LA SCHIOPPETTATA DI NONNO GIUSEPPE

È il 29 maggio 1885, mezzogiorno. È ora di mangiare e i contadini sono tornati dagli orti. Il calzolaio Francesco Salatino è ancora nella sua botteguccia perché, prima di mettere qualcosa sotto i denti, deve finire di mettere le tacce, i chiodi con la testa grossa e rotonda che servono a non far consumare le suole, ad un paio di scarponi. All’improvviso sente delle urla provenire dalle case dei suoi lontani parenti Saverio e del figlio Giuseppe Salatino – a Scalzati, come in quasi tutti i piccoli paesi, gli abitanti sono più o meno tutti parenti –. Lascia tutto per correre a vedere cosa diavolo sta succedendo anche oggi, visto che padre e figlio non vanno proprio d’accordo. Nel piccolo spazio antistante alle due casette c’è già della gente, ma pare che la situazione per fortuna si sia già calmata e tutti cominciano a tornare a casa per terminare quello che dovrebbe chiamarsi pranzo.

All’improvviso un colpo di pistola sovrasta il brusio dei curiosi, che precipitosamente tornano indietro per vedere se questa volta c’è scappato il morto. No, stanno tutti bene e ognuno può tornare alle proprie faccende.

Ma Saverio e Giuseppe nei giorni successivi continuano a litigare e quando al padre sembra di sentire dalla bocca del figlio una minaccia di morte, il 23 luglio si decide, anziano di settant’anni come è, ad andare in città per sporgere, direttamente alla Procura del re, querela contro il figlio per tentato omicidio, raccontando della lite del 29 maggio, avvenuta per questioni d’interesse, e del colpo di pistola. Partono le indagini dei Carabinieri di Spezzano Sila e intanto bisogna capire perché Saverio ha aspettato quasi due mesi prima di denunciare il colpo di pistola che gli ha sparato contro Giuseppe e poi in cosa consistano queste questioni d’interesse. Solo dopo si occuperanno della dinamica dei fatti.

Tale reato si riferisce con ritardo perché, essendo padre e figlio, da principio cercavano di accomodare la cosa senza darne parte a nessuno, scrive il Brigadiere Polito Apicella. Per quanto riguarda le questioni d’interesse il Brigadiere ha qualche difficoltà a scoprirle. Molti rispondono di sapere dei dissidi e dei litigi, ma non ne conoscono il vero motivo. Poi interrogano Rachele Salatino, anche lei una parente, e qualcosa sembra filtrare:

Zu Saverio era scontento di Giuseppe perché questi, nella sua assenza, si avea preso alcuni effetti casarecci, che si appartenevano al primo, anzi, i lagni del padre erano che il figlio gli avea spogliato la casa

Secondo Raffaele Salatino, fratello di Saverio e zio di Giuseppe, la questione sarebbe legata alla casa costruita da Giuseppe, sulla quale suo fratello Domenico avanzerebbe delle pretese:

Tuo fratello Giuseppe ha ragione perché ha molto lavorato nella casa! Così gli ho detto a Domenico.

E davvero Giuseppe per quella misera casetta, costruita in occasione del suo primo matrimonio quando era ancora un morto di fame e andava, con molti altri paesani, a piedi a Rossano a cavare la radice di liquerizia. Una casetta costituita da un basso e da una stanza superiore a cui si accede attraverso una scala di legno ed una cataratta nel tavolato. Una casetta costruita con la fatica di ogni santa notte per andare a prelevare le pietre del Monastero di Santa Maria del Soccorso ormai in rovina e trasportarle con una cesta sulle spalle, così da farle trovare ai muratori la mattina successiva. Una fatica disumana compiuta senza un lamento dopo una giornata di zappa. Pensate che per questa sua straordinaria forza e resistenza fisica, in paese cominciò a girare la voce che Giuseppe avesse stretto un patto col diavolo o, peggio, che fosse nato con la coda di satana!

