L’IMPICCATO

È la mattina presto del 24 giugno 1936, alcuni contadini stanno andando a lavorare nei campi di contrada Cutura, agro di Morano Calabro. Una bestemmia, poi uno dei contadini indica qualcosa sulla parete esterna di una casa colonica. Le urla di terrore dei suoi compagni: c’è un uomo impiccato a quella parete!

Quando arrivano i Carabinieri notano che il cadavere è appeso per il collo ad un doppio filo di ferro, assicurato nella sua estremità opposta ad una spranga infissa nel muro, con i piedi penzolanti a 65 centimetri al di sopra del pavimento di una terrazza, al lato della quale esiste il tetto di un ovile composto di embrici, che appaiono né rotti, né smossi. Bisogna entrare, ma la porta della casa è chiusa dall’interno e i militari faticano non poco per sfondarla. Entrati, con altrettanta fatica recuperano il cadavere, che viene identificato per quello dell’adolescente Leonardo Laitano.

Poi un Carabiniere, perquisendo la casa che appare in perfetto ordine, sul davanzale di una finestra esistente alla stessa parete da cui pendeva la vittima, prospiciente pure sulla terrazza, trova la striscia marginale di un giornale, tenuta ferma da una stearica, sulla quale sta scritto con matita copiativa:

io mi sono impiccato senza colpa di nessuno

Il biglietto dovrebbe aver risolto il caso, trattandosi evidentemente di un suicidio ma, al contrario, fa pensare subito ad un delitto, dal momento che Leonardo era analfabeta e quindi non ha potuto scriverlo.

– Aveva inimicizie? Avete voi inimicizie? Sospettate di qualcuno? – chiede il Maresciallo al padre di Leonardo.

– Si, ho dei sospetti su qualcuno…

– I nomi…

– Sospetto di Antonio Allevato e dei coniugi Lorenzo Tramaglino e Rosa Blotta.

– Il motivo o i motivi?

– Allevato ed io eravamo soci nella guardiania particolare della contrada Cutura, poi è stato licenziato ed ha attribuito a me la responsabilità del suo licenziamento, per questo da allora odia tutta la mia famiglia… e poi Tramaglino e sua moglie Rosa Blotta odiavano mio figlio perché qualche tempo fa Leonardo aveva fatto arrestare Tramaglino per un furto di fave commesso appunto a Cutura, dopo che donna Maria Vitola, la proprietaria del fondo, aveva affidato solo a me la sorveglianza… hanno anche pubblicamente manifestato propositi di vendetta

I sospetti vengono confermati da alcuni testimoni e siccome è evidente che una persona sola non sarebbe mai riuscita ad appendere Leonardo alla spranga, è altrettanto evidente che Allevato, Tramaglino e sua moglie si siano messi d’accordo e abbiano commesso il delitto in concorso. Così i  tre vengono subito arrestati, nonostante protestino in tutti i modi la propria innocenza. Poi, terminati gli accertamenti tecnici, contro di loro emergono prove ritenute inoppugnabili:

  • i periti che effettuano l’autopsia certificano che la morte di Leonardo è avvenuta in fasi diverse e successive: il ragazzo è stato sorpreso nel sonno, immobilizzato ed in parte soffocato con un panno e, subito dopo, strangolato col fil di ferro da persone che hanno poi appeso il cadavere alla parete per simulare un suicidio;
  • la perizia grafica ordinata dalla Procura del re che, per quanto energicamente combattuta da un consulente tecnico di parte, attribuisce ad Allevato la redazione del biglietto.

Con questi elementi l’istruttoria può essere dichiarata chiusa e i tre imputati vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere: Antonio Allevato e Lorenzo Tramaglino di omicidio aggravato dalla premeditazione e profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la privata difesa. Rosa Blotta di concorso in omicidio doppiamente aggravato per avere istigato Tramaglino Lorenzo a commetterlo.

Accuse da ergastolo. Peccato che agli inquirenti, forse per l’ansia di chiudere questa orrenda storia, siano sfuggiti alcuni elementi determinanti, peraltro evidenziati dai Carabinieri: la stanza ed il letto dove dormiva Leonardo erano in perfetto ordine, cosa che non sarebbe stata possibile se il ragazzo fosse stato aggredito nel sonno per immobilizzarlo e soffocarlo parzialmente con un panno. Un minimo di resistenza l’avrebbe pur fatta e magari le lenzuola si sarebbero strappate o cadute dal letto. E poi la svista più grossolana: i Carabinieri si accorsero subito che la porta del muro di cinta della casa colonica era sprangata dall’interno, lo scrissero, ma nessuno ci badò.

Nell’attesa che venga trattata la causa davanti alla Corte, nell’attesa che si compia il destino dei tre imputati, il difensore di Antonio Allevato presenta in Procura un corposo esposto contenente novità sconvolgenti che meritano di essere approfondite, così viene disposta una indagine supplementare. Il primo passo è ascoltare un testimone, un adolescente intimo amico del povero Leonardo, Alberto Forte:

Il biglietto lo scrissi io la sera precedente alla macabra scoperta, per richiesta dello stesso Leonardo… si è suicidato…

– E perché solo ora ti sei deciso a parlare? – gli chiede il Giudice Istruttore picchiando un pugno sulla scrivania.

Avevo paura di compromettermi personalmente

– Dai, racconta come andarono le cose… – il giudice adesso usa un tono più pacato.

