CROZZA DI MORTO

La mattina del 17 ottobre 1905 Rosa Loria di San Giovanni in Fiore si presenta dal Pretore locale per esporre una querela e fa verbalizzare:

Nel giorno tre agosto del 1902 venne ucciso in America, e propriamente nel villaggio di Monongah, mio figlio Tommaso Gallo e dopo un mese mi pervenne la notizia a mezzo di una lettera di uno dei nostri paesani che colà si trovava. Mi si diceva nella lettera che mio figlio era stato ucciso da Giovanni Bilotta mentre dormiva, sol perché aveva ingiuriato costui chiamandolo “Crozza senza un occhio”. Appena avuta la notizia corsi a fare la denunzia al Maresciallo del tempo, ma costui mi fece sentire che, non essendo l’uccisore tornato in Italia, non poteva procedersi contro di lui. Adesso ho saputo che Bilotta da qualche giorno ha fatto ritorno in questo paese e perciò iersera denunziai nuovamente il fatto al Maresciallo, esibendogli alcune deposizioni testimoniali raccolte dal Console in America. Intendo querelarmi contro Bilotta.

Gli atti che il Pretore si fa portare dal Maresciallo Giovanni Pasteris in effetti attestano che verso le ore 19 del 3 agosto 1902 in Monongah, West Virginia, certi Bilotta Giovanni d’anni 31 e Gallo Tommaso d’anni 28, entrambi da San Giovanni in Fiore, alquanto avvinazzati, per motivi di gioco vennero a diverbio; il Gallo veniva ucciso all’istante a colpi di rivoltella dal Bilotta, il quale davasi poscia alla latitanza. Va bene, però bisogna indagare per capire la dinamica esatta dell’omicidio, anche perché si potrebbe come minimo configurare una provocazione visto che, come ha anche ammesso la madre dell’ucciso, Gallo avrebbe offeso l’avversario a cui manca l’occhio sinistro, sostituito da un occhio di vetro. Intanto è necessario ascoltare alcuni sangiovannesi che all’epoca del fatto risiedevano a Monongah e che adesso sono rimpatriati.

Verso l’imbrunire del 3 agosto 1902, stando nella mia casa in Monongah, all’udire lo sparo di cinque colpi d’arma da fuoco in quei pressi, uscii e dopo fatti circa cento metri trovavo Gallo cadavere, circondato da molte persone, quasi tutte di San Giovanni, dalle quali apprendevo che Gallo era stato ucciso da Giovanni Bilotta poco prima in seguito a vivo diverbio sorto nel gioco di un melone e birra – racconta Teresa Minardi, ma non aggiunge niente che spieghi la dinamica dei fatti e gli altri testimoni citati dalla madre della vittima ne sanno ancora di meno perché abitavano a chilometri di distanza e non erano presenti.

Ma anche se le notizie sono poche e frammentarie, il fatto che sia stato commesso un omicidio e che a commetterlo fu Giovanni Bilotta è più che sufficiente ad emettere un mandato di cattura nei suoi confronti e poi si vedrà di trovare altri testimoni che raccontino i fatti per bene. Il problema è che Giovanni Bilotta a San Giovanni non si trova e le numerose perquisizioni domiciliari che vengono disposte anche in paesi vicini non danno esito. Sarà già ripartito clandestinamente per l’America?

Nella seconda metà di ottobre vengono interrogati nuovamente alcuni testimoni e altri nuovi vengono rintracciati e ascoltati. Teresa Minardi, che nella prima deposizione non aveva detto praticamente nulla, adesso racconta:

Una sera di agosto del 1902 Gallo e Bilotta si misero a giuocare a melloni ed avendo Bilotta vinto, Gallo si rifiutò di comprarlo. Poi propose di giuocarsi una chicca di birra che vinse, ma allora Bilotta disse che non comprava la birra se Gallo non pagava il mellone. Da una parola all’altra stavano per venire alle mani essendo entrambi ubbriachi e si scambiarono delle parole. Gallo ingiuriò l’altro chiamandolo “crozza di morto” e di tale ingiuria fortemente si adontò Bilotta; furono separati e Gallo, più ubbriaco di Bilotta andò a sdraiarsi per terra in un vicino giardino cinto da siepe. Parea tutto finito ed io ero già rientrata in casa quando intesi l’esplosione di due colpi di rivoltella, seguiti da altri tre. Accorsi assieme ad altri e trovammo disteso per terra Gallo, già cadavere. Appresi in quel momento che Bilotta, visto Gallo giacere supino a terra e pensando alle ingiurie da costui rivoltegli, avesse detto “giacché mi ha chiamato crozza di morto, adesso glielo vado a cavare in vita un occhio!” e, saltata la siepe, andò a ferire con la punta del coltello proprio in un occhio Gallo. Costui, al colpo ricevuto, si alzò e cercò di inseguire Bilotta il quale estrasse la rivoltella e tirò uno dietro l’altro quei cinque colpi contro Gallo, rendendolo all’istante cadavere.

