Mercoledì 4 agosto 1945 ore 7,00 nei pressi del ponticello “Boscata” sulla Strada Statale 19 tra Grimaldi e Aiello Calabro. Due passanti, attirati da alcune chiazze presenti sul fondo stradale che sembrano di sangue, si sporgono dal parapetto del ponticello e cominciano ad urlare terrorizzati alla vista di un cadavere con la testa sfracellata.
Qualcuno fa di corsa i quasi 3 chilometri fino a Grimaldi per avvisare i Carabinieri, i quali arrivano sul posto con il Pretore, il medico del paese ed un piccolo corteo di curiosi. Le macchie di sangue sulla strada portano fino ad una decina di metri più a valle del ponte ed è lì che viene ritrovato il berretto della vittima con un foro da arma da fuoco. Lo portano al medico che lo confronta con il foro in mezzo alla fronte del cadavere e la dinamica del delitto comincia a delinearsi. Qualcuno gli ha sparato in fronte con una rivoltella di piccolo calibro e poi, forse per un estremo sfregio, lo ha colpito numerose volte con un corpo contundente di forma rettangolare, molto probabilmente il dorso di una scure, fino a fracassargli le ossa del cranio.
– È Rosalbino! Rosalbino Spina! – urla qualcuno quando lo tirano su dalla scarpata e lo poggiano sulla strada
Il dottor Ortensio Amantea, ora che il cadavere è stato portato nella camera mortuaria del cimitero comunale di Grimaldi e può eseguire l’autopsia in tutta calma, riscontra almeno sei colpi di scure sul cranio e anche il foro di uscita del proiettile entrato dalla fronte. Ma non c’è solo questo sul corpo di Rosalbino Spina, ci sono innumerevoli ecchimosi sul collo e sulle braccia, segno che il poveretto ha tentato di difendersi dai calci che qualcuno, probabilmente non meno di tre persone, gli tirava. Una di queste ecchimosi attira la sua attenzione perché presenta i segni particolari che lascia una scarpa con i chiodi di rinforzo sotto la suola.
Il problema è capire chi è perché lo ha ucciso così barbaramente.
– In tasca doveva avere circa seimila lire – dice la vedova al Maresciallo Orlando Basile – ieri mattina lo avevano pagato per un carico di legna di quercia, le avete trovate?
– Nel portafogli non c’è quasi niente…
Rapina. Resistenza alla rapina, un movente molto plausibile per uccidere, anche barbaramente, un uomo.
– Ieri sera Rosalbino è stato con degli amici nella cantina di Nicola Sicoli a bere vino e a divertirsi ballando al suono di una fisarmonica.
– Chi erano questi amici?
– Con lui c’erano Cornelio Zanachelli, Salvatore Pulimeni e Vittorio Iacoe.
I Carabinieri si mettono sulle tracce dei tre amici e, accertato che Iacoe non c’entra nulla, rintracciano Salvatore Pulimeni mentre è intento a pulire la sua fisarmonica, sulla quale i militari notano subito delle macchioline che sembrano essere di sangue. Insospettiti, lo portano in caserma e lo interrogano.
– Io non c’entro, non ne so niente. Eravamo insieme alla cantina, ma poi ci siamo divisi e io sono tornato a casa.
– E quelle macchie sul mantice della fisarmonica?
– Deve essersi sporcato di olio mentre lucidavo la tastiera…
L’interrogatorio va avanti senza novità per un paio di ore, interrotto spesso dal via vai dei Carabinieri che portano biglietti di appunti al Maresciallo. E l’ultimo biglietto sembra essere molto interessante.
– Siamo appena venuti a sapere che non è vero che te ne sei tornato a casa, hai accompagnato Spina lungo la Statale, verso il ponte. Qualcuno ha detto di aver sentito suonare una fisarmonica… – è la svolta.
Alla fine, di fronte all’incalzare delle contestazioni, Pulimeni scoppia in pianto dirotto esclamando:
– Me poverino… se parlo mi ammazzano!
– Chi ti vuole ammazzare? Ti proteggeremo noi, parla, dimmi i nomi!
