IL DEBITO DEL FIGLIO

Nelle prime ore del pomeriggio del 9 settembre 1947 i Carabinieri della stazione di Oriolo Calabro vengono informati che in contrada Serra della Trave, territorio di quel comune ma poco distante dall’abitato di Montegiordano, è stato rinvenuto il cadavere di un uomo che non è stato possibile identificare. Arrivati sul posto, i militari trovano un cadavere disteso bocconi ed a poca distanza, legato ad albero, un asino col basto. Il maresciallo Nicola Mezzi ed i suoi uomini cominciano ad eseguire i primi rilievi e rilevano che la faccia del cadavere si presenta tumida e di colorito terreo, con le seguenti lesioni: la rima labiale deviata all’ingiù dal lato destro, con il labbro nella metà dello stesso lato pendente. La bocca è semi aperta e si nota la mancanza di parecchi denti. Alla regione mentoniera si nota una piccola ferita. Dalle narici vengono fuori abbondanti grumi sanguigni e alla pinna sinistra si nota una piccola ferita lacero contusa. L’occhio destro presenta una grossa ecchimosi a carico della palpebra superiore. L’orecchio sinistro è contuso, abbastanza gonfio nel suo padiglione, coperto sanguigni ed alla sua radice si riscontra una ferita della lunghezza di 2 centimetri circa a margini frastagliati. Alla sommità cranica si notano due ferite contigue e congiunte, di cui una della grandezza di una capocchia di spillo e l’altra di quella di una moneta da 10 centesimi. I margini delle due ferite sono frastagliati e la profondità non va oltre il cuoio capelluto. Nessuna traccia di violenza esterna al torace, né nelle altre parti del corpo.

Nelle vicinanze alcuni curiosi osservano la scena e nemmeno loro, fatti avvicinare dai Carabinieri, dicono che non sanno di chi si tratti.

Poi, verso l’imbrunire, passano da lì Nicola Affuso e sua moglie Carmela Vaccaro e l’uomo, non appena vede l’asino legato, si mette ad urlare dicendo che è l’asino di suo padre, mentre la moglie, avvicinatasi al cadavere comincia a battersi il viso e a piangere, dicendo che quello è il cadavere di suo suocero Carmelo. Ma ormai è notte e per sapere se si sia trattato di una disgrazia o di morte violenta bisognerà aspettare l’indomani, quando arriveranno il pretore ed il medico legale.

È morto da circa ventiquattro ore e le ferite, con la concomitanza della tarda età dell’uomo, sono state le cause della morte… – dice il medico.

– Morte violenta o accidentale? – lo incalza il Pretore.

Le lesioni, data la loro distribuzione sulla testa della vittima, sono dovute a caduta.

Quasi sicuramente una disgrazia, visto che il corpo si trova nel terreno sottostante la mulattiera di circa cinquanta centimetri e sia sulla mulattiera che sul terreno sono disseminate numerose pietre, una delle quali, acuminata e sporca di sangue, è proprio accanto al cadavere. Con il ritrovamento della pietra acuminata il caso può essere chiuso: l’anziano Carmelo Affuso procedeva sulla mulattiera cavalcando l’asino e probabilmente per uno scarto improvviso dell’animale è caduto battendo la testa sulla pietra acuminata, morendo per la commozione cerebrale dovuta al colpo. Il cadavere viene restituito ai familiari, che così possono rendere l’ultimo omaggio al congiunto.

Ma sia i Carabinieri di Oriolo, sia quelli di Montegiordano agli ordini del Maresciallo Orlando, che per mestiere devono essere sospettosi, continuano ad indagare e vengono a sapere che almeno tre contadini la mattina del fatto avevano visto scappare dal posto e proprio nel momento in cui questo avvenne, Domenico Affuso, uno dei figli dell’anziano morto, mentre si dirigeva verso la sua masseria. Ascoltati, i tre esordiscono dicendo di essere a conoscenza dei rapporti abbastanza tesi tra padre e figlio, uomo di carattere violento e prepotente. Poi raccontano ciò che hanno visto la mattina del 9 settembre mentre trovavano a circa centocinquanta metri dal luogo dove fu trovato morto Carmelo Affuso:

– Potevano essere le nove mentre camminavamo sulla mulattiera per andare verso la masseria di Nicola Affuso in contrada Torre della Trave, quando abbiamo visto un asino abbandonato ed immediatamente fuggire da quel luogo Domenico Affuso che si dirigeva verso la sua masseria. Giunti sul posto dove era l’asino, abbiamo notato un uomo bocconi per terra a quattro o cinque passi dalla mulattiera. Arrivati alla masseria di Nicola Affuso, ci siamo accorti che Domenico partiva dalla sua masseria con la moglie e l’asino carico, dirigendosi verso Montegiordano.