Costruita quella casa, Giuseppe, invece di andare alla cantina del paese a spendere i soldi della giornata, quegli stessi soldi li pagava al prete per imparare a leggere, scrivere e fare di conto e quando divenne “istruito” salutò la zappa e cominciò il commercio della radice di liquerizia, che lo avrebbe portato ad essere uno dei più grandi commercianti del Meridione. Ma il denaro accumulato dopo  la fatica fatta e la fame patita non gli fecero scordare la sua innata, esagerata parsimonia. A proposito del suo braccino corto un cugino di mio padre mi raccontò un paio di aneddoti, mai circolati in famiglia: quando nonno Giuseppe  andava in giro per affari  (ho suoi ritratti fatti in Sicilia, Puglia, Campania, ma sicuramente andava anche in posti più lontani che non ho potuto accertare perché le carte della Ditta sono state distrutte dagli acquirenti della casa in paese. Ah! A proposito della casa vi dico che gli acquirenti, dopo aver distrutto le carte, avrebbero voluto distruggere anche un ritratto di nonna Michelina, ma rinunciarono perché sul retro c’è scritta una terribile maledizione, per cui mi contattarono ed io ho sfidato la maledizione portandomela a casa. Se credessi a queste cose, vi racconterei tutte le sciagure che mi sono capitate dopo avere appeso il ritratto a casa mia), non dormì mai in un albergo, pensione o stamberga che fosse, ma entrava nel primo portone abbastanza signorile che trovava, si sedeva a terra in un angolo a gambe incrociate col fucile in mano e dormiva così. Un’altra volta, quando lo costrinsero ad organizzare la festa del paese, consistente nel chiamare un predicatore che predicasse in latinorum e più lunga e incomprensibile era la predica, più la festa era riuscita e apprezzata, ovviamente nonno Giuseppe chiamò il predicatore più economico, la predica durò solo pochi minuti e la festa sembrava ridursi ad un fiasco, tra lo stupore generale visto che l’organizzava il ricchissimo Giuseppe Salatino. Lui non batté ciglio, si alzò dal suo banco in prima fila, si avvicinò al predicatore, aprì la giacca quel tanto che bastava per far luccicare la rivoltella che teneva alla cintola e sussurrò al predicatore: “Predica perlamadonna se no t’ammazzo qui sull’altare!”. Terrorizzato, il predicatore tenne la predica più lunga e incomprensibile che i paesani avessero mai sentito e la festa fu un successo strepitoso, costato solo poche lire!

Ma torniamo alla nostra storia. All’epoca dei fatti Giuseppe è già un benestante, ha comprato un bel pezzo di terra per costruire una grande e comoda casa, e i Carabinieri fanno fatica a credere alla versione di Rachele Salatino, ma piuttosto credono a quella di zio Raffaele.

Adesso è il momento di indagare per ricostruire la dinamica dei fatti e stabilire se davvero Giuseppe ha sparato contro suo padre per ucciderlo e per prima cosa interrogano l’imputato:

– Si, abbiamo litigato e stavamo venendo alle mani, ma ci divisero ed io fui portato in mia casa. La pistola a due canne, che detengo legalmente, era sul tavolo, proprio dove la vedete adesso, e nel trambusto cascò dal tavolo e andando a terra si esplose ed il proiettile andò così a conficcarsi nel soffitto… – si giustifica.

Ma il Brigadiere Apicella, osservato il foro prodotto dalla palla conficcatasi nel tavolato, si accorge che le cose non possono essere andate come gli ha detto Giuseppe, a motivo che la palla si doveva conficcare nel muro e non mai andare nel soffitto. Potrebbero essere guai seri e intanto provvedono a sequestrare l’arma e anche il proiettile, dopo averlo estratto dal tavolato.

Poi interrogano una decina di testimoni e scoprono che ci sono molte incongruenze nei loro racconti. Rachele Salatino, per esempio, dice:

Verso gli ultimi di maggio vennero in quistione il padre e il figlio, ma accorse molta gente e li divisero. Rosina Guido, moglie di Francesco Serra e Giuseppe Serra, cognati di Giuseppe Salatino, presero il medesimo e lo fecero salire nella propria stanza. Allora fu che s’intese un colpo di pistola e dagli astanti si disse che il figlio avea sparato contro il padre, ma poiché il braccio gli venne tirato dalla Guido nell’atto dell’esplosione, così non colpì, anzi poco mancò che non avesse ucciso la Guido, per come ella stessa mi raccontò dopo l’accaduto

