LA MATTINA DI NATALE

1936, San Giacomo di Cerzeto. Da qualche anno i rapporti tra le famiglie di Giovanbattista Iuliano e di Pietro Castagnaro sono tesi e talvolta trascendono a vie di fatto. Come nel 1934, quando Giovanbattista Iuliano ed i suoi due figli Giacomo e Luciano cercarono di aggredire Gennaro Castagnaro il quale, per scansarli dové scavalcare un alto muro o quando Pietro Castagnaro venne ferito da Giovanbattista. E che dire di quando Pietro Castagnaro bastonò Luciano Iuliano per averlo sorpreso in una sua vigna a mangiar uva? E quella volta che Gennaro Castagnaro fece da testimone a carico di Giovanbattista Iuliano in un processo in cui questi era imputato di lesioni ed il fatto fu interpretato da Iuliano come dimostrazione di ostilità?

Insomma, in una situazione in cui si è accumulato tanto rancore, è facile prevedere che prima o poi, fra gente non disposta a perdonare, accada l’irreparabile.

Sono le sei di sera del 24 dicembre 1936. Florindo Castagnaro, uno dei figli di Pietro, ed alcuni suoi amici si trastullano spingendosi l’uno contro l’altro, proprio mentre sta passando Giuseppe Iuliano e proprio mentre contemporaneamente Florindo sta dando una spinta a Quintiliano Martino. Giuseppe si ferma e rimprovera Florindo:

Non sai che Quintiliano è mio cugino?

Che cazzo vuoi? Non vedi che stiamo scherzando? – gli risponde a muso duro Florindo.

Stai zitto perché altrimenti ti do due schiaffi! – urla Giuseppe, facendo un paio di passi verso Florindo, ma Quintiliano, sapendo che ogni minima scintilla potrebbe provocare un’esplosione, blocca il cugino e gli dice:

– Giusé, vedi che stiamo scherzando davvero!

Giuseppe si calma e tutto finisce lì, compreso il gioco degli spintoni. Passa poco più di mezz’ora e Florindo Castagnaro, appoggiato con le spalle ad un muro, sta aspettando alcuni amici con i quali al suono della zampogna girerà per le vie del paese. Anche questa volta si trova a passare Giuseppe Iuliano il quale, vedendo l’avversario fermo in una posizione equivoca, teme che gli stia tendendo un agguato e gli chiede:

– Che fai qui? – Florindo si stacca dal muro e, mentre sta per aprire bocca, viene anticipato da un suo amico, che risponde al posto suo:

– Tranquillo, è con me…

Giuseppe, rassicurato, si avvia verso casa della suocera, ma fatto qualche passo sente alle sue spalle quella che gli sembra la detonazione di un colpo di pistola:

– Merda! M’ha sparato! – urla.

– No, è stato un petardo! – gli fa di rimando una voce, ma Giuseppe non ci crede e cerca di raggiungere Florindo. Poi, sia per la detonazione e sia per le urla, accorre della gente ed anche questa volta Giuseppe viene convinto a lasciar perdere e, per maggior sicurezza, viene accompagnato a casa, dove racconta l’accaduto ai congiunti.

Ma la serata è ancora lunga e sembra non promettere nulla di buono.

Verso mezzanotte Gennaro Castagnaro, in compagnia di due amici, è già in chiesa per la messa e si vede passare e ripassare davanti, con aria di minaccia, i fratelli Giuseppe e Giacomo Iuliano. È preoccupato, impaurito e prega gli amici di accompagnarlo a casa, ma per fortuna non succede niente e la notte passa tranquilla.

È la mattina di Natale e la famiglia Castagnaro si sta preparando per la festa, quando dalla strada si sentono provenire delle urla. È Giovanbattista Iuliano:

Scendete quanti siete ché oggi debbo far la festa, o la vostra o la mia!

Lasciaci in pace perché oggi è Natale! – lo ammonisce Pietro Castagnaro, prontamente affacciatosi al balcone.

– Scendete, scendete! – continua Iuliano facendo ampi gesti minacciosi con le mani.

