanti ad altre persone le raccontò che pochi minuti dopo sentiti gli spari vide ritirarsi Domenico Sicoli Spada avvolto in un mantello, sotto il quale nascondeva il fucile e che avendogli chiesto se avesse udito gli spari, rispose “non ho sentito niente”. Tutti i presenti al racconto confermano, ma Maria Gaetana Petramala nega di aver fatto la confidenza. Il Brigadiere Domenico Delle Vedove però ritiene che stia mentendo perché costei è legata da cause intime alla famiglia dell’arrestato e facilmente si arguisce che abbia subito l’influenza della parte interessata per nascondere la verità a danno della punitiva giustizia.
A proposito del Sindaco Pietro Goffredo e di Giuseppe Florio, è molto curiosa la circostanza che riferisce il Carabiniere Pietro Barbacetto, di servizio a Paterno la sera del delitto con altri tre commilitoni, allo scopo di vigilare alle elezioni amministrative:
– Verso le ore otto pomeridiane il Sindaco invitò noi Carabinieri ad andare in sua casa per bere un bicchiere di vino. Noi, aderendo all’invito, ci recammo in detta casa ove trovammo certo Florio Giuseppe ed un altro individuo da noi non conosciuto e ci trattenemmo per circa quindici minuti ed uscimmo in compagnia del Florio, il quale ci condusse in sua casa, ove ci trattenemmo un circa venti minuti, onde darci i mantelli perché pioveva. In quel rincontro il Florio ci ebbe ad indicare diversi individui armati di coltelli e pugnali. Difatti, su due di essi rinvenimmo, dietro perquisizione, un pugnale ed un coltello, per cui li traemmo in arresto. Appena giunti alla caserma coi detenuti, ci fu riferito che Achille Filosa era stato ucciso e Napolitano Giuseppe era stato ferito a colpi di fucile.
Finora solo voci, sospetti e indizi sugli esecutori materiali. Gli inquirenti sono (o vogliono essere) in difficoltà. Cosa faranno davanti alla richiesta di libertà provvisoria presentata dagli imputati? Cosa altro potrebbero fare se non concederla, vista la situazione?
Ma ciò ha una conseguenza: Domenico Sicoli Spada, come previsto dal signor Nicola Spada, sparisce ed è noto a tutti che è scappato clandestinamente in America.
E questo convince gli inquirenti che è lui l’unico responsabile del delitto e ne chiedono il rinvio a giudizio, mentre prosciolgono Giuseppe Vitelli.
Il 26 settembre 1890 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta della Procura e ad occuparsi del caso, col rito contumaciale, sarà la Corte d’Assise di Cosenza che, il 17 dicembre 1890, condanna in contumacia Domenico Sicoli Spada all’ergastolo, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie. Nessun ricorso dei legali dell’imputato in appello o per Cassazione.
Trascorsi 25 anni dal delitto, durante i quali nessuno intraprende azioni per tentare di rintracciare Sicoli Spada all’estero, il 22 luglio 1924, considerato che il condannato è ancora latitante, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara estinta per prescrizione l’azione penale in ordine alle imputazioni di omicidio volontario con premeditazione in persona di Achille Filosa e mancato omicidio con premeditazione in persona di Giuseppe Napolitano e revoca il mandato di cattura contro di lui emesso.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.