Poi Pasquale Salatino:

Mentre stavo mangiando per mezzogiorno intesi del chiasso innanzi la casa di Giuseppe e Saverio Salatino. Siccome parente, accorsi per sapere di che si trattasse, allorché intesi anche l’esplosione di un colpo di arma da fuoco. Arrivato sul luogo trovai la finestra di Giuseppe Salatino chiusa, ma si aprì poco dopo, e seppi dagli astanti che Giuseppe si era alterato col padre e col fratello Domenico, che non vidi inveire o menar pietre contro la finestra del proprio fratello. Con Saverio c’era suo fratello Benedetto…

Quindi alla lite avrebbe preso parte anche Domenico, ma perché Rachele Salatino non lo ha nominato? Forse esistono due schieramenti tra i Salatino, quelli a favore del padre e quelli a favore del figlio Giuseppe? E poi, possibile che nessuno si assuma la responsabilità di dire “ho visto”, “ho sentito”, invece di “dagli astanti ho saputo”? Ma questi benedetti astanti chi sono, visto che tutti dicono di avere appreso le cose da loro? Comunque, da una parola detta qua e da un’altra sentita là, il Brigadiere è in grado di stabilire che in casa di Saverio, il padre, subito dopo la lite c’erano suo fratello Benedetto e suo figlio Domenico. Poi trova uno degli astanti, Federico Caputo, secondo il quale le cose sarebbero andate così:

Stavo mangiando per mezzogiorno e intesi un chiasso innanzi la casa di Saverio Salatino; accorsi e trovai Giuseppe Salatino che aveva un animato diverbio con suo padre e stavano già venendo alle vie di fatto. Mentre Giuseppe Serra e la moglie di Francesco Serra cercavano a condurre via Giuseppe, io ed altri condussimo in casa Saverio e nell’atto ciò praticavamo, intesimo un colpo d’arma da fuoco dentro la casa di Giuseppe. Fo presente che gli animi erano agitatissimi e poteva succedere qualche disgrazia. Feci rientrare Saverio e l’altro figlio Domenico in casa e chiusi la porta, perciò non fui in grado di osservare quello che si fosse fatto nella casa di Giuseppe Salatino. Solo vidi che, non appena sparato il colpo nell’interno della casa, si chiuse la finestra e dopo poco si aprì. Per detto di coloro che erano fuori, ho saputo che il colpo esploso da Giuseppe Salatino era diretto contro il padre e che venne deviato da coloro che lo trattenevano, ritirandogli il braccio, ma io nulla vidi intento com’ero a far rientrare in casa Saverio

Il Brigadiere non ritiene opportuno interrogare Benedetto e Domenico Salatino, fratello e figlio di Saverio, ma interroga i fratelli Serra, cognati di Giuseppe, chiamati in causa e i fatti sembrerebbero andati diversamente:

Venni chiamato nel mio negozio, al principio del rione Scalzati, dalla moglie di Francesco Vitelli, la quale mi disse di accorrere nella casa di Saverio Salatino perché padre e figlio si stavano questionando. Arrivato, trovai la quistione cessata; il padre era dentro la casa, Domenico Salatino era sul pianerottolo innanzi la casa e Giuseppe era seduto sui gradini della scala di Giacinto Salatino. Io guardai bene mio cognato Giuseppe Salatino e gli dissi: “Non vuoi ancora finirla? Saliamo in casa che ti prendi la giacca ed andiamo a fare una partita”. Difatti siamo entrati nella casa e, mentre nuovamente lo avvertivo, egli si sedette vicino alla finestra. A questo, Raffaele Salatino, zio di Giuseppe e Domenico e fratello di Saverio, cominciò a rimproverare Domenico e quasi facendo gli elogi a Giuseppe. Allora Domenico cominciò a dire che egli avrebbe maltrattato senz’altro il fratello Giuseppe il quale, avendo ciò inteso, rispondendo a quelle minacce gli disse: “Vedi se vuoi uccidermi, vieni…”. A queste parole io afferrai Giuseppe e l’allontanai dalla finestra, mentre la moglie ne ha chiuso le imposte e Rosina Guido, cognata di entrambi, che era pure con noi, chiuse la cataratta per dove si entrava nella stanza. Domenico, intanto, dal di fuori cominciò a lanciare sassi ed io per farlo cessare aprii la finestra e mi affacciai e a quest’atto mi venne una sassata che mi colpì sul petto. Allora Giuseppe, ch’era dietro di me, vedendomi offeso afferrò una pistola che trovavasi su di un tavolo vicino la finestra, cercando d’impugnarla, ma io fui sollecito ad alzargli il braccio e strappargliela, mentre la moglie sul momento istesso chiudeva nuovamente la finestra. La pistola sparò ed il proiettile andò ad urtare contro la tavola del soffitto. Da ciò che ho detto rilevasi chiaramente che la lite in mia presenza fu con il fratello e non col padre. Altro non conosco.

