I DUE CARABINIERI

Giuseppe Altimari e Marietta Dodaro si sono sposati il 25 marzo 1920 a Rogliano e hanno fatto una piccola festa. Il giorno dopo, finito di lavorare, chi non è potuto andare alla festa va a trovarli a casa. Giuseppe con i suoi amici si diverte pacificamente a suonare la chitarra e a cantare, Marietta fa vedere i poveri doni ricevuti. Quando è ormai buio arrivano da Parenti anche i fratelli della sposina, Giuseppe e Vincenzo. Verso le 21,30, quando gli amici sono tutti andati via, a Vincenzo Dodaro salta in mente di andar fuori ed invita anche il fresco sposo ad uscire.

– Ormai è tardi, non andare, il cuore mi dice che se esci non tornerai più! – fa Marietta a suo marito, presa da un nero presentimento.

– Ma che cosa vuoi che succeda, arriviamo un quarto d’ora al caffè qui vicino e te lo riporto a casa! Dai Giusè, muoviti e andiamo – le risponde suo fratello prendendo sottobraccio il cognato, che guarda imbarazzato Marietta e scuote le spalle come per dire che è quasi costretto ad accettare l’invito.

La caffetteria di Giovanni Gabrielli è in Piazza Morelli e non c’è quasi nessuno quando i fratelli Dodaro e Giuseppe Altimari entrano, si siedono intorno ad un tavolino ed ordinano tre bottiglie di birra da tre quarti. Mentre bevono e chiacchierano entra Carmine Altimari, il fratello di Giuseppe, che li vede e si siede a bere con loro. Dopo una mezzoretta, finite le birre, i quattro si alzano, pagano ed escono alquanto ubriachi, fanno poche decine di metri e si fermano a discutere sul Corso Maggiore, proprio di fronte al palazzo Morelli.

I Carabinieri Rocco Benvenuto e Gennaro Lopez sono di pattuglia la sera del 25 marzo 1920 e stanno percorrendo il Corso in direzione del palazzo Morelli quando notano un gruppo di circa cinque o sei persone discutere animatamente per la compra di certe uova. Alla vista dei Carabinieri, uno di essi dice:

Parlate piano che passano i Carabinieri!

Ma uno del gruppo, vestito da militare, alzando la voce, ribatte:

Che me ne frega di questi schifosi sbirri?

Per misura di prudenza, i due militari proseguono il loro cammino e, giunti oltre la posta nella speranza di incontrare qualche altro Carabiniere, a lenti passi tornano indietro e, nello stesso punto, trovano le stesse persone ancora lì che, forse supponendo di essere sorvegliati, senza alcuna ragione cominciano a urlare:

Che andate facendo? Non vi siete ancora ritirati? Ritornate indietro!

E da una parola all’altra ne nasce una feroce colluttazione, con i Carabinieri che resistono sulla difensiva per non farsi disarmare ed i malviventi che li colpiscono con calci e pugni.

Giovanni Gabrielli sta chiudendo il locale quando sente dalla parte del Corso Maggiore un vocio indistinto, come di gente che sta litigando. Incuriosito, si avvicina e vede, proprio davanti al palazzo Morelli, il Carabiniere Lopez, colle spalle addossate alla porta chiusa di un basso, che sta colluttando con Giuseppe Dodaro, vestito da soldato, e con Giuseppe Altimari. A pochi metri di distanza Carmine Altimari tiene abbracciato Vincenzo Dodaro cercando di allontanarlo dal Carabiniere Benvenuto, che tiene in mano la rivoltella stando in piedi e che urla:

Fate largo che sparo, ritiratevi!

Nel vedere questa scena, Gabrielli ha paura di poter restare colpito da un ipotetico colpo di rivoltella vagante e torna indietro di corsa ma, appena fatti pochi metri, viene gelato dalla detonazione di un colpo di arma da fuoco. Si ferma un attimo, guarda indietro e si ripara dentro un portone. Subito dopo accorrono i due Carabinieri e gli dicono di andare in caserma per fare accorrere sul posto altri militari.

– Io me ne vado a casa, in caserma non ci vado! – risponde Gabrielli mentre si allontana, la stessa cosa che fanno i due Carabinieri.