Abitavo nella stessa casa con Gallo e Bilotta a Monongah. La sera del due agosto 1902 vidi i due che ritornavano e portavano un mellone. Lo fecero in due per pigliarsene una metà ciascuno, ma in tale divisione cominciarono a quistionarsi. Gallo ingiuriò Bilotta chiamandolo “crozza con un occhio solo”. Non è vero che lo avesse anche minacciato di cavargli l’altro occhio. Gallo era ubbriaco e perciò, non contento dell’ingiuria detta, fece la mossa di avventarsi. Io e altri lo trattenemmo e lo placammo. Bilotta non aveva fatto alcuna mossa. Siccome era già tardi, andammo tutti a dormire. La sera del giorno appresso, domenica, vidi che Gallo era sdraiato per terra nel margine opposto della pubblica strada esistente vicino la nostra abitazione. Era coricato supino ed aveva sopra gli occhi il cappello. Ritengo che dormisse. Accanto a lui era seduto Bilotta. All’altro lato di Gallo era sdraiato un ragazzo. Dopo avere orinato rientrai e dopo pochi secondi intesi la voce di Gallo esclamare “porcu fricatu, jetta ‘u rivorvaru!”. Non intesi altre parole, ma quasi immediatamente, alla distanza di circa quaranta o cinquanta passi udii la detonazione di due colpi di rivoltella, indi, a distanza di un duecento passi, udii altri tre colpi di rivoltella sparati consecutivamente. Dopo un quarto d’ora venne a bussare un tale che disse: “venite a pigliare Tommaso ch’è morto!” – ricorda Antonio Ferrari.

Il 6 novembre 1905, di prima mattina, arriva da Cosenza alla caserma dei Carabinieri di San Giovanni un telegramma: Giovanni Bilotta è stato sorpreso alle 23,30 del giorno prima nella locanda gestita da Luigi Marino in Via Gaeta, 6 ed arrestato. Interrogato, Bilotta racconta la sua versione dei fatti:

Nel 1902 mi trovavo in Monongah insieme con Tommaso Gallo ed altri compaesani. In un giorno di agosto di quell’anno giocammo a melloni ed avendo perduto il Gallo, anziché recarsi di persona a comprare un mellone sul luogo della vendita, mandò un altro individuo estraneo al giuoco, al quale dovemmo poi dare una parte del frutto. Qualche giorno dopo giocammo nuovamente ed avendo perduto io, volevo praticare quanto aveva praticato Gallo, ma costui si oppose, onde dovetti recarmi personalmente a comprare il mellone. Indispettito di ciò, pretesi che Gallo fosse venuto con me in uno spaccio di birra per comprare un gallone di detto liquore, ch’egli mi doveva per averglielo vinto al giuoco; egli ottemperò ma, avendo trovato degli amici nello spaccio, offerse da bere a costoro della birra comprata e poiché il birraio non volle fargli credito ed egli si trovava senza danaro, fui costretto a pagare io l’importo della birra. Nell’uscire dallo spaccio gli feci una lieve rimostranza per aver dato a bere a degli estranei e Gallo, per tutta risposta, incominciò a maltrattarmi con parole ingiuriose chiamandomi “capo di morto”, “ciecato con un occhio”, oltre a minacciare di offendermi con vie di fatto. Giunti a casa, di ritorno, egli pretendeva spartire il mellone da lui comprato fra tutti quelli che abitavano nella stessa casa con noi due, ma io m’opposi, volendo prenderne una metà per mio conto poiché ne avevo diritto e Gallo cominciò ad ingiuriarmi novellamente con le stesse parole ed a minacciare di cavarmi l’occhio buono, senza poter inveire effettivamente contro di me per l’intervento degli altri amici. Nella sera dello stesso giorno o del giorno successivo, non ricordo bene, giacevamo in tre o quattro seduti a terra all’estremità di una strada contigua all’abitazione poiché faceva caldo. Ad una certa ora ci alzammo, chi qualche minuto prima, chi qualche minuto dopo per andare a dormire e mentre io stavo per recarmi al cesso, Gallo m’invitò a fermarmi per dirmi una parola. Il suo contegno non mi parve regolare e gli risposi che non avevo che vedere con lui; egli, a questa risposta mi corse contro profferendo parole minacciose ed essendomi dato alla fuga, m’inseguì per circa cinquecento metri, esplodendo contro di me una rivoltella ben due volte e ferendomi con uno dei colpi al braccio sinistro. Quando vidi che stava per raggiungermi, temendo di essere ucciso, cacciai di tasca la rivoltella e lo feci segno a tre colpi, senza distinguere se l’avessi o meno colpito. Infine, cadutami a terra la rivoltella e avendomi Gallo agguantato, cacciai di tasca un coltello a serramanico e gl’infersi ripetuti colpi, non so dire se al fianco, al viso od in quale parte del corpo. Fu allora cha Gallo cadde a terra ed io scappai via. In seguito seppi che Gallo era morto… questa è la verità dei fatti.

