LA PICCOLA POPPANTE

Praia a Mare, marzo 1931.

Pasquale La Gatta e sua moglie Maria Teresa La Gatta da qualche giorno sembra che non vadano più d’accordo. Pare che Pasquale ha scoperto che sua moglie, più anziana di lui di dieci anni e madre di tre figlioletti, si è data carnalmente a suo fratello Francesco, che da pochi giorni lo sta aiutando nei lavori campestri e dorme con loro nella stessa casa.

La sera del 22 marzo Pasquale si attarda un po’ e quando torna trova suo fratello Francesco che bacia sua moglie. Non fa scenate, la gente ci godrebbe. Si limita a rimproverare Maria Teresa e ad ordinare a suo fratello di andare a dormire altrove.

Sembra che non sia accaduto niente. Nessuno si accorge di niente.

La sera del 24 marzo Maria Teresa, dopo aver messo a dormire i figlioli più grandi nel loro lettuccio, si adagia, vestita, accanto al marito, cercando di addormentare la piccola poppante di mesi sei a nome Raffaelina.

– Ma ti rendi conto di quello che mi hai fatto? Cosa ti è preso? E poi… con mio fratello! – Maria Teresa non risponde e Pasquale continua, indispettito e visibilmente alterato – Va’, vattene a dormire in cucina e ti dico che domenica andremo dal podestà per separarci, così vivremo ognuno per conto nostro e potrai fare quello che ti piace!

Maria Teresa, tutta impaurita, prende la piccolina in braccio e, senza replicare, va in cucina, coricandosi per terra come una cagna. Poi, temendo che il marito possa farle del male, pensa di allontanarsi da casa. Chiede ospitalità a sua sorella Immacolata, già a letto con i suoi due bambini:

– M’ha cacciata… ha detto che domenica dobbiamo fare la separazione… ho avuto paura di un eccesso di gelosia… che potesse farmi del male e sono venuta da te…

Pasquale non si è accorto che sua moglie è uscita e si addormenta, ma dopo un paio di ore i due bambini rimasti a casa si svegliano e cominciano a piangere chiamando la mamma. Non riuscendo a farli zittire, chiama la moglie. Non vedendola comparire si alza, va in cucina e non la trova. Si veste, accende la lanterna ed esce per cercarla dai suoceri che abitano a pochi metri di distanza.

– Marì! Marì! – urla, picchiando i pugni alla porta dei suoceri – apri! Lo so che sei lì!

Dopo un po’ la porta si apre e appare suo suocero, Raffaele La Gatta;

– Pasquà… è notte… tua moglie qui non c’è!

Pasquale, mogio mogio, torna a casa, sperando che Maria Teresa sia tornata e non vedendola, furioso, torna a casa dei suoceri ma questa volta bussa alla porta di sua cognata Immacolata che abita due vani contigui con quelli paterni.

– Non c’è, vattene a casa! – gli risponde la cognata, senza aprire la porta, ma Pasquale non le crede e comincia a colpire la porta con calci e spintoni, fino a che riesce a scardinarla. Davanti a lui c’è Immacolata, vestita e col lume acceso in mano. Cerca Maria Teresa dappertutto ma non la trova. Deve essersi rifugiata dai genitori mentre lui è tornato a casa. Lo hanno imbrogliato, ma lui vuole sua moglie perché vuole avere la soddisfazione di umiliarla cacciandola di casa dopo averla portata dal podestà.

Tra la casa di Immacolata e quella dei genitori c’è una porta di comunicazione, chiusa con un debole paletto che cede dopo qualche vigorosa spallata. I suoceri sono coricati al buio e tremano per la paura. Gira intorno al letto con la lanterna alzata sulla testa per illuminare meglio l’ambiente. Eccola! Maria Teresa si nasconde accovacciata dietro il letto, tenendo fra le braccia la bambina.

– Andiamo a casa, i tuoi figli piangono! – il tono non ammette repliche, ma Maria Teresa si fa forza e risponde:

– Vengo se mi accompagna mia madre.