– Ho timore di Carmelo Zanachelli… è lui uno degli autori dell’omicidio… un altro è Vincenzo Ferraro…
Vincenzo Ferraro. Nome nuovo, nessuno lo ha indicato come partecipante alla festicciola nella cantina. I Carabinieri non hanno difficoltà a trovarlo ed arrestarlo, ma non si aspettano certo di ascoltare ciò che immediatamente rivela:
– È vero, ho partecipato all’omicidio insieme a Pulimeni, Zanachelli e suo cognato Carmelo Mariano Guido… la sera di venerdì 3 agosto, alle ore 22, cessato il ballo giusti gli accordi preventivamente presi nel pomeriggio con Zanachelli e Guido – entrambi nutrivano rancore contro Spina – indussi lo stesso Spina a recarsi con me in località “Boscata” con il pretesto di andare a trovare una prostituta abitante colà. Giunti sul ponte, Zanachelli, che ci aveva preceduti, dette un fischio per richiamare l’attenzione del cognato, anche lui già in agguato sul posto. Quando Guido arrivò sul ponte, Zanachelli gli disse: “Ti ho portato il gallo”, alludendo a Spina e Guido gli disse: “Finalmente sei arrivato con i tuoi piedi, adesso è proprio il momento che ti debbo ammazzare!”. Io estrassi la rivoltella ma Guido me la strappò di mano ed esplose un colpo che attinse Spina alla fronte. E siccome, sebbene ferito, continuava a restare in piedi, afferrai una scure che tenevo nascosta sotto la giacca e lo percossi violentemente alla testa… poi anche gli altri, dopo che lo videro caduto, nonostante Spina invocasse pietà, si accanirono su di lui con la mia scure, fino a quando non constatammo di averlo finito. Poi, tutti insieme, prendemmo il cadavere e lo gettammo al di là del muraglione del ponte…
La conferma che Ferraro ha veramente partecipato all’omicidio è il ritrovamento nella sua abitazione della rivoltella usata, ancora sporca di sangue e con un capello della vittima incastrato tra il manico e l’occhiello del ferro. E quindi lo hanno colpito in testa anche con il calcio della rivoltella.
Ora, le cose saranno anche andate come ha raccontato Ferraro, però ci deve essere dell’altro perché, ammesso che Zanachelli e suo cognato Guido avessero nutrito del risentimento nei confronti di Spina, perché mai Ferraro e Pulimeni si sarebbero dovuti prestare ad ammazzarlo così barbaramente? E si ritorna alla prima ipotesi: omicidio a causa di rapina, sebbene nessuno ancora parli di dove siano andate a finire le seimila lire che aveva addosso Spina.
La precisa chiamata in correità di Ferraro nei confronti degli altri tre compari si risolve subito in tre arresti, nonostante tutti si dichiarino estranei ai fatti. Poi il cerchio delle indagini si allarga per trovare nuovi riscontri e allora viene fuori che la mattina dopo l’omicidio, Ferraro è andato regolarmente a lavorare per sviare ogni sospetto su di lui; sempre per sviare ogni sospetto rimase a vegliare il cadavere. Il cinismo di Ferraro arrivò al punto che portò egli stesso alla caserma dei Carabinieri la camicia ed il cappello di Spina e collocò una croce dove ne fu rinvenuto il cadavere.
Qualche giorno dopo, però, davanti al Pretore Ferraro cambia versione e scagiona Pulimeni e cambia ancora versione davanti al Giudice Istruttore, indicando sé stesso come unico responsabile dell’omicidio, scagionando Pulimeni, Zanachelli e suo cognato Guido. Ma che ad uccidere Spina sia stata una sola persona, sebbene armata di rivoltella, non ci crede nessuno perché Spina era aitante, di talché un solo individuo non bastava per sopraffarlo.
– Davanti al Pretore ero stordito… quando accusai Pulimeni ero pazzo… – dice Ferraro al Giudice Istruttore, ma la commedia dura poco perché, finalmente, ammette che il movente di tutto quell’orrore erano le seimila lire.