– Dopo essere scappato dove sei andato?

Mi rifugiai in casa di un portoghese, dove mi trattenni una quindicina di giorni e mi feci medicare la ferita al braccio da un dottore di sua conoscenza.

Una ricostruzione diversa da quelle fornite dai testimoni. Sottoposto a perizia medica, in effetti al braccio sinistro ha una cicatrice dal diametro di mezzo centimetro che, secondo il dottor Angelo Cosco, può essere l’effetto di un colpo di rivoltella il cui proiettile dovette arrestarsi sul ventre muscolare sottostante. Per tutto il resto bisognerà aspettare, se mai arriveranno, gli atti chiesti al Console.

E gli atti cominciano ad arrivare verso la fine del mese di giugno 1906, ma sono atti ancora troppo generici e chiariscono solo che Tommaso Gallo morì per un colpo di rivoltella calibro 32 che gli trapassò il cuore e il polmone destro. I periti riscontrarono inoltre un’altra ferita da arma da fuoco nella parte sinistra della schiena e due ferite da coltello, una sulla parte destra del viso e un’altra sul lato destro del petto. Anche su questo aspetto sembra che Bilotta non abbia mentito.

Poi, finalmente, dagli Stati Uniti arrivano le deposizioni di altri testimoni, raccolte dal Console italiano.

Verso le sette o le otto di sera, dopo aver cenato, siamo andati a sederci di fronte alla casa io, Giovanni Bilotta, Tommaso Gallo, mio fratello Giovanbattista ed altri – racconta Luigi Marazita – e tutti siamo rimasti a parlare per circa un’ora o un’ora e mezza. Dopo di ciò mio fratello si è ritirato verso la porta di casa e ci ha detto che era ora di andare a letto. A poco a poco tutti siamo rientrati e abbiamo lasciato a quel posto Tommaso Gallo, Giovanni Bilotta e Giuseppe Ursi. Mi stavo spogliando quando sentii Tommaso Gallo che diceva: “Oh! Figlio di magara fricata, lascia il revolver!”. Dopo di questo sentii due colpi di revolver e qualche minuto dopo ne sentii altri tre

Ancora nessuno che sia stato presente al delitto e sia in grado di raccontarlo nei particolari. Forse Giuseppe Ursi, che pare fosse disteso accanto a Tommaso Gallo, può dire qualcosa di più:

Gallo e Bilotta erano miei compagni di lavoro in quanto lavoravamo tutti nelle miniere di carbone a Monongah. Quella sera uscimmo tutti all’aria aperta e ci mettemmo a discorrere di affari e di lavoro e restammo tutti fino a verso le dieci di sera, quando restammo ancora a parlare io, Tommaso Gallo e Giovanni Bilotta. Tommaso Gallo era disteso a terra e io e Bilotta eravamo seduti. Verso le dieci e un quarto ho visto Bilotta alzare il braccio destro e colpire Gallo, ma non posso dire se avesse qualche arma nel pugno. A questo, Giovanni Bilotta si è alzato ed è scappato in direzione della strada. Anche Tommaso Gallo si è alzato, ha gridato: “Figlio di porca fricata, lascia il revolver!” ed è corso appresso a Bilotta. Quando Gallo si era allontanato da me circa venti o trenta metri ho sentito due colpi di revolver, ma non posso dire chi li abbia sparati. Anche io avevo cominciato a correre appresso a Gallo per mantenerlo e per evitare che avesse fatto quistioni con Bilotta, ma dopo i due colpi mi sono fermato. Dopo uno o due minuti che avevo sentito i due colpi, ne ho sentiti altri tre e allora sentii qualcuno che disse: “Madonna mia, mi ha ammazzato!”.

