LA NIPOTE ORFANA

Filomena De Rango, di Castrolibero, rimane orfana all’età di quattro anni e viene cresciuta come una figlia dalla zia materna, sposata con Lorenzo De Cesare. Passano tranquillamente gli anni e quando Filomena si fidanza, lo zio le costituisce la dote donandole un pezzo di terra sul quale, però, si riserva l’usufrutto.

Filomena si sposa e va ad abitare con i suoceri, ma per sopravvenuti disaccordi con costoro torna col marito a casa degli zii, dove nasce il loro bambino. Non molto tempo dopo, però, il marito emigra in America e non dà più notizie di sé, lasciando Filomena ed il bambino abbandonati a sé stessi.

Fino al 1939 mamma e figlio vivono dagli zii, ma per dissidi sorti anche con costoro, Filomena va ad abitare in una casa lì accanto. In cosa consistono i dissidi che hanno reso necessario l’allontanamento di Filomena dalla casa degli zii che l’hanno ospitata per tanti anni? Gli zii hanno notato che la nipote spesso consuma dei furti sia sottraendo cose che si trovano nell’esercizio gestito dallo zio Lorenzo, sia facendo propri i frutti dell’appezzamento di terreno che era le era stato donato e sul quale lo zio aveva riservato per sé l’usufrutto.

Come se non bastasse, dopo il suo allontanamento Filomena inizia a fare una serie di dispetti a zio Lorenso e non contenta inizia anche un tentativo di isolare i due ormai anziani e quasi inabili zii, minacciando chiunque avesse cercato di soccorrerli facendogli qualche servizio o qualunque lavoro e di questa situazione De Cesare si lamenta anche col segretario comunale, senza peraltro ottenere soddisfazione.

Siamo ormai nel 1943, precisamente al 16 settembre, e tutto è in una confusione totale per l’armistizio firmato appena una settimana prima. Lorenzo De Cesare, ormai quasi ottantenne, chiede ad una ragazza del paese di attingere per lui una brocca d’acqua alla pubblica fontana. Ma la ragazza, che pure in precedenza aveva prestato il servizio richiesto, rifiuta perché è stata minacciata di percosse da Filomena se andrà ad attingere l’acqua alla fontana per lo zio.

– Ha detto che mi prende con un palo… ho paura…

Il vecchio, a questo punto, temendo di restare davvero del tutto isolato e senza la possibilità che alcuno provvedesse a quanto a lui ed alla moglie occorre, decide di andare dai Carabinieri, ma questi hanno altro a cui badare a causa degli eventi bellici e non gli danno troppa retta. De Cesare e sua moglie sono ormai alla fame più nera, non potendo nemmeno cibarsi dei frutti del terreno agricolo, tutti raccolti da Filomena.

Il vecchio non ce la fa più e la disperazione gli fa salire il sangue alla testa. Prende il fucile e si apposta ad una finestra da dove può vedere la vicinissima casa della nipote e aspetta. Eccola, sta uscendo con dei pomodori; si siede davanti alla porta di casa e comincia a lavarli in una bagnarola. Il vecchio richiama tutte le forze che gli rimangono per restare concentrato, prende la mira con cura e poi tira uno dopo l’altro i due grilletti della doppietta. Le rose dei pallini, ancora quasi chiuse, centrano Filomena in pieno alla regione scapolare destra, all’avambraccio destro e alla regione sopraorbitale sinistra con rottura dell’osso frontale, asportazione completa dell’occhio e penetrazione nel cervello, oltre all’asportazione del labbro superiore sinistro.

Filomena rotola a terra insieme ai pomodori che si confondono col sangue zampillante dalle ferite. È ancora viva, ma morirà un’ora dopo senza mai riprendere conoscenza.

Adesso sì che i Carabinieri devono interessarsi alla vicenda di Lorenzo De Cesare, reo confesso, e, conclusa l’istruzione, rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Durante il dibattimento, che si tiene il primo maggio 1944, confermata la volontà omicida di Lorenzo De Cesare, la difesa ed il Pubblico Ministero concordano su un punto essenziale del processo: l’imputato non è punibile per avere agito in stato di legittima difesa. La Corte, però, ritiene che non abbia fondamento la causa escludente della punibilità, ma piuttosto, con maggiore aderenza alla situazione di fatto, ritiene che l’imputato abbia ecceduto i limiti imposti da uno stato di necessità e spiega: si è chiarito che la De Rango, attraverso un sistema di minaccia alle persone che erano richieste dal De Cesare perché a lui ed alla moglie prestassero la propria opera per quei servizi che ad essi erano necessari, aveva cercato di isolare i coniugi, vecchi, pieni di acciacchi ed invalidi a qualunque lavoro. Essi vivevano una vita grama e misera e più grama e misera era resa dall’opera della De Rango; tanto più da deplorare l’opera di costei in quanto dai coniugi De Cesare era stata allevata come propria figlia, fatta passare a matrimonio e dotata. Ed a questo va aggiunto che i due vecchi soffrivano la fame perché la De Rango faceva propri i frutti del fondo sul quale De Cesare aveva per sé fatto riserva dell’usufrutto quando donò la nuda proprietà alla nipote. De Cesare aveva settantasette anni al momento del delitto, più grande è la moglie. È evidente la situazione di pericolo nella quale vivevano, pericolo alla persona in quanto essi, incapaci a provvedere ai bisogni della vita, correvano il rischio di morire di inedia. Ma è anche evidente la mancanza di proporzione tra il fatto ed il pericolo: poteva essere sufficiente per indurre la De Rango a non minacciare più coloro che erano chiamati da De Cesare a rendergli qualche servizio, ferirla ma non ucciderla. Il mezzo adoperato a salvare sé stesso ed il coniuge fu esuberante ed in questo va riscontrato l’eccesso che dà luogo ad un delitto colposo, del quale però non può farsi carico all’imputato perché il fatto è compreso tra quelli per i quali fu accordata l’amnistia del 5 aprile 1944.

Poi continua ammettendo: veramente il decreto esclude l’applicazione dell’amnistia per tutti quei fatti che furono compiuti durante l’amministrazione militare alleata, ma non può dirsi risulti accertato quando a Castrolibero ebbe inizio l’amministrazione militare alleata. Potrebbe dirsi, anzi, che gli atti escludono il fatto sia avvenuto durante una tale amministrazione, quantunque il fatto sia avvenuto il 16 settembre 1943. Il verbale dei Carabinieri fu indirizzato al Procuratore del re; tutti gli atti generici erano compiuti dal Procuratore del re. Si trovano degli atti intestati al Procuratore della Legge, denominazione assunta dal Procuratore del re durante l’amministrazione alleata, ma sono successivi al 19 settembre. Per altro, se dovesse esservi un dubbio, questo, trattandosi di applicare il beneficio di sovrana clemenza, dovrebbe essere risolto a favore dell’imputato, il quale è meritevole di avere applicata l’amnistia non avendo precedenti penali che ne ostacolano l’applicazione.

Quindi la sentenza:

poiché la pena per l’omicidio colposo non eccede i limiti del decreto di amnistia, è accordata l’amnistia e deve dichiararsi estinto il reato e devesi ordinare la restituzione del fucile sequestrato.

È il primo maggio 1944.[1]

Come arrivare praticamente allo stesso risultato, ma rischiando di farsi annullare una sentenza per un arzigogolo inutile.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.