E arrivano le conferme: viene accertato che Zanachelli era senza un soldo ed era debitore nei confronti di suo cognato di mille lire per l’acquisto di una camicia; in più gli aveva promesso che avrebbe saldato il debito il 5 agosto; alcuni testimoni riferiscono anche di una minaccia di morte lanciata da Zanachelli contro Spina in seguito ad una lite: “Tu devi morire per mani mie e di mio cognato Guido”. E se non bastasse, dopo commesso l’omicidio finse di fare lo gnorri non replicando alla frase pronunciata da un cognato di Spina: “Gli potevano rompere un braccio o una gamba, ma non ammazzarlo!”. Poi c’è la testimonianza di Gennaro Bombini il quale racconta che nel pomeriggio del 3 agosto, mentre faceva pascolare le pecore lungo la strada tra Grimaldi e Aiello, se ne stava seduto all’ombra di un muraglione ed ebbe modo di ascoltare, non visto, Zanachelli che diceva a Guido: “Stasera lo dobbiamo ammazzare, se non l’ammazziamo stasera non lo ammazziamo più!” Viene anche scoperto che qualche giorno prima dell’omicidio, Zanachelli acquistò sei capsule per rivoltella e nessuno sa che fine abbiano fatto. Nemmeno l’alibi che ha fornito regge: non è vero che rincasò alle 23,00 ma non prima delle 23,25, come sostengono tre testimoni che lo videro a quell’ora e, addirittura, anche sua moglie, che aggiunge:
– Se l’omicidio è stato commesso prima delle 23,25 può avervi partecipato, comunque ciò può saperlo solo nostro Signore…
Il particolare dell’ora di rientro a casa di Zanachelli è un fatto di primaria importanza perché, dal minuzioso incastro di numerose testimonianze, viene stabilito che i delitti furono consumati dopo le ore 23 e prima delle ore 23,25 perché tra l’abitato di Grimaldi e la località “Boscata” intercorre un’ora di cammino e, secondo i Carabinieri, la casa di Zanachelli dista dal ponte della “Boscata” appena cinquecento metri e, pertanto, Zanachelli alle ore 23,25 giunse con facilità nella propria abitazione.
Anche Pulimeni cerca di costruirsi un alibi asserendo che alle 22,30 del 3 agosto era già a casa, ma non è in grado di provarlo e non lo aiuta nemmeno sua moglie che depone di averlo rimproverato perché era più tardi delle 22,30. Se Pulimeni non aveva partecipato ai crimini, perché Zanachelli e Guido lo avevano minacciato di morte se avesse fatto i loro nomi e perché soltanto dopo due ore di interrogatorio, scoppiando in pianto dirotto, disse ai Carabinieri “Me poverino, se parlo mi ammazzano”? Tale comportamento è anche indice chiaro della sua colpevolezza. Ma ciò che toglie ogni dubbio è il fatto che Pulimeni accompagnò, suonando la fisarmonica, Ferraro e Spina e che con costoro si recò in località “Boscata”.
Accusa e difesa si fondano sul filo di pochi minuti, ma sembra proprio che le carte in mano alla Procura della Repubblica siano migliori e più precise, così i quattro comparucci vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza con le accuse di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione, dal tempo di notte, dal luogo solitario e dallo stato di ebbrietà della vittima, di talché non fu in grado di difendersi validamente e nessuno era in grado di prestargli aiuto, nonché di rapina aggravata dall’uso di arma da fuoco e scure.
Per la Corte, tutte le aggravanti contestate sussistono per tutti gli imputati, con un distinguo per la posizione di Pulimeni al quale va riconosciuto che non fu tra gli ideatori della rapina e dell’omicidio e quindi gli vanno concesse le attenuanti generiche.
Non c’è dubbio che tutti e quattro siano responsabili dei reati loro ascritti e la Corte condanna Vincenzo Ferraro, Mariano Carmelo Guido e Cornelio Zanachelli alla pena dell’ergastolo; Salvatore Pulimeni invece prende 24 anni di reclusione. Per i primi tre ci sono anche la perdita della patria potestà, dell’autorità maritale e della capacità di testare; per Pulimeni le stesse pene accessorie avranno la durata della reclusione.
La Corte, inoltre, ordina che la sentenza venga pubblicata mediante affissione nei Comuni di Cosenza e Grimaldi e per estratto e per una sola volta nei giornali “Voce Repubblicana” e “Giornale di Calabria”.
È il 28 giugno 1946.
La Suprema Corte di Cassazione, il 20 febbraio 1950, dichiara inammissibile i ricorsi di Ferraro e Pulimeni, mentre rigetta quelli di Guido e Zanachelli.
Il 14 giugno 1950, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati tre anni di reclusione a Salvatore Pulimeni.
Passano quasi altri 15 anni e la Corte di Assise di Catanzaro con sentenza del 2 marzo 1965, resa esecutiva il 28 gennaio 1966, commuta la pena dell’ergastolo riportata da Vincenzo Ferraro in quella di 20 anni di reclusione e dichiara condonate anche le pene accessorie.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
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