Tommaso Gallo insultava spesso Giovanni Bilotta chiamandolo “crozza con un occhio” e Bilotta gli rispondeva che Dio lo aveva fatto così. Gli insulti erano così frequenti che Luigi Petitto, gestore della pensione dove abitavano Gallo e Bilotta, nonché fratello uterino di Gallo, lo cacciò dalla pensione. Gallo non insultava solo Bilotta, ma anche altri individui – riferisce Luigi Marano –. La sera del tre agosto mi accorsi che tre persone erano rimaste al posto dove prima eravamo tutti insieme, quando ho sentito la voce di Tommaso Gallo che diceva: “non ti muovere, figlio di puttana che mò ti ammazzo!”. A questo sentii la voce di Bilotta che rispondeva: “non ti accostare chè ti sparo!”. Gallo non si curò di questo e allora Bilotta cominciò a scappare e Gallo gli corse dietro. Fu allora che sentii due colpi di revolver e poco dopo ne sentii altri tre. Allora io e Giovanbattista Marazita siamo corsi verso il posto dove avevo sentito i colpi e in mezzo alla strada trovammo il corpo di Tommaso Gallo.

Il Console riesce anche a rintracciare una delle persone prese di mira dagli insulti di Tommaso Gallo, è il ventottenne Salvatore Bucchifoco:

Ho personalmente conosciuto Tommaso Gallo e dichiaro che egli, quando aveva bevuto era un uomo turbolento e diverse volte sono venuto a quistioni con lui. Egli facilmente insultava le persone chiamandole con nomi insultanti. Una volta venni a quistioni con lui perché mi insultava sempre chiamandomi “mulo fricatu”. Io mi risentii di questo insulto ripetuto e lui, Tommaso Gallo, ha cacciato il revolver dalla tasca e mi minacciò di uccidermi. Venimmo alle mani e fummo arrestati per condotta disordinata. Non so come sia stato ucciso.

A rincarare la dose sul carattere turbolente di Tommaso Gallo, Felice Antonio Colissano, da Frosinone, racconta:

Posso dire che Tommaso Gallo era un insultatore sia che fosse ubbriaco, sia che non. Io l’ho conosciuto sempre per un uomo da doversi evitare perché dall’insulto passava subito a far minacce.

Le cose sono molto confuse ma pare che, sostanzialmente, ciò che ha raccontato Bilotta regga. E ciò che fa credere che abbia detto quasi tutta la verità è la circostanza che praticamente tutti i testimoni ascoltati riferiscono di avere sentito prima due colpi di revolver e poco dopo altri tre, proprio come ha raccontato l’imputato. Ma ora è tempo di tirare le somme. La Procura si convince della piena responsabilità di Giovanni Bilotta e ne chiede il rinvio a giudizio per rispondere di omicidio volontario. Il 16 ottobre 1906 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza il 5 febbraio 1907.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni residenti in Italia, si convince del contrario e ritiene che Giovanni Bilotta agì per legittima difesa e dichiara assolto l’imputato pel carico di omicidio commesso all’estero in persona di Tommaso Gallo. Ordina che sia posto in libertà, se non detenuto per altra causa.[1]

È l’8 febbraio 1907. Dieci mesi dopo a Monongah, nella miniera di proprietà della Fairmont Coal Company, si verificò il più grave disastro minerario della storia degli Stati Uniti, che è anche, soprattutto, la più grande tragedia dell’emigrazione italiana. Il totale di 362 vittime, desunto dai rapporti redatti dalla Monongah Mines Relief Committee, la commissione istituita per dare assistenza ai parenti dei minatori scomparsi, divenne il numero “ufficiale”. Ma il numero e l’identità della maggior parte degli scomparsi sono rimasti ignoti a causa della presenza di molti lavoratori che all’ingresso in miniera non venivano registrati negli elenchi della Fairmont Coal Company. Altre stime, più attendibili, parlano di un migliaio di morti, cioè un terzo della popolazione di Monongah.

171 le “vittime ufficiali” italiane, tra le quali una quarantina di calabresi e tra questi una trentina di sangiovannesi e poi vittime di San Nicola dell’Alto, Carfizzi, Falerna, Strongoli, Gizzeria, Castrovillari, Lago.

[1] ASCS, Processi Penali.