IL RIPROVEVOLE DESIDERIO DI VENDETTA

Emervino Frassetti, contadino di Cavallerizzo di Cerzeto, amoreggia con la sua compaesana Emilia Posteraro. Una sera, approfittando del fatto che i genitori di Emilia sono fuori casa e con lei ci sono solo il fratellino e la sorellina, tenta di introdursi nella casa dell’innamorata scalando una finestra. Emilia se ne accorge e si mette a gridare, richiamando così l’attenzione dei vicini di casa e costringendo Emervino a darsi alla fuga. Ovviamente, dopo questo incidente, il fidanzamento viene rotto, i rapporti tra le due famiglie, intese in senso ampio, si guastano e cominciano ad accadere cose strane.

È la sera del 30 ottobre 1934. Pietro Posteraro, un cugino di Emilia, sta passeggiando insieme con alcuni amici quando si imbatte in un gruppo di giovanotti tra i quali c’è Emervino. Per evitare ogni possibile discussione, Pietro si ferma e si addossa al muro di una casa in atteggiamento guardingo, attendendo che il gruppo passi oltre. Pasquale Madotto, un giovanotto del gruppo di cui fa parte Emervino, però, ha notato quella figura indistinta appiattita contro il muro e torna indietro al fine di conoscere chi fosse. Pietro, da parte sua, vede avvicinarsi qualcuno e crede che sia Emervino; ritenendo che questi, per i non buoni rapporti che tra loro esistono, si stia avvicinando con propositi ostili, appena lo ha a tiro gli vibra una bastonata in testa e si prepara a dargliene un’altra, ma l’urlo di dolore e le imprecazioni che escono dalla bocca del ferito, gli fanno capire di aver sbagliato persona e che si tratta di Pasquale Madotto. Pietro scappa senza curarsi del ferito e Madotto, infuriato tanto per la bastonata ricevuta, quanto per non averla potuta ricambiare, giura in cuor suo di vendicarsi.

E c’è seriamente da preoccuparsi perché pare che Madotto sia davvero un tipo che se giura vendetta, è capacissimo di fare molto male. Per questo motivo uno zio di Pietro, Pasquale Posteraro, combina un incontro a casa sua tra i due per pacificarli e davanti ad un bicchiere di vino buono Pietro chiede scusa a Pasquale. Tutto finito? Niente affatto perché Madotto ormai ha giurato a sé stesso e, al di la delle apparenze, è determinato a perseguire il suo riprovevole desiderio di vendetta.

È la sera del 4 novembre 1934. Pasquale Madotto sta discorrendo con alcuni amici sulla strada provinciale che attraversa Cavallerizzo, quando gli passa davanti Pietro Posteraro in compagnia di altri giovani fascisti di ritorno da Mongrassano, ove si erano recati per prendere parte ai festeggiamenti in ricorrenza dell’anniversario della vittoria (della Prima Guerra Mondiale. Nda). Madotto, imbrandendo il suo bastone, cerca di aggredire Pietro ma viene trattenuto da Pasquale Vicinotto, comune amico dei due avversari, senza che la vittima designata si sia accorta del pericolo che ha corso.

Poco dopo Pietro, a braccetto con Virgilio Tudda, fa all’indietro la stessa strada e viene avvicinato da Domenico Basile:

Tornatevene a casa perché nel gruppo di Madotto c’è qualcuno male intenzionato contro di voi

– Grazie, stai tranquillo perché non appena completiamo il percorso ce ne andiamo a casa – gli rispondono.

Passa qualche minuto e la comitiva di giovani fascisti, divisa in tre gruppetti, torna indietro e passa di nuovo davanti al gruppo in cui c’è Madotto, il quale si stacca dagli amici, raggiunge Pietro e gli vibra una tremenda bastonata alla nuca.