Ma Gabrielli è troppo curioso e non resiste alla tentazione di tornare sul posto per capire cosa diavolo sia successo. Si è fatta una piccola folla e l’aria è molto tesa nel commentare il dramma che si è consumato: Giuseppe Altimari è rimasto gravemente ferito da un colpo di rivoltella sparato dal Carabiniere Rocco Benvenuto ed è stato trasportato a casa della sorella.

Sono le 22,30 e Marietta è preoccupata perché il quarto d’ora promesso da suo fratello è passato ormai da un pezzo. Un vocio fuori la porta, Marietta si alza dalla sedia e si precipita ad aprire, felice che il suo triste presentimento non si sia avverato. No, non è Giuseppe, è suo cognato Carmine, sconvolto e dolorante, che le dice:

Peppino è morto, lo ha ammazzato un Carabiniere, è a casa di mia sorella!

A Marietta si piegano le ginocchia, ma poi si mette a correre urlando e piangendo. Poche decine di metri per scoprire che il suo Peppino ancora non è morto, è in agonia. Lo chiama, lo scuote, lo bacia ma niente, dalla sua bocca esce solo un rantolo, l’ultimo, poi muore.

Ma cosa è veramente accaduto negli istanti precedenti all’arrivo del caffettiere Gabrielli e negli istanti successivi alla sua fuga, fino alla detonazione fatale? Le versioni sono contrastanti e non sarà facile venirne a capo, ma intanto bisogna dire che i Vincenzo Dodaro e Carmine Altimari vengono posti in stato di fermo, Giuseppe Dodaro è latitante, il Carabiniere Benvenuto viene trattenuto nella caserma del capoluogo, mentre il Carabiniere Lopez viene assegnato temporaneamente alla stazione di Oriolo Calabro.

Secondo la ricostruzione fatta dai due Carabinieri, avallata dal Maresciallo Maggiore Carmine Mancuso, comandante la stazione di Rogliano, i due fratelli Dodaro, i due fratelli Altimari, più una o due persone non identificate stavano parlando tra loro e non appena videro i due militari cominciarono ad insultarli. I due, per misura di prudenza, proseguirono il cammino e poi tornarono indietro. A questo punto vennero aggrediti.

Il Carabiniere Lopez racconta di essere stato malmenato dai fratelli Dodaro e da un terzo non identificato, mentre Benvenuto fu aggredito dai fratelli Altimari e da un terzo non identificato, che lo buttarono a terra e lo colpirono con calci, pugni e perfino lo calpestarono. Poi lo lasciarono disteso per terra ritenendolo morto e accorsero per dar man forte ai tre che lo stavano picchiando. Mentre Lopez cercava di difendersi, fu in grado di vedere il collega che riuscì a sollevarsi in ginocchio e Giuseppe Altimari che gli fu di nuovo addosso. “Fu allora che il mio collega tirò la rivoltella e gli sparò un sol colpo e Altimari cadde a terra gridando: Vigliacchi che mi avete fatto!”. A questo punto tutti gli altri aggressori scapparono ed i due Carabinieri, lasciato a terra Giuseppe Altimari, tornarono in Caserma. Lopez aggiunge che presente alla rissa c’era il caffettiere Giovanni Gabrielli, il quale era intervenuto per calmare gli aggressori, ma dovette allontanarsi perché questi minacciarono di picchiarlo. Però Gabrielli non fa parola del suo intervento da paciere, tutt’altro.

Il Carabiniere Benvenuto, a sua volta, racconta che del gruppo di sei persone, cinque parteciparono all’aggressione ed il sesto fuggì. Lui venne afferrato da Giuseppe Altimari e da un altro non identificato che lo buttarono a terra, lo calpestarono e Altimari lo morse ad un dito. Poi aggiunge: Io mi intesi venir meno le forze ed i miei due aggressori dovettero ritenermi per morto perché mi lasciarono e si slanciarono contro il mio collega, che veniva malmenato dagli altri tre. Ma io, dopo poco, tentai di sollevarmi sulle ginocchia e mentre ero così sollevato mi vidi venire nuovamente addosso Giuseppe Altimari, esclamando: “Vigliacco, ancora ti alzi?”. Fu allora che tirai la rivoltella e gli sparai un colpo alla distanza di due o tre passi da me. Egli cadde a terra gridando: “Vigliacchi Carabinieri, che mi avete fatto!”.