– No, per dieci anni non hai avuto bisogno di tua madre e ne hai bisogno ora che mi hai fatto le corna? Tu te ne devi venire con me. Adesso! – urla scandendo bene le parole.

Intanto i due anziani suoceri si sono alzati e seguono Pasquale, Maria Teresa e Immacolata che sono andati in cucina. Pasquale passa la lanterna nella mano sinistra e apre la porta di ingresso, poi prende la bambina tenendola sul braccio destro, dando campo alla moglie di trovare qualcosa per coprirla.

Immacolata si sposta, sistemandosi sulla porta interna che introduce alle sue due stanze.

– Pasquà… perdonala… non maltrattarla… promettimelo – lo implora suo suocero.

– Dai… fate la pace – li esorta la suocera.

Voi sapete che mi ha fatto le corna e ancora la difendete? – protesta Pasquale, molto risentito. Poi un movimento brusco, forse la bambina si muove e lui ha l’impressione che stia per cadere. Col gomito urta il vecchio suocero che, mal reggendosi per la sua età, cade per terra.

Immacolata vede suo padre cadere e, avendo sentito il rimprovero fattogli da Pasquale, pensa che lo abbia volontariamente spinto per fargli del male. Un’occhiata a destra e una a sinistra. La scure è al solito posto sulla cassa, a portata di mano. L’afferra e fulmineamente si avventa contro il cognato, vibrandogli due tremendi colpi.

Pasquale si sposta d’istinto e l’arma centra in pieno la testa di Raffaelina, la bambina, che emette un grido, reclina il capo aperto in due, e muore. Il secondo colpo arriva sul collo di Pasquale, ferendolo in modo non grave.

Vedendo Immacolata con la scure alzata sulla testa nell’atto di colpirlo ancora, lascia cadere a terra la bambina, afferra con la mano sinistra la scure che si sta abbattendo di nuovo su di lui e, dopo una viva lotta, riesce a disarmarla, a buttare via la scure e scappare. Anche Immacolata scappa, mentre Maria Teresa rimane con i genitori a piangere la figlia morta.

Intanto Pasquale torna indietro, si tampona la ferita con un fazzoletto datogli dalla suocera e poi va a casa da solo per accudire agli altri due figli.

Immacolata torna dopo un paio di ore, accompagnata da una vicina presso la quale si era rifugiata, con l’idea di farsi accompagnare dai Carabinieri per costituirsi. Ma la donna è inoltrata negli anni e quasi cieca, quindi decidono di rimandare la costituzione al mattino successivo.

– Marescià… mio cognato, forzata la porta è entrato con la lanterna accesa e armato di scure… mia sorella voleva essere accompagnata a casa da nostra madre ma il marito si è opposto e ha preso mio padre per la gola e con uno spintone lo ha fatto cadere per terra… è stato allora che mi sono lanciata contro di lui… gli ho tolto la scure e gli ho menato un colpo al collo… dopo ci siamo colluttati e non so spiegarmi come sia stato possibile che Raffaelina sia stata colpita… l’aveva in braccio mia sorella… non so se l’ho colpita io o l’ha colpita Pasquale

È tutto un po’ confuso e i Carabinieri l’arrestano in attesa di chiarire tutto, ma non possono portarla in carcere perché è incinta al nono mese e prossima al parto, così la piantonano a casa. Poi vanno a perquisire le stanze dei genitori.

La scure insanguinata è ancora per terra, Maria Teresa e i due vecchi genitori sono seduti intorno ad una culla e piangono. Il Maresciallo si avvicina e guarda. Un moto di ribrezzo lo scuote. Raffaelina è adagiata nella culla col cranio spaccato e sanguinante.

Le dichiarazioni che i familiari di Immacolata, e poi del cognato Pasquale, fanno emergere molte contraddizioni e i sospetti aumentano sulla veridicità del racconto fatto dalla donna che, nuovamente interrogata, modifica le sue dichiarazioni, aggiungendo di neppure sapere come il cognato fosse rimasto ferito. Poi lo querela per violazione di domicilio.

