DENTRO UNA VECCHIA LATRINA

È il 10 settembre 1930, manca poco a mezzogiorno quando il signor Gilberto Candela entra negli uffici della Questura di Reggio Calabria. È visibilmente sconvolto e trema mentre chiede di parlare con qualcuno per denunciare un fatto gravissimo. Lo fanno accomodare e attende solo pochi minuti, poi entrano il Maresciallo Antonino Minerva ed il Vice Commissario Giovanni Vilardo, lo invitano ad esporre i fatti di cui è a conoscenza e il racconto parte da nove mesi prima:

Verso la fine di dicembre dell’anno scorso, si allocò presso di noi come domestica Teresa Orlando, la quale era uscita dalla famiglia Iacopino perché, a suo dire, in quella famiglia era trattata male. Teresa si mostrò una buona ragazza

– Quanti anni ha la ragazza?

– Diciannove… posso continuare? – al cenno di assenso, Candela va avanti – Teresa si mostrò una buona ragazza, lavoratrice indefessa ed adorna di tutte le buone qualità, tanto che noi prendemmo ad amarla come persona di nostra famiglia. Intanto, nel mese successivo, mia moglie si accorse che Teresa difettava delle mestruazioni e gliene chiese la ragione.

– Incinta, senza dubbio! – lo interrompe il Maresciallo Minerva.

– Ora ci arrivo… Teresa rispose che da due mesi non le aveva e mia moglie, impressionata, fece chiamare il medico che, dopo averla visitata sommariamente, ha dichiarato trattarsi di forte anemia e insufficienza ovarica e le prescrisse una cura. Intanto i mesi passavano e Teresa non mostrava alcun segno esteriore di gravidanza, né alcun sintomo che ad essa si accompagna e, benché in quest’ultimo mese facesse i bagni, nessuna delle persone che a lei si accompagnava aveva notato alcunché di anormale. Verso mezzogiorno di ieri, Teresa accusò del dolore al ventre e si rivolse a mia moglie la quale, credendo si trattasse di indigestione, le fece ingerire una purga. Poi andò al cesso e nel ritornare disse a mia moglie che aveva avuto del sangue e che era sicura le fossero tornate le mestruazioni. Mia moglie, allora, le ordinò di stare a letto per evitare qualche emorragia e verso le dieci di ieri sera, dopo aver saputo da Teresa che si sentiva alquanto meglio, andammo tutti a letto. Durante la notte non sentimmo nulla che ci facesse sospettare qualche cosa. Stamattina, appena alzati, Teresa chiamò mia moglie e le confidò ciò che aveva fatto durante la notte… – si ferma un attimo per asciugare una lacrima e il sudore che in un attimo gli ha imperlato la fronte, poi tira un profondo respiro e continua – La mia bambina venne da me e mi informò che una delle tavole che copriva una fossa nel giardino era smossa… accorsi con mia moglie e dopo averci guardato dentro… – si copre il viso con le mani e non riesce più ad andare avanti.

– Bevete un po’ d’acqua, abbiamo capito. Calmatevi un attimo, dobbiamo farvi qualche altra domanda. Per esempio, pensate che Teresa vi abbia mentito e sapeva di essere incinta?

Lo escludo nel modo più assoluto, tanto è vero che mia moglie, avendole domandato dopo il fatto come mai non aveva avvertito dei movimenti all’addome, rispose affermativamente, credendo si trattasse di movimenti degli intestini.

– Avete notato qualche cosa di strano nel suo comportamento in casa?

Teresa tenne in casa mia un comportamento esemplare e non diede mai motivo a sospetti o lagnanze.

Poi i due funzionari, convocato un medico e accompagnati da Candela, vanno a fare un sopralluogo:

In un cortiletto retrostante all’abitazione del signor Candela, in un fosso adibito un tempo a pozzo nero e coperto da un tavolato, avvolto in un grembiule bleu scuro ed in un asciugamano a spugna intriso di sangue, con tutto il corpo avvolto in delle fasce e col solo capo sporgente al di fuori e la guancia sinistra poggiata sopra un sasso, giace il cadaverino di un neonato. Estratto delicatamente, il medico constata che si tratta di un neonato di sesso maschile della lunghezza di 80 centimetri; ha la testa coperta di capelli neri, gli occhi serrati e dalla bocca fuoriesce del sangue. Al collo è stretta una delle cinghie del grembiule in cui è avvolto. Il cordone ombelicale, lungo circa 10 centimetri, è libero senza la solita legatura. Il braccio sinistro è piegato e la mano, raccolta a pugno, poggia sulla faccia. Lungo il corpo si osservano chiazze bluastre che, nel caso in specie, si indovinano di natura asfittica. Sciolto il laccio, che in doppio nodo stringe il collo, si nota un solco bianco interessante tutta la circonferenza del collo. Nella regione sottomentoniera si osserva una escoriazione lineare dall’alto in basso. Fatto pulire il cadaverino dai grumi di sangue e terra, si possono osservare delle escoriazioni sul piede sinistro e sul polpaccio destro. Ma, per accertare se sia nato vivo e vitale ed eventualmente la causa della morte, sarà necessario eseguire l’autopsia. Intanto Teresa, rannicchiata sul letto, viene interrogata e racconta la sua storia:

Sono di Gerace, venni a Reggio condotta da mia madre e fui ricoverata nel Seminario Arcivescovile con l’intenzione di farmi suora, senonché un giorno, mentre attendevo ai lavori di cucina insieme ad una mia compagna, per accidente si ruppe una macchinetta con la quale si schiacciavano le patate. Per tal fatto fui minacciata e rimproverata acerbamente dalla superiora onde io, impaurita, me la scappai e mi allocai al servizio dell’avvocato Orlando Iacopino. Qui venivo mandata fuori di notte alta per comprare delle uova al figlio dell’avvocato ed una sera, mentre percorrevo il ponte di San Pietro, fui avvicinata da due individui, uno che montava una bicicletta e l’altro a piedi, i quali mi trascinarono nel sottostante torrente Calopinace, vicino al mattatoio, ed ivi mi violentarono. La sera successiva, sempre mentre andavo a comprare le uova, fui avvicinata dagli stessi due, coi quali fui costretta ad avere contatti carnali. Malgrado mi fosse successo l’incidente, ritornai la sera successiva perché costretta dai miei padroni, ai quali però non dissi nulla dell’accaduto perché avevo timore… ma quella sera non incontrai più i due sconosciuti. Dopo un mese e mezzo da tale fatto, lasciai la famiglia Iacopino e mi allocai presso la famiglia Candela, dove sono stata fino a ora.

– Non hai detto a nessuno della gravidanza? Possibile che nessuno se ne sia accorto?

Della mia gravidanza non si è accorto nessuno perché inesplicabilmente non presentavo segni esteriori e nemmeno io stessa me ne ero accorta, tanto è vero che ieri, sentendo dei dolori al ventre e credendo si trattasse di indigestione, ingerii una purga. Poi verso le otto di sera intesi dei dolori e sentii la necessità di andare al cesso. Mentre adempivo tale necessità, inaspettatamente mi sgravai del bambino, il quale finanche cadde nel cesso. Chiamai la mia padrona, ma siccome dormiva non mi intese. Allora, non sapendo cosa fare, involtai il bambino in una tovaglia e in un grembiule e lo buttai in un fosso.

– Ma almeno ti sei accorta se era nato vivo? Non è che per non farne accorgere i Candela l’hai soffocato? Sul collo del bambino ci sono i segni dello strozzamento…

Non so dire se sia nato vivo o morto, certo è che non l’intesi piangere… non ricordo se strinsi intorno al collo uno dei lacci del grembiule e se ciò feci fu perché non mi rendevo ragione del mio operato. Ma perché non avrei voluto che i padroni se ne accorgessero? Fui io stessa, stamattina, a narrare tutto ai miei padroni, che sono venuti a chiamarvi

– Va bene, vedremo… ora devi dirci come si chiama l’uomo dal quale ti mandavano a comprare le uova.

– Il nome non lo so, ma sta dopo il ponte, vicino ad una villetta. Precise indicazioni le può fornire la mia padrona Candela, alla quale indicai la bottega

Teresa, in attesa di svolgere le indagini, deve essere arrestata, ma è in condizioni pessime e viene piantonata in ospedale.

Di certo gli inquirenti hanno molti dubbi perché sia il racconto di Teresa che quello di Candela hanno dell’incredibile, ma è pur vero che i casi di donne che non si sono accorte di essere incinte fino al momento di partorire non sono così rari come si può pensare. Un bel rompicapo, che forse solo i risultati dell’autopsia potranno aiutare a risolvere, perché se il bambino fosse nato morto non ci sarebbe reato, ma se i periti accertassero il contrario si tratterebbe di infanticidio, non fosse altro per il cordone ombelicale non annodato.

I periti sono categorici: Possiamo con scienza e coscienza stabilire che causa unica ed esclusiva della morte del neonato furono lo strangolamento ed il trauma susseguentemente ricevuto per essere stato buttato da una relativa altezza, senza che altre cause preesistessero, concomitanti o susseguenti, abbiano potuto contribuire a determinarla.

Nessun dubbio: infanticidio. Ma c’è comunque una scappatoia offerta dall’articolo 369 del Codice Penale vigente, l’onore: Quando il delitto preveduto nell’articolo 364 (omicidio volontario) sia commesso sopra la persona di un infante non ancora inscritto nei registri dello stato civile, e nei primi cinque giorni dalla nascita, per salvare l’onore proprio, o della moglie, della madre, della discendente, della figlia adottiva o della sorella, la pena è della detenzione da tre a dodici anni.

Ed è con l’accusa di infanticidio per causa d’onore che Teresa Orlando viene processata per direttissima il 22 ottobre 1930 dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria.

La Corte, letti gli atti e ascoltati i testimoni, ritiene giusto concedere a Teresa le attenuanti generiche e l’attenuante della parziale infermità di mente e nel quantificare la pena da irrogare, scrive: dato che si tratta di una ragazza alquanto scema, dato il suddetto beneficio del vizio parziale di mente, il Presidente crede applicare anni uno, mesi cinque e giorni dieci che per la riduzione di 1/6 per l’età minore e di un altro sesto per le attenuanti generiche concesse, si stabilisce ad un anno di pena. Dato lo stato di mente e l’assicurazione data dal padrone dell’imputata di riprenderla al suo servizio e vigilarla, è anche il caso di concedere il beneficio della condanna condizionale.[1]

Sono eccezionali la sensibilità e l’umanità mostrate dalla famiglia Candela, altre famiglie avrebbero sbattuto Teresa in mezzo alla strada, agevolandone il cammino verso la prostituzione.

[1] ASRC, Corte d’Assise di Reggio Calabria.