Quindi legittima difesa per avere esploso un colpo della sua rivoltella d’ordinanza, che uccise Altimari Giuseppe, aggressore di lui per brutale malvagità, secondo la versione ufficiale del Maresciallo Maggiore Mancuso, che aggiunge: trattandosi di pregiudicati dediti al mal fare, è da presumersi che non fossero inermi.

Ma oltre al caffettiere Gabrielli, che non ha visto tutto per come ha raccontato, ad assistere al fatto c’era almeno un altro testimone, Raffaele Minardi, 27 anni, possidente:

Io accorsi, avendo inteso Carmine Altimari, che riconobbi dalla voce, gridare: “Aiuto!”. Quando giunsi trovai costui al principio del vicolo ov’è la mia abitazione, il quale vicolo sbocca sul Corso Maggiore, e vidi che teneva afferrato Vincenzo Dodaro e disse a me: “Raffaele, aiutami a mantenerlo, alludendo a Dodaro, se no stasera si rovina”. Io cercai di aiutarlo a trattenere Vincenzo Dodaro, il quale faceva sforzi per divincolarsi, gridando: “Lasciatemi!”. Fu in questo momento che avvenne lo sparo e, ciò vedendo, li lasciai entrare nella mia casa. Allorché intesi le grida di aiuto di Carmine Altimari io vidi sul Corso Maggiore, nei pressi del vicolo, un Carabiniere che teneva in pugno la rivoltella e grondava sangue da un dito della mano con la quale impugnava l’arma. Poco più sopra di costui vidi un altro Carabiniere in colluttazione col soldato Giuseppe Dodaro e con Giuseppe Altimari.

Prima di ascoltare le versioni degli imputati, è bene mettere in chiaro qualche aspetto poco chiaro della vicenda. Il primo riguarda soprattutto la circostanza se il Carabiniere Benvenuto, al momento di sparare, si trovava inginocchiato, come dicono i Carabinieri, o in piedi, come ha raccontato, e successivamente confermato, il caffettiere Gabrielli e come si intuisce dalla deposizione di Raffaele Minardi. La questione è di fondamentale importanza perché se Benvenuto avesse sparato stando in piedi, la tesi della legittima difesa vacillerebbe paurosamente. Ma questa circostanza sarà chiarita dall’autopsia. Il secondo riguarda il numero degli aggressori: sei, secondo il Carabiniere Lopez, cinque secondo Benvenuto e quattro secondo i due testimoni oculari e gli inquirenti non si sforzano più di tanto per cercare di identificarli. E che dire dell’ora in cui avvenne il fatto? Passata mezzanotte secondo la versione dei Carabinieri, un paio di ore prima secondo i testimoni.

Un’altra stranezza? Il Comando Legione Territoriale dei Carabinieri, nella persona del Comandante, Tenente Colonnello Filippo Mascioli, scrive al Giudice Istruttore per chiedere, a nome di Benvenuto, la libertà provvisoria e, inoltre, di non eseguire il mandato di cattura, facendo presente che qualora, come si spera, la domanda di che trattasi sarà benignamente accolta, il Carabinere Benvenuto continuerà a rimanere in questa caserma, a completa disposizione dell’Autorità Inquirente.

Interrogato, Vincenzo Dodaro dice:

Ieri sera all’imbrunire io e mio fratello Giuseppe arrivammo da Parenti entrambi ubriachi perché avevamo bevuto di soverchio. Giunti qui ci recammo a casa di nostra sorella dove si divertivano a suonare con due chitarre ed un mandolino. Ci trattenemmo circa un’ora e dopo uscimmo con nostro cognato ed i suoi tre amici, quindi andammo in piazza nel caffè di Gabrielli. Ivi bevemmo liquori e dopo circa tre quarti d’ora ne uscimmo io, mio fratello, nostro cognato Giuseppe e gli altri tre, di cui non conosco i nomi. Dal momento in cui uscimmo dal caffè io non conservo più memoria di quello che in seguito sia avvenuto perché l’ubriachezza mi aveva offuscato completamente l’intelletto. Non ho altro da dire

Quindi, secondo i suoi ricordi da ubriaco, con loro nel caffè c’erano anche tre amici del cognato, ma non Carmine Altimari il quale, interrogato, racconta:

Verso le 22,00 trovai nel caffè di Gabrielli il povero mio fratello Giuseppe con i due cognati. Mi offrirono da bere e subito dopo uscimmo tutti quanti perché era l’ora in cui il caffettiere chiudeva. Fuori, io mi licenziai da mio fratello e dai Dodaro, che si avviarono lungo il Corso Maggiore per andare a Cuti, mentre io mi trattenni un poco in piazza per aspettare il caffettiere che per rincasare doveva fare la mia stessa strada. Mentre ero ivi fermato, intesi provenire dal principio del Corso delle grida indistinte, come di gente che litigava. Accorsi subito e trovai mio fratello Giuseppe alle prese con un Carabiniere. Vidi che il Carabiniere era di sotto e mio fratello gli era di sopra. Afferrai subito mio fratello ed a viva forza lo tolsi da sopra il Carabiniere e cercai di allontanarlo e così il Carabiniere potette alzarsi ma, alzatosi, cacciò fuori la rivoltella. Ciò vedendo, gli dissi: “Per carità, non sparare che mio fratello è ubriaco!”. In questo mentre arrivò il caffettiere, il quale si avvicinò al Carabiniere che impugnava la rivoltella e gli fece anch’esso l’esortazione di non sparare perché si trattava di ubriachi. In questo momento io avevo lasciato mio fratello, che si era allontanato verso sopra e mi vidi venire incontro Vincenzo Dodaro, il quale forse si era diretto contro il Carabiniere armato. Allora afferrai Dodaro, lo trattenni e cercai di allontanarlo, riuscendo a condurlo nel vicolo dove abita Raffaele Minardi, il quale accorse e mi aiutò a trattenere Dodaro. Ma mentre tutti e due trattenevamo costui, udimmo il colpo di rivoltella. Lasciai Dodaro e ritornai sul Corso, ove trovai mio fratello per terra, il quale mi disse: “Portami sulla barella”. Poi non disse più niente e dopo circa cinque minuti cessò di vivere.

– Quando siete arrivato sul posto i Dodaro che facevano?

Erano alle prese con un altro Carabiniere

– Avete altro da dire?

Mio fratello aveva sposato la sorella dei Dodaro giusto il giorno prima. Io non ebbi piacere a tali nozze perché i fratelli Dodaro sono due pregiudicati, ma mio fratello, il quale era epilettico e riformato dal militare, volle imparentarsi con costoro. Io sono innocente perché non ho fatto nulla contro i Carabinieri e con dolorosa sorpresa oggi mi sono visto arrestare

Intanto arriva il referto dell’autopsia che certifica: la morte, fu quasi istantanea per sciock consecutivo alla grave emorragia interna ed alla concomitante peritonite acutissima conseguenza del colpo di arma da fuoco, esploso a brevissima distanza e dal basso in alto.

E questo vuol dire che Benvenuto era inginocchiato, o forse si stava rialzando, e quindi è plausibile che sparò per difendersi.

Il 10 maggio 1920 la Sezione d’Accusa è chiamata a decidere sulle richieste della Procura in merito alle posizioni del Carabiniere Benvenuto e di Carmine Altimari. Il primo viene prosciolto dalla imputazione di omicidio volontario per avere agito in stato di legittima difesa,; al secondo, imputato di oltraggio con violenza in offesa di agenti della forza pubblica, in loro presenza e contro le loro funzioni, in attesa del giudizio, visto che è incensurato e che la pena prevista per il reato lo consente, viene concessa la libertà provvisoria.

La causa contro i fratelli Dodaro e Carmine Altimari si discute davanti al Tribunale Penale di Cosenza il 29 novembre 1920 e la Corte osserva: È una delle solite bravate che caratterizzano la criminalità impulsiva e violenta dei Dodaro, che hanno trascorso tre quarti della loro vita in carcere, uscendone sempre con propositi più tracotanti e sanguinari. Le pagine processuali additano come i veri provocatori di quella tragedia i germani Dodaro, cui nemmeno la propria sorella risparmia i meritati rimproveri e, tenuto conto di ciò, nonché dei loro pessimi precedenti, si stima giusto irrogare a ciascuno di essi un anno e mesi due di reclusione e lire 300 di multa, mentre Carmine Altimari, per le modalità del fatto e la sua buona condotta, merita speciale considerazione, che si concreta nella pena minima di un mese di reclusione e lire 100 di multa.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.