A questo punto i tre maschi di casa Castagnaro, imbufaliti, si armano di due scuri e di un pugnale e scendono in strada per affrontare Iuliano. Il primo ad uscire è Pietro, il capofamiglia, che agita in aria il pugnale, poi Gennaro e quindi Florindo. Non appena li vede armati di tutto punto, Iuliano se la da a gambe levate, ma i Castagnaro hanno deciso di chiudere la partita una volta per tutte e lo inseguono per le vie del paese. Alla scena assistono Giuseppe Nico ed i fratelli Giuseppe ed Ercole Candreva che si parano in mezzo alla strada tentando di impedire l’ulteriore inseguimento ma, mentre Giuseppe Candreva riesce a trattenere Florindo fino a fargli deviare la strada, Ercole Candreva e Giuseppe Nico nulla possono fare contro gli altri due Castagnaro i quali raggiungono Iuliano e lo bloccano con le spalle ad un muro a pochi metri da casa sua. Allora Gennaro lo tempesta di colpi con la scure sulle regioni parieto-temporale sinistra, zigomatica sinistra, sottomascellare e mentoniera sinistra, laterale sinistra del torace. Poi il colpo che sembra quello fatale: una pugnalata all’addome che perfora lo stomaco e gli intestini di Iuliano, il quale si affloscia a terra come un sacco vuoto. Soddisfatti, i tre Castagnaro, riunitisi, rifanno insieme la strada verso la loro abitazione.

Attirata dalle urla, accorre la moglie di Giovanbattista Iuliano che, aiutata da alcune persone, trasporta a casa il marito, ma non c’è più niente da fare perché appena adagiato sul letto muore.

Quando i Carabinieri vanno a casa dei Castagnaro ci trovano solo Gennaro, mentre Florindo ed il padre sono scappati.

– L’ho ammazzato io, mio padre e mio fratello non c’entrano… – ripete Gennaro fino alla noia e racconta la sua versione dei fatti – è venuto a sfidarmi fin sotto casa e così l’ho inseguito armato di scure e nulla gli avrei fatto se non mi avesse scagliato una pietra, atto pel quale, accecato dall’ira, lo aggredii con la scure e lo colpii alla testa facendolo stramazzare al suolo e poscia, mentre era a terra, lo colpii altre volte con la scure

– E tuo padre?

Mio padre era in campagna

– Eppure ci sono molti testimoni che lo hanno visto insieme a te.

Era in campagna

– E va bene, diciamo che era in campagna, ma c’è un’altra cosa che non quadra: Iuliano, secondo la prima visita fatta dai periti, non è morto per i colpi di scure alla testa, ma per una pugnalata all’addome. Se tu, come hai appena detto, lo hai colpito solo con la scure, allora dicci chi gli ha dato la coltellata.

Vi assicuro che, dopo avere assestato i molteplici colpi di scure, nell’accingermi a ritornare a casa mi sono accorto che a Iuliano era caduto un pugnale, l’ho raccattato e gliel’ho lanciato addosso… evidentemente l’ho colpito all’addome provocandogli la lesione mortale…

Il Maresciallo scoppia a ridere, non può credere alle proprie orecchie, poi torna serio e gli contesta:

– Se fosse come dici, il pugnale sarebbe dovuto restare infisso nel corpo della vittima, ma non solo non è stato trovato infisso, non è stato proprio ritrovato!

Gennaro non risponde e si chiude nel più assoluto silenzio.

La mattina del 27 dicembre Pietro Castagnaro e suo figlio Florindo si costituiscono nel carcere di Cosenza e si dichiarano innocenti. Il capo famiglia, davanti alle contestazioni, dice:

Sono arrivato sul posto quando già mio figlio aveva ucciso Iuliano

– E la pugnalata chi gliel’ha data?

Non lo so. Probabilmente il pugnale si sarà infisso nel corpo del defunto quando costui cadde a terra, giacché di pugnale era armato lui solo

Quando arrivano i risultati dell’autopsia, la prima versione dei periti, che hanno attribuito la morte di Iuliano alla pugnalata, viene smentita: la morte è stata causata dai colpi di scure alla testa, che hanno causato la lesione dell’arteria meningea e alla mappa cerebrale, mentre la lesione allo stomaco, benché molto grave, non poteva, da sola, cagionare la morte.

Concluse le indagini, i tre Castagnaro vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per risponde: Gennaro di omicidio volontario mediante colpi di scure e di pugnale; gli altri due di concorso in omicidio.

Il dibattimento si svolge nelle udienze del 7, 8 e 10 maggio 1937 ed appare subito chiaro che Florindo Castagnaro non ha partecipato all’aggressione in quanto trattenuto da Giuseppe Candreva.

