PALPEGGIAMENTI

È la sera inoltrata del 22 agosto 1940 quando la giovanetta Maria Prezio parte dalla frazione Regina di Lattarico con sua madre ed altri contadini per andare a vendere due giovenche alla fiera di Arcavacata, nel Comune di Rende, che si terrà la mattina successiva. Il gruppetto monta sul carro condotto da Francesco Cosentino e Maria gli si siede accanto, mentre gli altri si sistemano alla meglio nel cassone in mezzo ai sacchi con i prodotti da vendere. Ad uno ad uno si addormentano tutti, anche Maria vorrebbe addormentarsi e ciondola la testa con gli occhi chiusi, ma è seduta ed ogni volta che il sonno sta per avere la meglio, ecco una buca che la fa trasalire e addio sonno. Poi avverte qualcosa su una coscia, è una mano. È la mano di Francesco Cosentino che, di sotto il mantello che lo copre, ha preso a palpeggiarla.

Che fare? Reagire energicamente contro il villano comportamento di lui e fare scoppiare uno scandalo o cercare di dissuaderlo in silenzio? Maria sceglie la seconda via e protesta sommessamente, senza tuttavia ottenere grandi risultati, finché qualcuno dei passeggeri si sveglia e allora Cosentino è costretto a smetterla ed il viaggio prosegue tranquillamente.

Giunti prima dell’alba sul campo dove si terrà la fiera, qualche lampo, un paio di tuoni che fanno tremare la terra e grosse gocce di pioggia fanno correre tutti a cercare un riparo. Così, i nostri viaggiatori si collocano sotto il carro e Cosentino, che ha trovato il modo di sistemarsi vicino a Maria, ricomincia a toccarla per tutto il corpo e, tutto eccitato, le sussurra in un orecchio:

– Ti voglio chiavare.

Maria sgrana gli occhi e agita la testa per rifiutare la proposta. Cosentino, però, non si da per vinto e, avendo capito che la ragazza non farà chiassate per vergogna, da sotto il mantello le prende una mano e, a forza, le fa toccare il suo membro virile.

Maria, sempre per evitare pubblicità e scandalo, tanto più che aveva avuto relazione carnale col giovane Vincenzo, che trovasi a prestare servizio militare e che al cessare della guerra la sposerà, si allontana dal luogo ove è sdraiata e, contenendo la sua rabbia, va a sistemarsi a poca distanza, poggiando il capo sulle gambe della sua amica e compagna di viaggio Elisabetta Garritano.

Cosentino, però, è un animale da preda e non si arrende: si alza, va a sedersi accanto a Maria e riprende a palpeggiarla. Cessata la pioggia, Cosentino si alza e va a sedersi sul carro, mentre Maria resta dov’è a rimuginare sull’onta che ha dovuto subire e la rabbia repressa monta sempre di più facendola tremare, mentre il viso e gli occhi le si accendono col fuoco della vendetta. Si alza, gira intorno al carro, dalla parte dove c’è una scure poggiata; la prende e si avvicina a Cosentino, che sta guardando altrove. Maria alza la scure e lo colpisce ripetutamente sul capo, urlando:

Ti freghi, sta lluoco! – Poi getta a terra l’arma e scappa, mentre Cosentino stramazza al suolo con la testa orrendamente devastata, ma ancora vivo seppure in imminente pericolo di vita. Lo portano in ospedale e cercano di ricomporgli la mandibola spezzata in due e gli ricuciono gli squarci che gli solcano il viso. Se la caverà ma non potrà più masticare bene e in più gli resterà una infiammazione permanente alla ghiandola lacrimale, probabilmente insanabile (dacriocistite con ascesso pericistico e fistola lagrimale).

Maria viene arrestata, racconta la sua disavventura e conclude:

– Lui, resistendo alle mie ripulse e proteste, ha attentato al mio onore

Concluse le indagini, la ragazza viene rinviata al giudizio del Tribunale di Cosenza per rispondere del reato di lesioni gravi con armi, da cui derivarono pericolo di vita, malattia per giorni 70 ed indebolimento permanente degli organi della vista e della masticazione. Durante il dibattimento, il 14 agosto 1941, vengono chiesti chiarimenti all’oculista che ha effettuato la perizia, dottor Antonio Sbordone. Dalla sua nuova relazione il Tribunale si convince della propria incompetenza a giudicare in materia, dato che nel fatto accertato in udienza si è configurato il reato di lesioni gravissime, reato di competenza della Corte d’Assise e, quindi, ordina la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per l’ulteriore corso di giustizia.

Il 6 ottobre 1941 Maria Prezio viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. La causa dovrebbe essere semplice: l’imputata ha confessato il delitto, la vittima ha subito delle lesioni gravissime. La Corte, quindi, si concentra sulla richiesta della difesa, volta a stabilire il grado di responsabilità di Maria e, al fine di comminarle la pena adeguata al reato che verrà accertato, stabilisce che ci sono alcuni aspetti da chiarire:

  • Se la prevenuta debba essere dichiarata colpevole dell’ascrittole delitto di lesioni gravissime, ovvero, come sostiene la difesa, di lesioni gravi.
  • Se, nell’affermativa di una qualsiasi delle due cennate ipotesi delittuose, debba ritenersi che la Prezio abbia agito eccedendo colposamente i limiti a lei imposti dalla necessità di difendere il proprio onore e la libertà sessuale contro l’ingiusto attentato da parte del Cosentino.
  • Se le competano le invocate attenuanti dello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto del Cosentino e di avere agito per un motivo di particolare valore morale.

Al primo quesito la Corte risponde che non può sorgere il minimo dubbio che si tratti di lesioni gravissime, anche se, da ulteriori accertamenti medici è risultato che la fistola lacrimale è facilmente e sicuramente guaribile mediante atto operatorio giacché, come è ormai pacifico in dottrina e giurisprudenza, non può l’aggravante escludersi perché la permanenza della lesione possa farsi cessare o la guarigione possa tentarsi con uno speciale trattamento medico chirurgico, giacché non può obbligarsi l’offeso a soggiacere ai pericoli, ai dolori ed alle spese di un simile trattamento, senza commettere una manifesta violazione del suo diritto individuale.

Anche al secondo quesito la Corte risponde negativamente perché è la stessa Maria che nei suoi interrogatori racconta che, in un momento di ribellione contro l’offesa fatta al suo onore e alla sua libertà sessuale, raggiunse la vittima, che da un pezzo si era allontanata dal sito ove la notte era rimasto sdraiato accanto a lei e, mentre stava seduto sulle stanghe del carro a sonnecchiare, gli tirò diversi colpi di scure. Se così si svolsero i fatti, è chiaro che Maria agì non già perché costretta dalla necessità di difendere il suo onore contro gli attentati di Cosentino, attentati che erano ormai cessati, bensì per vendetta e per dare sfogo all’ira suscitata nell’animo suo dal comportamento offensivo di Cosentino.

Riguardo al terzo quesito, la Corte afferma che le attenuanti dello stato d’ira e di avere agito per motivi di particolare valore morale competono all’imputata.

In quanto alla pena, avuto riguardo alle modalità del fatto delittuoso, al motivo che spinse la Prezio a delinquere ed ai suoi ottimi precedenti penali, applicate le riduzioni derivanti dalla concessione delle attenuanti, la Corte ritiene equo comminare la pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.

È il 7 febbraio 1942 ed a Maria resta da scontare ancora poco meno di un anno e mezzo. Uscirà dal carcere giusto in tempo per assistere alla caduta del fascismo.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.