RADICCHIO E MANOVRE ABORTIVE

Il 30 agosto del 1941 Pierina Maletta, con una forte emorragia vaginale in atto, parte da Rogliano a bordo di una vettura per andare all’ospedale di Cosenza. Non appena la vettura scompare dalla vista dei curiosi che hanno assistito alla partenza, comincia a correre la voce che qualche giorno prima si fosse abortita per nascondere il frutto dei suoi illeciti ed adulterini amori, dato che il di lei marito da circa tre anni trovasi in Africa Orientale Italiana quale richiamato alle armi. Nel giro di pochi minuti la voce arriva alle orecchie dei Carabinieri, che immediatamente avvisano la Questura del capoluogo e quando Pierina arriva in ospedale trova già ad aspettarla un Commissario che vorrebbe interrogarla subito, ma è costretto ad aspettare che i medici la visitino ed emettano una diagnosi.

Si, Pierina ha veramente abortito e, sebbene molto debole per il sangue perso, racconta la sua versione dei fatti:

A seguito di congressi carnali avuti con Pasquale rimasi incinta; quando ero al terzo mese di gestazione decisi di procurarmi l’aborto e, per raggiungere il mio scopo, la sera del 27 agosto mi introdussi nell’utero una radice di radicchio avvolta in un pezzo di stoffa… dopo ventiquattro ore circa ho avvertito dei forti dolori al ventre e ho espulso un piccolo feto

– Chi vi ha aiutata? Qualcuno vi ha consigliata o costretta a farlo?

– Ho fatto tutto da sola… mi sono abortita senza il concorso di persona estranea

Il Commissario e poi i Magistrati inquirenti che la interrogano ritengono sincera e credibile la confessione di Pierina e sarà solo lei a rispondere davanti alla Corte d’Assise del reato. Ma Pierina sul banco degli imputati non siederà mai perché il 10 agosto muore per l’infezione scatenatasi a causa dell’introduzione del radicchio avvolto nello straccio.

In attesa dei tempi tecnici necessari a dichiarare estinto il reato a seguito della morte di Pierina, il Maresciallo dei Carabinieri di Rogliano, raccoglie le dichiarazioni del padre e del figlioletto della sventurata e si convince dell’impossibilità che la donna abbia fatto tutto da sola. Dichiara il padre:

Quando mi recai in ospedale per far visita a mia figlia, incontrai la comune amica Vincenzina la quale, avvicinatasi a me, mi confidò che mia figlia l’aveva informata che a procurarle l’aborto era stata la levatrice Palma Palazzo; tale notizia me la comunicò alla presenza di altre due amiche, che ascoltarono quanto mi era stato riferito

Poi il figlio di Pierina, di appena nove anni:

Pochi giorni prima che mamma cadde malata, io e lei andammo a casa di Palma e costei consegnò a mamma dei pezzetti di radici di radicchio, alcuni pezzetti dei quali trovai sotto il cuscino del letto e li consegnai a voi… due giorni prima che mamma andasse all’ospedale venne a casa nostra Palma e lei e mamma sono rimaste chiuse per un po’ nella camera da letto. Io, stando dietro l’uscio, che era stato chiuso dalla parte interna, intesi che Palma, nell’atto in cui prendeva commiato da mamma, le disse queste parole: “Fra ventiquattro ore, appena ce la metti ti passerà tutto!”.

Una lucidità sorprendente!

A seguito di queste dichiarazioni, i Carabinieri denunciano in stato di detenzione la levatrice Palma Palazzo con l’accusa di aver partecipato al delitto. Sembra un’accusa abbastanza generica, ma poi arrivano i risultati dell’autopsia e sembrano non esserci più dubbi sul fatto che Pierina non poté aver fatto tutto da sola: per l’interruzione della gravidanza sono stati adoperati mezzi meccanici; non essendosi riscontrata alcuna lesione obbiettiva nell’apparato genitale della puerpera, le manovre abortive sono stata eseguite non già dalla Maletta medesima, bensì da persona esperta. Infine, per effetto delle manovre criminose insorse nella cavità uterina una infezione con conseguente peritonite, malattia che determinò la morte.