È l’analisi delle ferite sia sul corpicino di Raffaelina che su quello di suo padre a chiarire definitivamente la dinamica dei fatti. La lesione da taglio, lunga 10 centimetri, dalla regione temporale sinistra a metà della fronte, con rottura della scatola cranica e fuoriuscita di sostanza cerebrale non può essere il risultato di un colpo dato a caso durante una colluttazione, ma di un colpo dato volontariamente con la precisa volontà di uccidere. Ma certamente non per uccidere la bambina. Anche la ferita riportata da Pasquale La Gatta non è stato un colpo casuale, ma voluto. Quindi Immacolata ha mentito e viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario per avere, a fine di uccidere il proprio cognato, cagionato per errore la morte della figlia di costui mediante colpo di scure e di tentato omicidio per avere, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, a fine di uccidere, assestato al suddetto Pasquale La Gatta altri due colpi di scure, senza cagionarne la morte per circostanze indipendenti dalla sua volontà. Anche Pasquale La Gatta siederà sul banco degli imputati per rispondere di violazione di domicilio. È il 29 gennaio 1932.

Ma prima che il dibattimento inizi, Immacolata ritira la querela contro Pasquale e la Corte dichiara nei suoi confronti di non doversi procedere per estinzione del reato.

Il 20 maggio 1932 si tiene il dibattimento e Immacolata, nonostante i risultati delle indagini, continua a negare di aver ferito il cognato e di aver colpito la nipotina.

È stata Immacolata a prendere la scure che si trovava su di una cassa e a tirare un colpo contro mio genero… poi venne una confusione perché mia figlia Maria Teresa si mise a gridare vedendo la sua bambina col capo sanguinante… morta – racconta tra le lacrime il vecchio padre di Immacolata – dopo si svolse una lotta furiosa tra Immacolata e mio genero il quale, afferrata la scure, cercava di strapparla a mia figlia… a un certo punto vedemmo la scure in mano a mio genero che la buttò sul pavimento… Immacolata scappò nella sua abitazione e chiuse la porta

La Corte ritiene che la volontà omicida dell’imputata si evince chiaramente dall’inizio dell’azione con mezzi idonei, dai colpi reiterati e dalla regione presa di mira e se Immacolata non riuscì a raggiungere il fine che si era proposta, ciò molto facilmente avvenne perché il cognato ebbe di poco a indietreggiare. Quindi Immacolata deve ritenersi colpevole del reato di tentato omicidio volontario. Per l’uccisione della bambina, invece, deve rispondere della conseguenza di errore nell’atto in cui intendeva compiere altro delitto ed offendere persona diversa, che pure è rimasta ferita. Un ragionamento molto favorevole all’imputata. Non solo. Immacolata La Gatta, al momento del fatto era in istato di gravidanza, prossima al parto, che si verificò infatti pochi giorni dopo il suo arresto. Ora, è noto come le gestanti siano normalmente in uno stato di facile impressionabilità che le porta a reagire in modo sproporzionato agli stimoli che loro vengono dall’esterno. Ora, la imputata, conscia della grave colpa della sorella che poteva indurre il marito a commettere sulla medesima atti di violenza, avendo avuto prova della irritazione del cognato che volle entrare a forza nella casa ove la moglie si era ricoverata, vedendo il cognato inveire in malo modo contro i genitori di lei, tanto da gettare a terra il padre, evidentemente ebbe a ritenere che i propri congiunti corressero un pericolo gravissimo, così da vedersi costretta ad intervenire in loro difesa. Per tal modo si spiega come la donna si sia improvvisamente armata e si sia lanciata a colpire il cognato. Si deve però rilevare che vi fu, da parte di La Gatta Immacolata, un eccesso colposo difesa.

Immacolata viene condannata, con la concessione della diminuente di avere colposamente ecceduto i limiti stabiliti dalla legge per la difesa legittima, alla pena complessiva di 3 anni e 6 mesi di reclusione, più pene accessorie.

Il 3 febbraio 1933 la Corte d’Assise di Cosenza dichiara condonata la pena residuale nei confronti della condannata, ma in realtà Immacolata era già stata rimessa in libertà l’8 novembre 1932 per un vizio procedurale.[1]


[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

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