Per il Maresciallo Mezzi questa dichiarazione è sufficiente per intuire che la morte dell’anziano Carmelo non fu dovuta a disgrazia ma a delitto e arresta il figlio Domenico mentre contemporaneamente chiede la riesumazione del cadavere per eseguire necessari ulteriori accertamenti.

Interrogato, Domenico Affuso prima nega di sapere alcunché, ma poi, contestatagli la deposizione dei tre contadini, racconta:

– In effetti la mattina del nove ho visto mio padre su un asino che cadeva giacendo bocconi per l’imbizzarrimento dell’animale provocato dal mio improvviso apparire. Cercai di soccorrerlo ma, accortomi che era morto scappai per evitare che qualche persona che fosse sopraggiunta avesse potuto attribuirmi la morte di mio padre, con il quale non ero in buoni rapporti

Poi, dopo alcune ore passate in camera di sicurezza, spontaneamente Domenico precisa:

Avendo visto mio padre diretto verso Oriolo per riscuotere la somma di sessantamila lire che io avrei dovuto depositare lì in suo favore, lo raggiunsi allo scopo di invitarlo a tornare indietro dato che non avevo ancora effettuato il deposito. Mio padre, alquanto irritato, non aderì al mio desiderio rispondendo che sarebbe andato lo stesso ad Oriolo. Allora io afferrai l’asino per la cavezza per farlo tornare indietro, ma l’animale, forse avendo urtato in qualche cosa è scivolato nella scarpata sottostante senza cadere; mio padre, invece, cadde, fece due capitomboli andando a finire a quattro o cinque metri dal sentiero e rimase morto…

Il 14 settembre si procede alla riesumazione del cadavere ormai rigonfio come quello di un annegato, con la pelle completamente bluastra e secernente liquame. Ma nonostante ciò adesso si può vedere quello che prima non si era visto, probabilmente per l’ansia di togliersi di mezzo quel cadavere: alla regione anteriore e a quelle laterali del collo presenta delle lesioni a collana, segno chiaro di un atto violento di soffocazione, provocato probabilmente con la mano. Poi il perito giustifica la mancata osservazione delle lesioni: le dette lesioni non sono state notate nel primo esame necroscopico, probabilmente perché lo stato edematoso del collo si confondeva con l’edema del labbro inferiore, già gonfio e deviato in giù nella rima labiale e con il gonfiore nella regione mentoniera. Le lesioni sono ora evidenti in seguito alla macerazione cutanea. Per quanto riguarda la causa della morte, il perito afferma che è avvenuta a seguito di commozione cerebrale per le ferite craniche e per soffocamento per le lesioni al collo. Ma questa è una deduzione logica perché, date le condizioni del cadavere, il perito non ritiene opportuno sezionare il cadavere per svolgere gli esami necessari a sgombrare il campo da ogni dubbio. Comunque l’attestato del perito basta agli inquirenti per qualificare il caso come omicidio o meglio parricidio.

Ora che la scienza medica ha confermato l’intuizione del Maresciallo Mezzi e del Maresciallo Orlando, Domenico Affuso viene nuovamente interrogato ed in un primo momento conferma la sua precedente versione, ma quando gli spiegano i risultati della perizia sul cadavere del padre, confessa:

– Il nove settembre di mattina presto, mentre tornavo dalla masseria di Diego Nicola ove mi ero recato per chiedere un asino in prestito, incontrai mio padre che a cavallo di un asino si recava ad Oriolo. Gli dissi di non andare ad Oriolo perché non avevo ancora versato la somma e mio padre m’ingiuriò con la seguente frase: “giudeo, disgraziato, io non ti lascio in pace sino a quando non ti ho fatto vendere tutta la proprietà!”. Allora presi l’asino per la cavezza e mentre lo tenevo si imbizzarrì, mio padre cadde e io, accecato dall’ira, lo strinsi fortemente con una mano alla gola e poi fuggii

Ma poi Domenico ritratta tutti i suoi interrogatori ricorrendo alla solita menzogna calunniosa di essere stato percosso dai Carabinieri sino a svenire ed afferma di essere completamente estraneo al fatto, trovandosi la mattina in cui questo è avvenuto in Montegiordano a lavorare e cita persino nomi di testi a conforto del suo assunto. Tutto falso, le testimonianze dei tre contadini, troppo gravi ed eloquenti, e i primi due interrogatori resi ai Carabinieri in piena libertà nei locali del Municipio di Montegiordano in presenza del Sindaco e del Segretario Comunale, lo inchiodano ed il 28 febbraio 1948 la Sezione Istruttoria ne ordina il rinvio a giudizio davanti alla Corte di Assise di Castrovillari per rispondere di omicidio in persona del proprio padre.