Ma c’è più di un ma. Alla domanda che il Magistrato rivolge al perito per confermare che è da escludere categoricamente la possibilità per unaa donna di introdursi un mezzo meccanico nell’utero senza procurarsi alcuna lesione, il perito ammette:

È possibile che le manovre abortive fossero state eseguite unicamente dalla gestante, senza la partecipazione di persona estranea.

Poi si presenta Vincenzina per smentire il padre di Pierina, che l’ha tirata in ballo nelle accuse contro la levatrice:

Gli ho solo comunicato che sua figlia si era abortita, spiegandogli che tale notizia l’avevo appresa dal sanitario dell’ospedale che aveva apprestato le sue cure mediche a Pierina

A questo punto gli inquirenti, visto che l’ammissione del perito concorda con le dichiarazioni della povera Pierina, dubitano seriamente che la levatrice abbia eseguito le manovre abortive e chiedono al Giudice Istruttore di proscioglierla, ma questi, ritenendo possibile che Pierina sia stata in parte reticente per esimere la Palazzo dalle responsabilità, ne ordina il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Cosenza per avere cagionato l’aborto di Pierina Maletta col consenso di lei e con conseguente morte della stessa.

Il dibattimento si svolge il 17 maggio 1942, dopo quasi due anni dal fatto, ed anche la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, dubita seriamente che l’imputata abbia fatto abortire Pierina col suo consenso e ne spiega le ragioni, demolendo le accuse del padre e del figlio di Pierina: la Corte non può prestare piena fede a quanto depose il padre della Maletta perché, a prescindere che costui è persona capace a deporre il falso essendo, diversi anni or sono, condannato per il delitto di falsa testimonianza e che sia stato determinato ad accusare la Palazzo per un sentimento di vendetta contro costei che veniva indicata come autrice del procurato aborto, quanto egli ha deposto trova recisa smentita nelle deposizioni dei testi. Neppure la deposizione dell’altro teste, ragazzo di nove anni, può ritenersi come valido e sicuro mezzo di prova. Ed invero, a prescindere che il teste per la sua tenera età avrà potuto inventare le circostanze da lui riferite o, quanto meno, le avrà potute deporre in seguito a suggestione ed a subornazione da parte del nonno, il valore probatorio delle sue affermazioni è sensibilmente scosso se si considera che molti testi escussi ed abitanti nelle adiacenze della casa della defunta esclusero che la prevenuta si fosse recata sia di notte, sia di giorno in quella casa. Poi la Corte tira fuori tre argomenti che taglierebbero la testa al toro: Palma Palazzo, essendo fiera nemica dell’amante di Pierina per un giudizio civile tra loro vertente da molti anni, per niente si sarebbe prestata alla perpetrazione del delitto di procurato aborto col quale Pierina si proponeva non solo di tutelare il suo onore, che evidentemente sarebbe rimasto compromesso qualora, in assenza del proprio marito, non avesse interrotta la gravidanza, ma anche quello di sottrarre sé stessa ed il suo amante ad un procedimento penale che contro di loro sarebbe stato iniziato in seguito alla querela che avrebbe sporto il marito; se si considera ancora che Pierina Maletta in altro luogo più sicuro e non già nella propria casa, ove avrebbe potuto essere sorpresa dal proprio padre con lei convivente, si sarebbe assoggettata alle manovre abortive; infine, se si ha riguardo alle parole, che a dir del figlio, avrebbe la Palazzo rivolte alla Maletta e cioè: “Fra ventiquattro ore, appena ce la metti (la radice di radicchio) ti passerà tutto”, queste non hanno alcun significato giacché è risaputo che la radice di radicchio, se può essere usata come mezzo meccanico per produrre la rottura della membrana dell’utero e la conseguente espulsione del feto, non può essere usata come mezzo chimico, non avendo specifiche proprietà abortive.

I dubbi e le certezze della Corte vengono condivisi sia dal Pubblico Ministero che dalla difesa e Palma Palazzo viene assolta, sia pure per insufficienza di prove.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.