ALLA FESTA DI SAN FRANCESCO

Giuseppe è un giovanotto di Corigliano Calabro che si invaghisce di una sua concittadina, Angelina, e si mette in testa di sposarla. La ragazza non sarebbe contraria, ma i suoi genitori si e così non se ne fa niente. Ma Giuseppe da questo orecchio sembra non voler sentire. Così, per tradurre in atti il suo disegno di vincere la resistenza dei genitori della ragazza, verso le 20,00 del 4 giugno 1946, mentre Angelina è da sola in casa in quanto i suoi familiari non sono ancora rientrati dall’abituale lavoro nei campi, approfittando di questa circostanza entra in casa e, con violenza fisica, la costringe a congiunzione carnale, consumando due o tre coiti consecutivi e per giunta la contagia di malattia venerea.

Angelina non dice niente a nessuno e rimugina il dolore e la vergogna per ciò che le ha fatto Giuseppe. Alla fine, il 17 giugno successivo, va dai Carabinieri di Corigliano e denuncia lo stupratore, più che altro per costringerlo a sposarla e riparare al danno procuratole, addirittura mostrando al Maresciallo Flaqui un paio di mutandine sporche di sangue e aggiungendo:

Me le ha strappate per consumare il coitoio sono svenutapoi mi ha buttato un po’ d’acqua sul viso e rinvenni quando già aveva sfogato la sua libidine.

Giuseppe sembra aver cambiato idea sul matrimonio e, ormai soddisfatto del frutto colto, risponde picche; è ovvio che la cosa non può finire così, anche perché nessun provvedimento viene preso nei confronti di Giuseppe da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Verso le 7,30 del 27 luglio 1946, Giuseppe si reca al lavoro con il traìno di tal Fiore; è seduto nella parte posteriore del traìno, che ha provvisoriamente fermato, quando gli si presenta Angelina, che gli dice a muso duro:

– Mi sposi o no?

– No! – le risponde seccamente.

Allora Angelina estrae un coltello da cucina, che teneva nascosto sotto il grembiule, e ferisce lievemente Giuseppe al braccio sinistro. Il giovanotto salta giù dal traìno e riesce, nonostante la fiera resistenza, a disarmarla. Angelina, che nella colluttazione si è ferita al polso destro, temendo che Giuseppe possa a sua volta cercare di ucciderla, scappa. Ma Giuseppe ha altri piani in testa: quella stessa sera, alla presenza di più persone, offende l’onore di Angelina attribuendole di essersi congiunta carnalmente con Vincenzo!

E dal suo punto di vista ha ragione, perché dopo quest’ultimo fatto i rapporti tra i due si interrompono definitivamente. Oddio, definitivamente è una parola grossa perché dopo un certo tempo i due riallacciano i rapporti tanto intimamente, che dai loro accoppiamenti, il 6 febbraio 1948, nasce una bambina.

Dopo tutto questo, è ovvio che Angelina desidera vedere sistemata la sua posizione col matrimonio, ma principalmente vedere regolarizzato lo stato della sua bambina, e torna alla carica. Giuseppe, da parte sua, si mostra insensibile alle richieste dell’amante e tra i due sorgono forti dissidi.

La sera del 23 aprile 1948, verso le 22,30, mentre il paese è in festa per la ricorrenza di san Francesco, patrono di Corigliano, Angelina si mette in cerca di Giuseppe in mezzo alla folla. Eccolo, è lui! Si avvicina e lo ferma:

– Adesso mi devi ascoltare! – gli urla, ma lui la allontana, mentre con una mossa di disprezzo le dice:

Vatinne puttana lorda!

Angelina non ci vede più dalla rabbia, tira fuori da sotto la gonna un’accetta e con questa gli vibra un colpo alla testa, poi un secondo colpo, che Giuseppe riesce a parare con il braccio, quindi si allontana tra la folla, dirigendosi verso il cinema estivo, dove si libera dell’accetta.

Attorno a Giuseppe si forma un capannello di curiosi, poi arrivano i Carabinieri che lo accompagnano all’ospedale. Per fortuna le ferite sono lievi e Giuseppe se la caverà in un paio di settimane.

Angelina viene rintracciata verso le 2,45 del 24 aprile e condotta in caserma, dove racconta una dolorosa storia del suo amore per giustificare il suo atto, poi aggiunge:

Pretendo che Giuseppe mi sposi per avermi tolto l’onore e sono pronta e risoluta a togliergli la vita non appena mi sarà possibile!

Quando il 28 aprile la interroga il Pretore di Corigliano, rincara la dose:

Io avevo deciso di uccidere Giuseppe sin dalla sera del 22 aprile. Purtroppo non ci sono riuscita e vi dichiaro che non desisterò da tale intenzione fintanto che egli non riconoscerà come sua la figliuola avuta da me, dandole il suo cognome!

Si sta dando la zappa sui piedi da sola perché queste parole vengono interpretate come una chiara volontà omicida, meditata nel tempo e potrebbe costarle molto caro.

A seguito di tali fatti viene ripreso il fascicolo a carico di Giuseppe, mentre Angelina, forse opportunamente consigliata, davanti al Giudice Istruttore ritratta tutto e dichiara di non avere mai avuta una intenzione omicida, ma scopo di quell’atto fu di richiamare Giuseppe al dovere di sposarla e di legittimare la figlia. Ma ormai la frittata è fatta e tutti e due vengono rinviati al giudizio della Corte di Assise di Rossano. Il giovanotto dovrà rispondere di violenza carnale e di diffamazione aggravata, mentre la ragazza di tentato omicidio premeditato e lesioni personali.