Il 3 febbraio 1949 si tiene il dibattimento e la Corte sgombra subito ogni dubbio: è netta convinzione della Corte che Affuso Domenico abbia provocato la caduta del padre dall’asino sul quale questi si trovava, con la ferma intenzione di ucciderlo. La prova più certa di questa convinzione si ricava anzitutto dalle dichiarazioni dell’imputato e ripercorre tutte gli interrogatori agli atti. Poi continua: da tali interrogatori si ricava, con sicurezza, quindi: a) che l’imputato, non avendo voluto il padre aderire alla sua richiesta di ritornare indietro, adirato afferrò l’asino (che, si noti bene, si trovava su una stretta mulattiera, sopraelevata al terreno circostante, sulla quale pericoloso era ogni movimento) dalla cavezza e provocò il suo imbizzarrimento e quindi la caduta del padre; b) che lo stesso, appena vide il genitore a terra, lanciatosi su di esso lo strinse alla gola. È quindi l’atto inumano, malvagio, spregevole oltre ogni dire, compiuto dopo la caduta del vecchio Affuso, che caratterizza l’azione prima dell’imputato ed indica a quale fine era diretto. Inutilmente costui in fase istruttoria ritratta tutti gli interrogatori resi ai Carabinieri, perché i testimoni lo riconobbero e lo videro scappare.

Domenico a questo punto, conscio di non poter persistere in una linea difensiva quanto mai illogica e nociva, conferma in parte gli interrogatori resi in quanto esclude di aver stretto la gola al padre dopo la caduta dall’asino e vuol dare ad intendere che la caduta dall’asino è avvenuta per un puro accidente essendo l’asino, che egli teneva per la cavezza, inciampato (versione diversa dalla precedente). Ma se veramente Affuso Carmelo fosse caduto dall’asino in seguito ad un’azione del figlio quanto mai lontana nell’intenzione di esso dal produrre l’evento, se la morte, quindi, fosse stata conseguenza solo di tale caduta e della tarda età del vecchio, il Domenico non avrebbe lasciato senza soccorso il padre, non lo avrebbe abbandonato, bocconi col viso contro terra, con la testa a valle ed i piedi a monte, in aperta campagna, gesto contrario ad ogni legge di natura, ma avrebbe tentato di aiutarlo ed avrebbe gridato perché accorresse della gente (egli, fra l’altro, vide i testimoni, come riferisce il Maresciallo Orlando di Montegiordano) ed a questa, proprio perché non si pensasse che egli potesse essere stato causa della morte del vecchio, dati i rapporti tesi tra essi intercorrenti, avrebbe raccontato l’accaduto. Egli invece scappa pur essendosi accorto che i testimoni lo hanno visto, perché è sicuro che taceranno, perché altrimenti pagheranno cara la delazione, dato il suo carattere violento. Va nella sua masseria poco distante, è sollecito a cambiar di abito e poi con la moglie ed un asino carico si avvia verso Montegiordano onde costituirsi un alibi; vi giunge, vi si ferma brevemente per essere notato, ritorna in campagna, qui vi fa colazione e poi si riporta nuovamente con la moglie ed il figlio in paese e quando qui la sera apprende la morte del padre, fa finta di ignorare ogni cosa e si dà da fare per la cassa funebre; ha il coraggio, poi, di andare sul luogo del delitto, di assistere anche l’indomani ai funerali del padre e di dichiarare al Maresciallo che lo chiama mentre assiste alla mesta cerimonia di nulla sapere circa il delitto. È, questo, il comportamento non di un innocente, di uno che non può temere la giustizia degli uomini, ma di un responsabile, di un individuo che, comprendendo la gravità immensa del delitto compiuto, sa quali conseguenze ne derivano, onde cerca prima con ogni mezzo di allontanarle da sé, tutto negando. E quando poi è raggiunto da prove testimoniali che non sono, però, certezza della sua piena colpevolezza, si decide ad ammettere qualcosa e vi insiste, consapevole che dalla stessa non può che derivarne che una sua responsabilità molto attenuata e finisce, infine, di confessare il delitto solo allorché elementi obiettivi (esumazione del cadavere) e testi lo accusano chiaramente, salvo ritrattare subito dopo interamente ogni ammissione e proclamarsi di nuovo innocente o in parte.

