RANCORE OMICIDA

Nel primo pomeriggio del 26 giugno 1891 un pastore di Falconara Albanese, tornando verso l’ovile nota che le pecore custodite dal suo compaesano Francesco De Bartolo si stanno disperdendo sul monte in luogo detto Le Scale, così si avvicina al posto dove solitamente il diciottenne si sistema per controllare il gregge e rimproverarlo.

Quando è ad una ventina di metri dal posto vede Francesco disteso bocconi con le braccia sotto la testa, evidentemente addormentato, così lo chiama, ma non ottiene risposta. Lancia un fischio acuto e poi lo chiama di nuovo. Niente. Allora si avvicina e quando è a pochi passi lancia un urlo di terrore, poi bestemmiando corre via lasciando lì anche le sue pecore e si precipita a San Lucido per avvisare i Carabinieri.

Non appena i militari arrivano sul posto capiscono il perché del terrore negli occhi del pastore e anche loro faticano ad avvicinarsi a Francesco, che ha il cranio tagliato in due, come tagliata in due è la massa cerebrale. Accanto al corpo c’è una scure sporca di sangue ed è subito evidente che il pastore, adagiatosi a terra bocconi con le braccia sotto la testa per schiacciare un pisolino, è stato sorpreso nel sonno dal suo assassino, che gli ha vibrato con estrema violenza un solo colpo di scure sul capo, facendolo passare istantaneamente dal sonno alla morte.

Il problema, come sempre, è cercare di indirizzare le indagini per scoprire il barbaro assassino e i sospetti cadono subito su di un pastore compaesano, il diciottenne Domenico Genoese, che, così sostengono i testimoni interrogati, nutriva contro Francesco De Bartolo profondo rancore perché fin dal passato mese di maggio gli aveva carpito una rivoltella, che non aveva voluto mai rendergli. E per questo fatto aveva ripetutamente esternato il proposito di volerlo ammazzare, spingendosi perfino a domandare se fosse vero che, dopo ucciso un individuo, giovasse all’uccisore assaporarne il sangue per rendersi più facile la fuga. Orrore!

Potrebbero essere solo dicerie, ma i Carabinieri scoprono che in quel giorno e poco prima che Francesco fosse stato rinvenuto cadavere, Genoese fu visto vicino a lui, che era sdraiato a terra con le braccia incrociate sotto il capo, prossimo ad addormentarsi, nella guisa che sogliono praticare i pastori quando si trovano al pascolo.

I testimoni interrogati sono concordi nell’affermare che Genoese, per menare a compimento il lungamente vagheggiato e premeditato disegno di trarre a morte quel misero, avesse cercato di colpirlo in quell’attitudine e nell’impossibilità di reagire perché a lui molto inferiore di forza. Non solo, il sospettato è stato anche visto fuggire dal luogo del delitto dopo averlo consumato.

Domenico Genoese viene rintracciato, arrestato e interrogato:

– È capitato tutto all’improvviso, istantaneamente, per una rissa animata da De Bartolo

Non, non può essere stato un delitto d’impeto, il modo proditorio col quale ha spento la vittima, lo rivela premeditato a chiunque ha fior di senno e per di più i testimoni da lui citati a discarico lo smentiscono.

L’11 settembre successivo la Sezione d’Accusa si riunisce per valutare la richiesta della Procura del re di rinviarlo a giudizio per rispondere di omicidio aggravato dalla premeditazione. Le parole usate sono durissime: parlar di volontà omicida in un delitto consumato in quel modo, premeditatamente, sarebbe un pleonasma e massime, posto mente all’arma omicida, al sito dove venne con quella diretto il colpo ed alla istantaneità della morte succedutane. Ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza.

Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato, considerata la minore età, ad anni 21 e mesi 10 di reclusione; la difesa sostiene la tesi prospettata da Genoese nei suoi interrogatori e chiede che gli vengano concesse le attenuanti dell’eccesso di legittima difesa e della provocazione grave.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: non si può dubitare che, viste le risultanze processuali, si tratta di omicidio premeditato e l’omicidio premeditato va punito con l’ergastolo. Ma, essendo l’imputato minore degli anni ventuno e maggiore degli anni diciotto, dalla pena dell’ergastolo si discende a quella della reclusione estensibile dai 25 ai 30 anni, e nella specie la Corte opina fissare il minimo, cioè anni 25. Atteso che per le circostanze attenuanti generiche ammesse a favore dell’accusato, la pena deve essere diminuita di un sesto per cui, dagli anni 25, si discende ad anni 20 e mesi 10 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.