Questa versione è confermata anche da Rosina Guido che, tuttavia, deve chiarire al Brigadiere come mai a Rachele Salatino raccontò qualcosa di diverso:

Io a Rachele Salatino dissi che per un po’ non eravamo rimasti uccisi dal colpo di pistola sparato da mio cognato Giuseppe, ma con ciò non potevo indicare che fosse stato sparato contro il padre, sibbene fu sparato contro nessuno e la lite era col fratello

Sarebbe opportuno ascoltare anche le ricostruzioni di Saverio e Domenico Salatino, ma il Brigadiere non lo ritiene necessario, ha già la sua idea su come si svolsero i fatti, piuttosto chiede che sia fatta una perizia sui luoghi per confermare le sue conclusioni. La richiesta è accolta ed il perito relaziona: Dalla finestra della stanza di Giuseppe Salatino al pianerottolo ov’è la porta di entrata della casa di Saverio Salatino vi è la distanza di metri 7,30; dalla finestra alla porta suddetta non vi sono ostacoli intermedi e la visuale è diagonale ma perfetta; dalla finestra al punto della tavola in cui si trova infisso il proiettile vi è la distanza di due metri diretti e di venti centimetri lateralmente a destra; estratto il proiettile dal buco della tavola, il buco medesimo non è diretto  da sopra in sotto, ma obbliquo. Tenuto riguardo alla distanza di soli 7,30 metri che intercorrono tra la finestra di Giuseppe Salatino ed il pianerottolo della porta di Saverio Salatino, è indubitato che un colpo di pistola esploso a così breve distanza e senza che vi fossero ostacoli intermedi poteva non solamente ferire, ma anche uccidere l’individuo preso di mira. Stante poi che il proiettile venne trovato alla sesta tavola del soffitto, distante due metri in linea retta dalla finestra e venti centimetri lateralmente, giudico che colui che esplose il colpo doveva trovarsi a circa 1,70 metri in dentro e diretto alla finestra, col braccio che impugnava l’arma alzato come per prendere la mira e che per un movimento di ritrazione del braccio medesimo, prodotto probabilmente da coloro che lo trattenevano, il colpo partito invece di raggiungere il segno, colpì la tavola del soffitto. Con ciò escludo assolutamente che l’arma sia caduta e che fosse esplosa mercé l’urto.

Questo vuole dire che Giuseppe Salatino ha, senza ombra di dubbio sparato per uccidere suo padre (o suo fratello, questo non è ci chiaro) ed il Brigadiere trasmette gli atti alla Procura del re.

La Procura però non è d’accordo e chiede il rinvio a giudizio di Giuseppe per sparo d’arma in rissa per offendere il proprio genitore, un titolo di reato che si presta ad almeno due interpretazioni: tentate lesioni o tentato omicidio? Lo stabilirà il Giudice Istruttore che, il 29 agosto 1885, emette la sentenza istruttoria: Poiché dalla svolta istruzione è rimasto pienamente accertato che il prevenuto Giuseppe Salatino esplose la pistola nella propria abitazione in atto che il padre si trovava fuori, in modo da non poter essere minimamente offeso, dichiara non farsi luogo a procedimento penale contro Giuseppe Salatino per inesistenza di reato.[1]

E nonno Giuseppe se l’è cavata!

[1] ASCS, Processi Penali.