UN INCIDENTE, FORSE SUICIDIO

È L’8 novembre 1934, mancano una decina di minuti alle 13,00 ed a Colosimi fa freddo.

Pietro Paolo Colosimo sta lavorando nel suo pezzo di terra accanto alla linea ferrata Cosenza-Catanzaro, quando vede arrivare dal paese il facchino Loreto Di Stefano; lo vede dirigersi verso la ferrovia, attraversarla e scendere fino al torrente Bisirico, certamente per soddisfare qualche bisogno.

Sono le 13,00, ad annunziarlo è il fischio della Littorina che sale verso Bianchi. Pietro Paolo Colosimo alza lo sguardo verso la ferrovia, lo fa sempre, per vedere il convoglio sbuffare. Anche Gregoria Taverna, trovandosi affacciata alla sua finestra, guarda nella stessa direzione. E così anche Luigi Carpino, Erminia Pugliano con suo figlio Leopoldo Mascaro e Mario Colosimo. Tutti vedono, mentre sta arrivando la Littorina, Loreto Di Stefano che uscito dal viottolo che porta al torrente cammina accanto ai binari e si dirige verso il viottolo che sale in paese, dall’altra parte della linea ferrata.

Gabriele Del Fino è il guidatore della Littorina che sta percorrendo alla velocità solita un curvone verso destra e vede un uomo di spalle camminare sulla parte destra dei binari. Venti metri, dieci metri, cinque metri. Loreto Di Stefano salta in mezzo ai binari. Gabriele Del Fino frena, ma è ormai irrimediabilmente troppo tardi e chiude gli occhi per non vedere. Sente solo lo schianto e lo stridio dei freni azionati al massimo. Poi l’odore tipico delle ganasce arroventate e la Littorina che si ferma con un sobbalzo. Le gambe gli tremano, non avrebbe il coraggio di andare a vedere lo scempio, ma il dovere è dovere. Scendono, urlando, anche tutti i passeggeri, alcuni leggermente contusi, mentre accorrono i vicini. Tra i passeggeri ci sono anche Enrico Danzelli, Capitano del Genio Militare, addetto alle fortificazioni presso il Corpo d’Armata di Napoli e Giovanni Evangelisti, l’impiegato che accompagna il Capitano, i quali sono i primi a guardare sotto la Littorina per vedere cosa è successo a Loreto Di Stefano, disteso in posizione supina. Il Capitano, dopo averlo osservato attentamente, esclama:

– È vivo! Respira!

Tra segni di croce, grida e pianti, arrivano i vicini, che di corsa salgono in paese a dare la notizia.

Sono le 13,38 quando le urla della gente avvisano i Carabinieri della disgrazia e i militari si precipitano immediatamente sul posto con l’Ufficiale Sanitario del paese, dottor Ermenegildo Colosimo. Trovano il povero Di Stefano ancora sotto la Littorina, lo estraggono con la massima delicatezza possibile, cosi che il medico possa procedere a verificare le condizioni del ferito.

Nel frattempo il Maresciallo interroga il macchinista, il resto del personale viaggiante, alcuni passeggeri e le persone che hanno assistito più o meno da lontano all’incidente.

L’individuo si trovava sul lato destro della linea e camminava nelle direzione di Bianchi e quando l’automotrice era a due o tre metri saltò sul binario… forse per attraversarlo… l’ho investito in pieno senza potere evitare l’impatto – racconta il guidatore.

Ero sul pianerottolo della scala di casa mia con mio figlio Bruno – racconta Erminia Pugliano – ed entrambi abbiamo visto l’uomo che camminava al lato destro della linea ferrata e quando la vettura era a tre o quattro metri fece un salto sui binari e, nel tempo stesso, la vettura fermarsi.

L’ho visto da lontano nei pressi del ponte Mascari, proprio nel momento che passava la Littorina ed improvvisamente fermarsi la vettura, ma non mi sono accorto dell’investimento – dice Mario Colosimo.

Ero affacciata alla finestra – racconta Gregoria Taverna – e lo vidi camminare sulla linea proprio nel momento dell’investimento… poi ho visto che la vettura si fermò

– Stavo lavorando nel mio pezzo di terra e ho visto Di Stefano una decina di minuti prima che arrivasse la Littorina. – racconta Pietro Paolo Colosimo – È sceso al fiume, poi è risalito e mentre transitava il treno ho visto cascare come una cosa nera e supposi che era cascato qualche oggetto a qualche viaggiatore. Proprio in questo momento il treno si è fermato…

Sul posto dove c’è il Maresciallo arriva anche l’ingegnere Paolo Colosimo che disegna una piantina del luogo dell’incidente e la consegna al Maresciallo, proprio negli stessi istanti in cui il medico gli porge un biglietto con la sua diagnosi: fratturazione completa dell’arto superiore sinistro, ferita sottoascellare lunga circa 9 centimetri, ferita interessante tutta la regione occipitale, nonché contusioni molteplici su tutto il corpo.

– Se resta qui è destinato a morire – dice il dottore scuotendo la testa.

– Carichiamolo sul treno e lo portiamo all’Ospedale di Catanzaro – propone il Capitano, guardando negli occhi il Maresciallo.

– Si, sono d’accordo – dice l’impiegato.

– Credo anche io che sia l’unica soluzione per tentare di salvargli la vita – concorda il medico che, rivolto al Maresciallo, aggiunge – voi che ne pensate?

– Beh… in effetti… ma c’è bisogno dell’autorizzazione del Pretore, che torna domani…

– Ma che autorizzazione e autorizzazione! – tuona il Capitano – c’è in gioco la vita di un uomo e perdiamo tempo? Io sono l’autorità più alta in grado in questo momento e ordino di caricare il ferito nella vettura e ripartire il più in fretta possibile, perdio!

Alle grida di evviva dei passeggeri e dei paesani, il Maresciallo abbandona la sua posizione di uomo ligio al regolamento ed alle procedure e il povero Di Stefano, ancora svenuto, viene caricato sulla Littorina, che riparte sbuffando alla massima velocità possibile.

È ormai sera quando arriva un telegramma da Catanzaro, nel quale è scritto che Loreto Di Stefano, facchino, nato a Celano (L’Aquila) nel 1869, residente a Colosimi nella frazione Mascari, è deceduto 20 minuti dopo il ricovero in ospedale per probabile lesione degli organi interni.

Il Di Stefano era dedito all’ubriachezza, ed essendo alcolizzato bastava poco vino per essere brillo e dato l’ora certamente aveva bevuto vino. Il Di Stefano era sceso da Colosimi sotto il fiume Bisirico, forse per soddisfare qualche bisogno. Saliva per un piccolo sentiero sulla linea, appunto quando l’automotrice passava ed a posto di fermarsi al punto sicuro dove si trovava, come si rileva dall’unito schizzo fatto dall’ing. Paolo Colosimo, ignaro del pericolo cui andava incontro, forse immaginava di fare più sollecito della vettura, spiccò il salto proprio nel momento che era giunta l’automotrice alla sua altezza, investendolo in pieno petto, perciò si spiega che venne trovato supino sotto la vettura su ripetuta. Il guidatore non ha potuto necessariamente evitare l’investimento, data la poca distanza che Di Stefano si era deciso per attraversare il binario per portarsi dal lato opposto, alla frazione Mascari, dove il Di Stefano era diretto. Sulla destra della linea dove si trovava il Di Stefano rimane uno spazio di circa 7 metri, il quale se fosse rimasto fermo, non poteva certamente essere investito.

Del che abbiamo redatto il presente verbale in duplice copia…[1]

 

 

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[1] ASCS, Processi Penali.