– Leonardo mi chiese di scrivere quella frase e io lo assecondai senza dare importanza alla cosa, essendo ben lungi da me il pensiero che Leonardo avesse maturato propositi suicidi… con noi c’era Lucio Castellano, chiedete a lui se non mi credete.

E Lucio Castellano conferma tutto, parola per parola e aggiunge:

La striscia del giornale gliela detti io

Poi spunta un altro ragazzo, che in un modo o nell’altro era a conoscenza dei fatti, li conferma e, tra le lacrime, ammette di sentire tutto il rimorso del prolungato silenzio, di fronte ai figliuoli di Antonio Allevato, laceri e denutriti.

Ma seppure importanti, le ammissioni dei tre ragazzi non possono bastare, la conferma decisiva deve necessariamente arrivare da una nuova perizia grafica, affidata ad un tecnico estraneo all’ambiente e segnalato per grande probità e competenza.

Attraverso un esame diligente e scrupoloso del largo materiale sequestrato come scrittura di comparazione (ben diciassette quaderni scolastici di Alberto Forte), il perito conclude che proprio a lui si deve la redazione del biglietto. E con la conferma arriva anche il rinvio a nuovo ruolo della causa, per dare il tempo di preparare nuove liste di testimoni e nuove carte.

Tutto è pronto per il 14 e 15 giugno 1937, un anno dopo il fatto.

Ciò che fa la Corte, dopo aver ascoltato i testimoni ed esaminati gli atti, è un atto di accusa contro tutti coloro che, per negligenza o omissioni, hanno rischiato di mandare al carcere a vita tre innocenti:

Anzitutto, in ordine alla perizia necroscopica, è decisivo che i due periti, chiamati dal Pubblico Ministero in udienza per opportuni chiarimenti, hanno onestamente detto di non poter confermare il loro precedente giudizio dato affrettatamente e senza un conveniente esame istologico dal quale, secondo loro, sarebbe stato possibile ricavare la causa della morte. È una fortuna, per la giustizia, che questi due frettolosi medici, per amore di coerenza non si siano irrigiditi nella loro primitiva conclusione ed abbiano, anzi, dichiarato di non meravigliarsi affatto di un caso di suicidio di fronte all’inconsistenza assoluta dei loro rilievi tecnici, diretti invece a suffragare l’ipotesi del delitto. La Corte ha tratto il convincimento incrollabile di essere alla presenza di persone che sentono tutto il disagio dell’errore commesso e conservino la sensibilità di riparare con una forma sincera di resipiscenza, sia pure tardiva.

Restano le risultanze della perizia grafica, la quale ha creduto di trovare la diritta via formulando conclusioni tali da preparare agli imputati la pena dell’ergastolo, se l’opera provvidenziale di una più approfondita ricerca non fosse intervenuta a rivelarne la fallacia. È infatti innegabile che, accettando le nuove prove nell’imponenza del loro contenuto, la perizia grafica del periodo istruttorio resta soltanto in vita per dimostrare la leggerezza estrema di chi l’ha redatta e la sua incompetenza.

Poi esamina la posizione di Alberto Forte: la Corte si è posta il quesito se l’intervento tardivo del Forte possa essere frutto di un’abile macchinazione volta al deviamento della Giustizia, ma ha dovuto risolverlo in senso nettamente negativo, non essendovi qui un atto di salvataggio, ma soltanto un riprovevole ritardo nell’adempimento di un dovere, ritardo che ha provocato un’ingiusta carcerazione con tutte le conseguenze di carattere morale e patrimoniale che le sono connesse. La narrazione di Alberto Forte è controllata dalla dichiarazione del teste Lucio Castellano, che riferisce tutti i particolari relativi al tempo ed al modo onde il biglietto fu redatto e trova sostegno nel teste Martire, a conoscenza di ogni cosa. Inoltre, se ciò non bastasse, la Corte ha accertato che Alberto Forte, la mattina seguente, dopo l’inattesa scoperta, aveva svolto ogni attività per ottenere il silenzio da coloro che, secondo lui, avrebbero potuto comprometterlo.

Quindi l’ultimo passaggio:

Giova rilevare che l’ipotesi del suicidio non si sarebbe dovuta scartare a priori fin dal momento della dolorosa scoperta del fatto, se si fosse posto mente che la porta del muro di cinta della casa colonica fu trovata chiusa dall’interno, che il filo di ferro al quale era appeso Leonardo Laitano faceva parte di un rotolo della stessa qualità e grossezza, esistente nella casa colonica, che nessuna traccia di violenza fu notata sulla persona o sulle cose, segnatamente sul letto dove il giovane dormiva. Se non che, di fronte ai sospetti elevati a carico degl’imputati, gli orientamenti delle indagini, le quali avrebbero dovuto procedere con maggiore cautela, hanno subito un’involontaria deformazione a cui, purtroppo, nemmeno i medici hanno saputo sottrarsi e da qui quella perizia necroscopica, poi sconfessata in udienza. A conclusione di un caso di suicidio, conclamato da tutte le prove, sta infine il fatto che il giovane Leonardo Laitano apparteneva a famiglia nella quale, specialmente dal lato materno, che è il più pericoloso per l’ereditarietà, la demenza ha già avuto le sue vittime, come è stato documentalmente dimostrato.

Occorre, perciò, pronunziare l’assoluzione dei tre imputati adottando la formula terminativa che il fatto delittuoso non sussiste e ordina la loro scarcerazione, se non detenuti per altra causa.[1]

È il 15 giugno 1937 e chi ha sbagliato non pagherà.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.