IL FINANZIERE IMPAZZITO

– Lombardi, Muratori, a rapporto! – a chiamare i due Agenti della Brigata della Guardia di Finanza di stanza a Cirella è il Vicebrigadiere Domenico Fasciani, comandante della stessa. Sono le 23,30 del 16 novembre 1893.
– Comandi! – rispondono all’unisono i due battendo i tacchi.
– Da mezzanotte alle 6,00 sarete di pattuglia lungo il tratto marittimo dallo scalo di sbarco fino alla Palombella verso Diamante. Eccovi le dieci cartucce per ciascuno, otto a mitraglia e due da esercitazione.
– Comandi! – ripetono i due prendendo in consegna le cartucce.
Allo scoccare della mezzanotte Raffaele Lombardi e Isidoro Muratori escono dalla caserma e cominciano il servizio. Il tempo è bruttissimo e quando arrivano alla Palombella non trovano i colleghi di Diamante con i quali, per regolamento, devono scambiarsi le informazioni di servizio.
– Chissà dove si sono imboscati… solo noi siamo i fessi che vanno avanti e indietro con questa burrasca! – si lamenta Lombardi col suo inconfondibile accento napoletano – dai, torniamo indietro, almeno camminando ci riscaldiamo…
Quando sono da poco passate le 2,30 i due arrivano, senza inconveniente di sorta, allo scalo, vicino alla caserma.
– Uff… sediamoci un pochino – propone Lombardi. Muratori acconsente e siccome deve soddisfare un bisogno corporale, si dirige verso la caserma. Quando dopo pochissimi minuti torna, Lombardi non c’è.
– Lombardi… Lombardi dove sei? – lo chiama ad alta voce ma invece di Lombardi gli risponde il suono secco di una detonazione. Solo a questo punto sente il collega che urla:
A me volete uccidere? Venite avanti assassini… porcamadonna! – Muratori, preoccupato, corre verso la direzione da cui proviene la voce, esattamente dal lato del Fortino, davanti la casa dell’ingegnere ferroviario Giovanni Fumagalli.
Lombardi… sono il tuo compagno Muratori, cosa è?
Ho messo dentro un’altra cartuccia… – gli risponde tirando la leva dell’otturatore e puntandogli l’arma contro. Muratori, vedendo ciò, scappa e torna in caserma per dare l’allarme.
Vedete che Lombardi mi stava sparando! – grida verso i commilitoni, svegliandoli.
– Corriamo! – rispondono i colleghi saltando dalle brande.
– Dove correte? Lombardi è adirato e può benissimo uccidere uno di noi! – il consiglio è immediatamente accettato e nessuno mette il naso fuori dalla caserma. Intanto tutti possono sentire distintamente altre cinque detonazioni di moschetto, poi tre detonazioni che non provengono certamente da un moschetto in dotazione alle guardie. Quindi il silenzio, ma, nell’imbarazzo generale, nessuna delle Guardie di Finanza ha il coraggio di uscire per verificare cosa diavolo sia successo.
I colpi alla porta della caserma sembrano risvegliarli da quel torpore pavido che li ha attanagliati: è Lombardi.
Hai altre cartucce? – gli chiedono senza aprire.
Le ho finite tutte
Passami il moschetto con la baionetta – gli dice un commilitone aprendo lo spioncino, Lombardi ubbidisce e la porta viene aperta.
Porca madonna, mi volevano uccidere! – dice, tutto irato, appena entra.
– Ma cosa è successo?
Nulla… – risponde sorprendendo tutti, poi si va a buttare sulla sua branda e si addormenta di colpo.
Ma Muratori non può restare con quel dubbio, che diamine, ha rischiato di morire ammazzato! Dopo un paio di ore lo sveglia e lo costringe a raccontargli l’accaduto.
Mi volevano ammazzare e poi l’ingegnere Fumagalli mi ha tirato tre colpi di revolver
A questo punto è opportuno tornare indietro di qualche ora, alle 2,30 circa. Lombardi si siede per riposare, Muratori va in caserma per soddisfare il suo bisogno corporale e quando torna non trova più il collega, poi la detonazione.