Poi la Corte parla del movente e della dinamica del fatto: la causale del fatto delittuoso è chiara. Emerge dall’istruttoria che il vecchio Affuso aveva fatto donazione dei suoi beni, con riserva per sé di parte dell’usufrutto, ai figli i quali, impossessatisi della proprietà si rifiutarono di corrispondere al padre le rendite che allo stesso spettavano, onde questi, che non versava in buone condizioni economiche, dopo di essersi più volte rivolto anche al Maresciallo dei Carabinieri per indurre il figlio Domenico a rispettare i suoi obblighi, fu costretto ad adire le vie legali per poter vivere. La vertenza non ebbe seguito perché composta bonariamente con un concordato secondo il quale l’imputato avrebbe dovuto consegnare al padre lire 250.000, importo dei frutti non corrisposti dal 1938, a rate di lire 60.000 e con scadenza per la prima rata al primo settembre 1947. Il 9 settembre Carmelo Affuso, nel mentre si recava alla Pretura di Oriolo, ove secondo gli accordi già da parecchi giorni la somma sarebbe dovuta esser già depositata, per prelevarla, malauguratamente venne visto dal figlio che era nella sua masseria. Intuendo la ragione del viaggio del padre, gli andò incontro per indurlo, e forse anche con arroganza, a ritornare indietro, facendogli presente che il danaro non era stato ancora depositato perché l’ammassatore non gli aveva ancora consegnato l’importo del grano versato ai granai del popolo. Ma il vecchio, comprendendo che la ragione addotta era una scusa e che avrebbe atteso inutilmente come per tanti anni aveva fatto, rispose che ad Oriolo sarebbe andato lo stesso per vedere come costringerlo al pagamento. Esplose allora in tutta la sua intensità il carattere violento e prepotente di Domenico, avendo egli compreso che il vecchio era deciso a perseguitarlo giudizialmente per avere quanto gli spettava e che era inutile tentare di farlo ritornare indietro e improvvisa sorse la decisione di farla finita con lui per sempre, in modo da non avere più molestia per l’avvenire circa quello che già gli doveva ed avrebbe dovuto in prosieguo dargli e dalla ideazione passò immediatamente all’esecuzione del delitto. Fatto cadere il padre nella sottostante scarpata gli fu sopra e lo strangolò, dandosi poi alla fuga. Responsabilità piena dell’imputato, dunque, in ordine al delitto ascrittogli.

La difesa controbatte contestando il risultato della seconda perizia necroscopica mettendo in dubbio che si possa affermare senza ombra di dubbio che la morte sia stata provocata dallo strangolamento invece che dalla caduta, non presentando, il cadavere, quei segni esteriori caratteristici di un morto per strangolamento e non essendosi proceduto ad autopsia per accertare la causa della morte stessa. La Corte risponde che, prescindendo dal fatto che la difesa avrebbe potuto e dovuto agire nei termini assegnati per legge dopo il deposito della perizia, i periti rilevarono i segni dello strangolamento quando nessuno immaginava che il vecchio Affuso fosse stato strangolato. Poi tronca il discorso nettamente: essendo la Corte convinta, come è stato illustrato, che l’imputato provocò la caduta del padre con la ferma e decisa intenzione di finirlo, anche se la morte, per ipotesi, sia stata conseguenza esclusiva della caduta del vecchio dall’asino per la sua tarda età e Domenico Affuso non abbia, quindi, strangolato che un uomo già morto o morente, la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto ascrittogli sarebbe ugualmente certa, avendo voluto l’evento ed essendosi questo prodotto come conseguenza della caduta dall’asino posta da lui volontariamente in essere al fine di uccidere.

È tutto, accertata la responsabilità dell’imputato, si può passare a quantificare la pena da infliggere: considerato che Affuso Domenico è padre di ben sette figli, ritiene la Corte di concedergli il beneficio delle attenuanti generiche. Pena equa stimasi, tenuto conto delle attenuanti generiche concesse, discendere dall’ergastolo ad anni 24 di reclusione, oltre le spese e le pene accessorie.

La suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 19 gennaio 1952, ordina la trasmissione degli atti alla Corte d’Assise di Appello di Catanzaro[1] e per noi è impossibile reperire gli atti relativi al nuovo processo.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.