Per tenere il dibattimento bisognerà aspettare fino al 9 luglio 1949 e la Corte mette subito in chiaro che, riguardo all’aggressione del 23 aprile 1948, non ricorrono gli estremi del tentato omicidio. E, riprendendo le dichiarazioni fatte da Angelina, spiega: non basta la sola dichiarazione senza esaminare i mezzi usati, il modo come sono stati adoperati, per dedurre la sua effettiva intenzione delittuosa, che poi con le parole ha potuto traviare, dandole una portata ed una finalità maggiore. Dalle deposizioni dei testi presenti al fatto, risulta che la scure era piccola con manico cortissimo, comunque era tale che, in relazione al punto preso di mira (testa) poteva produrre la morte. Se il colpo fosse stato vibrato con quella violenza che in questi casi l’intenzione omicida produce, avrebbe prodotto la frattura della scatola cranica o, quanto meno, una lesione al tavolato osseo o comunque, nella più favorevole delle ipotesi, uno stordimento della vittima, ma la ferita ha interessato solo il cuoio capelluto con scalfitura del tavolato esterno. Né può mettersi in dubbio che il taglio della scure fosse ben affilato, giacché la lesione al cuoio capelluto, come quella all’avambraccio sinistro, erano lineari a margini netti. Chiarito che l’uso dell’arma non era tale da produrre la morte, la Corte esamina la dinamica del fatto: Al primo colpo la vittima si volta e, ponendo avanti il braccio sinistro, riesce a parare il secondo colpo, vibrato repentinamente dopo il primo; dopo di che, mentre l’imputata si disperdeva tra la folla, la vittima, in compagnia di due amici, si dirigeva presso l’ospedale civile per le prime cure. Ora, gli atti di cui sopra, non possono assumere il valore di atti oggettivamente diretti a produrre la morte e, come tali, rilevanti per sé l’intenzione omicida, ove si consideri che l’energia vulnerante con cui furono irrogati i due colpi di scure, non dovette essere eccessiva, se le conseguenze si possono considerare di quelle comuni, guarite in giorni dieci quella alla regione occipitale, la più pericolosa, e l’altra in giorni quindici, senza lasciare reliquati di sorta o cagionare pericolo di vita.

Va bene, ma per quanto si possa ragionare sulla poca violenza dei colpi e sul fatto che Angelina avrebbe potuto continuare a colpire Giuseppe e invece smise volontariamente disperdendosi tra la folla, restano sempre le dichiarazioni rese ai Carabinieri ed al Pretore. La Corte ha una risposta anche a questa perplessità: se anche quella sua confessione non fu una manifestazione incosciente del suo spirito sconvolto da tutto il suo passato, certamente la genesi di essa va attribuita a quella forma di mitomania che, dopo un fatto di sangue per causa d’onore, sovente spinge gli autori di esso, specie se donne, ad assumere il ruolo di eroine e ad esagerare, nella speranza di ridurre l’altro alla sua volontà. Pertanto il tentato omicidio deve mutarsi in lesioni lievi, aggravate per l’uso dell’arma (scure) e per la premeditazione. A questo va aggiunta anche la prima aggressione, quella a coltellate del 27 luglio 1946. Per la Corte, ad Angelina, date le particolari circostanze che hanno determinato le due aggressioni, non possono negarsi le attenuanti generiche e quella di aver agito per motivi di particolare valore morale. La pena complessiva, considerate le aggravanti e le attenuanti, viene fissata in mesi 9 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Per quanto riguarda Giuseppe, in aula racconta di aver proposto ad Angelina di riparare al danno, sposandola entro due anni. Poi si presentano due testimoni, i quali giurano che Angelina, il giorno dopo lo stupro, raccontò loro tutti i particolari del fatto.

Dopo questi colpi di scena, la Corte ritiene non sufficientemente provata la violenza carnale denunziata da Angelina e spiega: questa fu sottoposta a perizia il 30 ottobre 1946 ed il perito concluse che la ragazza era stata violata, ma che nulla si poteva dire in merito ad una violenza, dato il lungo tempo trascorso e la mancanza assoluta di postumi di violenze intorno ai genitali e nel resto del corpo, che il coito era avvenuto pochissime volte od anche una sola volta. L’imputato ammise di aver posseduto la fidanzata col suo consenso e si dimostrò disposto a riparare il male fatto, chiedendo un termine di due anni per celebrare il matrimonio. Poi una dura reprimenda nei confronti della ragazza: appare strano come una donna, incontaminata fino a quel giorno ed onesta, vada a raccontare a degli uomini dei particolari di vita intima che attengono alla pudicizia, all’onore, quando già era sicura della promessa di matrimonio e delle quali cose una donna onesta, come allora era Angelina, sente una naturale ripugnanza, avversione di farne consapevoli gli uomini, mentre è naturale parlarne a delle donne. Secondariamente la narrazione appare contraddittoria. Nella querela asserisce che l’imputato, durante l’accoppiamento, consumò due o tre coiti consecutivi. Ora, se durante tale periodo era svenuta, come ha specificato, era nell’impossibilità di fare un simile conteggio. Quindi Giuseppe va assolto.

Se così stanno le cose per quanto riguarda il reato di violenza carnale, per quello di diffamazione, la Corte la pensa diversamente: risulta provata la responsabilità del prevenuto. Egli si è reso reo confesso. La pena viene fissata in mesi 6 di reclusione, concedendosi il beneficio della sospensione condizionale della pena.[1]

Angelina e Giuseppe si saranno davvero sposati?

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano Calabro.