Sono circa le 2,30 del 17 novembre 1893 e in casa dell’ingegnere Fumagalli tutti dormono, ma alcune urla provenienti dall’esterno, precisamente dalla parte della marina, svegliano la moglie dell’ingegnere, la signora Pierina Loraschi, la quale, preoccupata, sveglia il marito.
– Giovanni… Giovanni… non puoi capire quali insolenze stanno urlando al tuo indirizzo
Fumagalli all’inizio non capisce, ma poi sente distintamente che qualcuno sta urlando:
Porca la Lombardia! Porca la Calabria! svegliati vigliacco, esci fuori, fatti vedere che ti ammazzo!
L’ingegnere salta dal letto, accende il lume a petrolio e va nella stanza da studio per prendere il revolver. Proprio in questo momento sente una detonazione e il rumore del proiettile che entra in
casa dal balcone.
Il revolver non è nei cassetti della scrivania. Bestemmiando, Fumagalli va a cercare l’arma nella sala da pranzo e anche qui una detonazione e il proiettile che entra in casa. La confusione è totale. Bianca, la figlioletta, svegliata e impaurita dai colpi si mette a piangere e Fumagalli si precipita a consolarla ma, evidentemente, la luce emessa dal lume attira l’attenzione dell’assalitore e anche qui un proiettile buca i vetri della finestra e gli passa a pochi centimetri dalla testa.
Piglia questo! – si sente urlare da fuori – esci assassino, uscite tu e l’altro assassino Ruggiero! Abbasso l’ingegnere! Abbasso il Cavaliere!
Fumagalli finalmente trova il revolver e scende al piano terra di casa. Apre uno spioncino accanto al portone e guarda intorno fin dove può, ma non vede nessuno. Frustrato dall’impossibilità di colpire chi sta attentando alla sua vita, spara tre colpi in aria, poi chiama in aiuto il suo intimo amico Filippo Ruggiero che abita a pochi passi da lui.
– Filippo… corri per favore… mi stanno ammazzando!
In questo stesso momento si precipita giù dalle scale il cognato dell’ingegnere, Francesco Loraschi, con una notizia incredibile:
– Sono le Guardie di Finanza a sparare… sono tutte ubriache!
– È impossibile… non comprendoinveire contro di me in una maniera così villanae attentare alla mia vita!
Anche Filippo Ruggiero è stato svegliato dalle detonazioni e dalle urla. Quando sente l’amico chiamarlo in soccorso non perde tempo e si precipita a casa dell’ingegnere.
– È stato un finanziere… ce l’ha anche con mio padre, hai sentito?
I tre uomini pensano che non sia il caso di uscire e rischiare ulteriormente la vita. Aspetteranno che faccia giorno e poi andranno dai Carabinieri a Diamante. Fatto giorno, escono e raccolgono da terra alcuni bossoli e una cartuccia ancora inesplosa e con quelle vanno a sporgere denuncia:
Credo che la causale di tale fatto deve attribuirsi a due ragioni: – accusa Fumagalli – la prima perché diverso tempo fa il Brigadiere comandante questa Brigata, unitamente alla Guardia di Finanza a nome Granata procedettero all’arresto di un mio servo a nome Audino, sotto il pretesto di una offesa fatta a loro, ma che in sostanza fu per una vendetta e così io ricorsi alla Autorità Superiore per far risultare l’innocenza del servo. La seconda causale forse potrà essere una vendetta che abbia voluto fare un tale Felice Antonio Sollazzo contro di me per una querela che io gli diedi diversi mesi or sono e siccome gli feci la desistenza con l’obbligo, però, di pagare le spese, che fin oggi non ha ancora pagato. Ora, da questo fatto, l’attuale Comandante la Brigata deve sposare una sorella del Sollazzo e sono stati fino a ieri sempre insieme, ubbriacandosi da mane a sera ed in loro compagnia vi era anche una Guardia di Finanza a nome Lombardi, come mi si asserisce. Dico ciò perché questo tale Sollazzo mi ha fatto delle minacce davanti a testimoni
La cosa sembra davvero incredibile, possibile che dei militari arrivino ad organizzare questa stupida messa in scena per vendetta? Sicuramente ci sarebbero stati modi e metodi più intelligenti per raggiungere lo scopo, ma saranno le indagini a chiarire tutto.