Pietro fa qualche passo barcollando, poi si gira, tira fuori la rivoltella che porta abusivamente e, tra la vista annebbiata per la bastonata ed il buio, spara all’impazzata in direzione del gruppo di Madotto. Un urlo di dolore gela tutti. A cadere colpito da un proiettile nella zona ascellare sinistra, che nella sua folle traiettoria si va a conficcare nella spina dorsale, è, ironia della sorte, Pasquale Vicinotto che poco prima aveva salvato Pietro dall’aggressione di Madotto.

Trasportato d’urgenza all’ospedale di Cosenza, Vicinotto muore dopo poche ore di agonia.

Pietro Posteraro e Pasquale Madotto vengono arrestati con le accuse, rispettivamente, di omicidio e porto abusivo di rivoltella e lesioni volontarie guarite in giorni 15.

– Ho colpito con una bastonata Pietro Posteraro per vendicarmi della bastonata che mi aveva dato la sera del 30 ottobre… – si giustifica Pasquale Madotto.

Ho esploso due colpi di rivoltella dopo essere stato proditoriamente ferito col bastone alla testa, per impedire di essere fatto segno ad ulteriori atti di violenza… – dice Pietro Posteraro.

Le indagini confermano le prime ipotesi di reato a carico dei due, che vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza ed il dibattimento viene fissato per  il 13 ottobre 1935.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva che l’indagine è circoscritta a stabilire se, giusta la richiesta dei difensori, Pietro Posteraro debba dichiararsi non punibile per avere agito in stato di legittima difesa o se, nella negativa, la sua responsabilità debba ritenersi sensibilmente minorata per avere egli compiuta l’azione delittuosa eccedendo colposamente i limiti impostigli dalla necessità di difendere la propria vita o la sua integrità fisica, impedendo che contro di lui fossero esercitati ulteriori atti di violenza.

Che Posteraro si sia difeso da una ingiusta aggressione è innegabile ma, secondo la Corte, ha esagerato dato che, non appena ricevuta la bastonata, trascurò ogni più elementare norma di prudenza e di avvedutezza perché esplose all’impazzata ed in condizioni di scarsa visibilità a causa dell’oscurità della notte, due colpi di rivoltella senza prima assicurarsi della permanenza del pericolo che, eventualmente, lo sovrastava e pur sapendo che a brevissima distanza dal suo feritore si trovavano altre persone, alcuna delle quali avrebbe potuto, come dolorosamente ebbe a verificarsi, rimanere vittima della sua reazione difensiva. Eccesso colposo di legittima difesa. Poi c’è il porto abusivo di arma da fuoco e qui non c’è da discutere.

Non ci possono essere dubbi nemmeno sulla responsabilità di Pasquale Madotto riguardo al reato di lesioni personali e la Corte rigetta la richiesta della difesa tendente alla concessione dell’attenuante dello stato d’ira. E spiega: non basta che il colpevole agisca in stato d’ira, ma occorre che tale stato d’ira sia determinato dal fatto ingiusto altrui, che in questo caso non si ravvisa perché è stato accertato che Madotto, d’animo inaccessibile a qualsiasi sentimento di perdono, fu spinto al delitto dall’irrefrenabile e riprovevole desiderio della vendetta, pur sapendo che Posteraro, nella sera del 30 ottobre, scambiandolo col suo nemico Emervino Frassetti, lo aveva ferito alla testa con un colpo di bastone e nonostante Posteraro gli avesse chiesto perdono per l’errore in cui era incorso e gli avesse manifestato il desiderio di pacificazione tra loro.

Detto ciò, la Corte passa a quantificare le pene da infliggere ai due imputati. Per quanto riguarda Pietro Posteraro, in considerazione delle modalità del fatto, del movente del delitto e dei suoi incensurati precedenti (senza dimenticare che è un fervente fascista, nda), stima giusto infliggere la reclusione della durata di un anno per l’omicidio e di un mese di arresto per il porto abusivo di arma.

Per quanto riguarda Madotto, in considerazione del movente che rivela la sua indole perversa e vendicatoria, nonché dei suoi buoni precedenti penali, stima giusto infliggere la pena della reclusione nella durata di mesi sei.

Per entrambi gli imputati, pene accessorie, spese e danni.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.