Per quanto riguarda Gennaro Castagnaro bastano poche parole perché, per sua stessa ammissione, non è da dubitare ch’egli abbia assestato colpi di scure alla vittima, onde non può sfuggire alla responsabilità dell’omicidio. Né gli giova la circostanza che non sia stato anche lui l’autore della lesione di punta e taglio (sebbene per calcolo ne dichiara la responsabilità). A giudizio della Corte, però, è giusto concedergli l’attenuante dello stato d’ira, causato da fatto ingiusto della vittima, che sfidò lui ed i suoi familiari, minacciandoli. Minacce e sfida che dovevano tanto più gravemente intimidire Gennaro Castagnaro ed i suoi parenti in quanto venivano fatte da persona sanguinaria e pericolosa, quanto altra mai, come attestano i precedenti penali di Giovanbattista Iuliano e che, quindi, destarono nell’animo del minacciato un forte risentimento.

La difesa eccepisce che non si trattò di omicidio volontario, ma di eccesso colposo di legittima difesa. La Corte respinge la richiesta perché Gennaro Castagnaro non si trovò di fronte ad un qualsiasi pericolo nel primo momento del fatto, cioè quando egli ed i suoi furono sfidati ad uscire in istrada, perché in nessun modo Iuliano allora avrebbe potuto offenderlo (tanto che per poterli aggredire sentiva il bisogno di chiamarli in istrada); non corse pericolo nel secondo momento, giacché l’avversario, appena vide uscire i Castagnaro armati di scure e coltello si allontanò di fuga; e, finalmente, agì fuori qualunque coazione nel momento ultimo giacché Iuliano era del tutto inerme e si trovava addossato ad un muro e contro due avversari muniti di armi formidabili non solo non poteva reagire in alcun modo, ma non poteva opporre alcuna resistenza.

Dalle parole usate per escludere la legittima difesa, la Corte prende spunto per affermare anche la responsabilità del capo famiglia Pietro Castagnaro. Secondo la Corte fu inequivocabilmente lui a vibrare la pugnalata e quindi sarebbe pienamente responsabile, in concorso, dell’omicidio. In realtà, secondo la difesa, ci potrebbe essere la possibilità che la pugnalata sia stata inferta quando Iuliano era già stato mortalmente ferito con la scure, sicché sarebbe stata inferta su un corpo morto.

Tutto ciò è parto di fantasia, sostiene la Corte, perché da tutti i testimoni presenti al fatto risulta, in modo luminoso, che Pietro e Gennaro Castagnaro inseguirono Iuliano tenendosi a distanza di qualche metro l’uno dall’altro, sicché lo raggiunsero contemporaneamente e, mentre Gennaro lo colpiva con la scure e lo faceva stramazzare a terra, Pietro gli assestava il colpo di pugnale all’addome. Gli imputati compirono, dunque, l’aggressione simultaneamente, con pari energia, col medesimo fine omicida e, servendosi di armi formidabili, produssero alla vittima lesioni personali gravi. A nulla rileva che la lesione inferta da Pietro Castagnaro non fosse mortale giacché, anche con tale esito, il concorso di lui nel delitto si era completamente spiegato come quello che, accrescendo la forza intimidatrice e l’energia distruttiva del correo Gennaro Castagnaro, diminuiva la resistenza della vittima. Non occorreva che anche la lesione inferta da Pietro Castagnaro non fosse mortale, la sua azione sarebbe stata sufficiente ad addebitargli il concorso in omicidio anche se egli, percuotendo Iuliano con arma contundente gli avesse prodotto una semplice percossa.

Ma poi, se fosse come ha dichiarato Pietro Castagnaro, perché fuggire e consegnarsi alla giustizia dopo due giorni?

È il momento di emettere il verdetto: Florindo viene assolto con formula piena. Per quantificare la pena da infliggere a Gennaro, la Corte ragiona: debbono tenersi presenti non solo lo stato d’animo del giudicabile, ma altresì i suoi precedenti morali e penali ed il grado di pericolosità da lui dimostrato onde credesi equo partire dal minimo di anni 21 e ridurre tale misura di un terzo per la provocazione, sicché la reclusione riducesi ad anni 14, dei quali 4 vanno condonati per effetto del R.D. amnistia 15/2/1937, N° 77. Non diverso è il ragionamento che la Corte fa nei confronti di Pietro Castagnaro: concorrendo anche per lui l’attenuante della provocazione, debbonsi irrogargli 14 anni di reclusione, di cui 4 condonati. Quindi 10 anni di reclusione ciascuno, più pene accessorie, spese e danni.[1]

È il 10 maggio 1937.

 

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.