Lombardi è stato aggredito da due o tre persone poco distante dalla caserma e si difese in tal maniera, riportando al dito medio della mano destra una lievissima lesione – riferisce il Vicebrigadiere Fasciani.
Poi i Carabinieri approfondiscono la questione e il Brigadiere Vito Pugliese verbalizza: dalle nostre indagini all’uopo praticate nulla ci risultò ed invece venimmo a sapere dai testimoni che erano nelle vicinanze delle loro rispettive case, tanto per curiosare che mai fossero state quelle fucilate, che la guardia Lombardi mentre sparava gridava: “Viva la Finanza, vigliacchi il cavaliere e l’Ingegnere, svegliati e vieni fuori vigliacco”. Il cavaliere di cui la Guardia intendeva era forse il Signor Ruggieri Feliceantonio o il di costui figlio Filippo, antagonisti delle guardie, abitanti in vicinanza dell’Ingegnere Fumagalli. In tali manifestazioni di cose il predetto ingegnere desume che la guardia Lombardi abbia commesso ciò per insinuazione del suo Capo Brigata Fasciani.
Fasciani sembra cadere dalle nuvole: non ha sentito nessun colpo di arma da fuoco, forse ciò e dipeso dalla distanza o pure dal mio sonno, e nessuno lo ha svegliato per avvertirlo di ciò che stava accadendo, ma scrive al suo comando sottolineando che la Guardia Lombardi soffre abberrazione mentale, è sempre svogliato in tutto, reduce dalla Compagnia di Disciplina per grave indisciplina e di tante altre mancanze  che commise in Genova. Qualche commilitone asserisce di avergli sentito dire, quando Lombardi rientrò in caserma, che aveva sparato contro la casa dell’ingegnere perché doveva difendere la Finanza in quanto Fumagalli cerca andare in culo all’Arma ed egli doveva difenderla.
È una storia così paradossale che viene da dubitare di tutto, anche di quella che sembra essere l’unica certezza, cioè che a sparare contro le finestre di casa Fumagalli sia stato Lombardi.
Partito Muratori, vidi a pochi passi da me quattro individui armati di scure e bastoni i quali venivano contro di me ad assalirmi dicendo “ti vogliamo ammazzare” – comincia Lombardi –. Vedendomi a mal partito posi la baionetta in canna e mi difesi dai colpi di scure e bastone che mi lanciavano e tanto ciò è vero che ricevetti un colpo sul dito medio della mano destra. Gli aggressori vedendo come io mi difendevo fuggirono verso la casa dell’Ingegnere Fumagalli e così io tirai contro gli individui, che mi volevano ammazzare, diversi colpi di moschetto, non ricordo se furono sette o meno e fò osservare che i detti colpi io li tiravo ad altezza di uomo. Li inseguii fino allo spiazzale di casa Fumagalli, ma non vidi più dove andarono perché era oscuro. Vidi la casa dell’Ingegnere Fumagalli a quell’ora tutta illuminata e distinsi il Fumagalli che era alla finestra che corrisponde di rimpetto alla caserma col revolver in mano e tirò contro di me tre colpi di dett’arma, alla distanza di circa 16 metri e fu fortuna che io rimasi illeso. Gli aggressori tirarono anche contro di me altri otto o nove colpi di arma da fuoco e, siccome io avevo finito le munizioni, corsi verso la mia caserma per rientrare e chiamai i miei compagni e, avendo trovata la porta chiusa, dissi che mi aprissero ma essi o per paura o per qualche altro motivo non vollero aprire e si fecero dare il fucile dalla finestra. In questo momento vidi venire alla mia volta il signor Loraschi il quale, quando fu distante da me circa sei metri, mi tirò un colpo di carabina, senza però ferirmi, e la palla rasentò la porta della caserma. Essendo rimasto illeso e non potendo entrare in caserma, per non venir meno al mio servizio, rimasi di guardia al bastione, disarmato. Verso le cinque e mezzo del mattino vidi venire il Brigadiere dei Carabinieri di Diamante e siccome entrò subito in caserma, il mio Brigadiere non potette dire nulla dell’accaduto perché io non avevo ancora fatto rapporto e non appena venne da me ad interrogarmi, io gli esposi il fatto.
– Avete avuto mai quistioni con l’ingegnere Fumagalli? Avete sparato voi contro le finestre di casa sua gridando cose oscene contro di lui e contro Ruggiero?
Io non ho avuto mai quistione alcuna, in quei pochi giorni che sono stato a Cirella, con l’Ingegnere Fumagalli, anzi mi si diceva che era un gentiluomo e non comprendo il motivo per il quale tirò contro di me. Non è punto vero che io avessi tirato colpi di mitraglia allo intirizzo delle finestra di casa Fumagalli in detta notte, massime poi quando io vedeva i lumi e le persone dietro le finestrenon è vero che io avessi gridato contro di lui perché, ripeto, io non nutrivo rancore verso l’Ingegnere e verso Ruggiero
– E come si spiegano i colpi rinvenuti in casa del Fumagalli?
Non sono stato al certo io
– Avete mai sentito parlare di quistioni tra il Fumagalli e le Guardie di Finanza?
Quando sono stato nella caserma di Belvedere intesi dire dai miei compagni che l’Ingegnere Fumagalli era dispiaciuto contro le Guardie di Finanza di Cirella per l’arresto di un suo servo, operato dalla Guardia Granata, ma io certamente di tale fatto non ne sono impressionato.
– Eravate ubriaco? Ci sono state riferite delle cose che sembrano dette da un ubriaco… per esempio che avete sparato contro Fumagalli perché volevate difendere l’onore dell’Arma…
– No, non ero ubriaco e non è vero che io dissi che volevo difendere l’Arma!
Viene ordinata una perizia per stabilire le condizioni di visibilità notturna intorno a casa Fumagalli e se sia possibile, dalla strada, distinguere una persona dietro i vetri della casa stessa. Il risultato è che la notte è oscura tanto che è difficile scorgere un individuo a pochi passi di distanza. Al contrario, l’ingegnere Fumagalli si vede benissimo quando si è accostato ai vetri per chiudere i scuri, anzi si distingue perfino la mano. Ma questa circostanza, anziché avvalorare la tesi di Lombardi, gli si ritorce contro: un individuo posto sull’arenile a pochi metri di distanza dalla casa ed anco fino a trenta metri, poteva benissimo colpire ed uccidere il Fumagalli o qualche altra persona che era vicino ai balconi.
Lo stato di servizio di Lombardi non lo aiuta di certo per le numerose violazioni, dall’assenza arbitraria con mancanza al turno di servizio, al rifiuto di obbedienza al superiore, alla trascuratezza in servizio e nella tenuta delle armi, per finire alla violazione degli arresti in caserma, alla vergognosa ubbriachezza e allo scandaloso contegno in pubblico. Poi ci sono due note in assoluto contrasto tra di loro. La prima dice: Disgrazia o fallo, gli ultimi 20 R. [rigore? Nda] lo hanno avvilito. Volontariamente precipita – pende processo per violazione degli arresti in caserma e scandalosa ubbriachezza in pubblico (con la conseguenza del trasferimento alla 3^ Compagnia Disciplina). La seconda dice: Encomio dalla R. Prefettura di Genova per l’opera zelante ed efficace prestata nell’estinzione di un incendio sviluppatosi in Via Milano in Genova nella sera del 4 febbraio 1892. Due persone diverse, si potrebbe facilmente dire.
Secondo il Pubblico Ministero ci sono prove a sufficienza perché Raffaele Lombardi, giovane discolo ed eccentrico, debba essere perseguito per il reato di mancato omicidio e invia gli atti al Procuratore Generale del re per i provvedimenti del caso. Questi concorda e aggiunge anche il reato di ingiurie nei confronti dell’ingegnere Fumagalli e del cavalier Felice Antonio Ruggiero e ne chiede il rinvio a giudizio in stato di arresto, cosa che avviene il 6 marzo 1894.
Raffaele Lombardi viene arrestato ma, prima che sia fissata la data del dibattimento, cominciano ad arrivare dal carcere varie segnalazioni sulla sua condotta dietro le sbarre: da quando fu ricoverato in questo carcere si mostra esaltato e commette delle eccentricità. Esso però è inoffensivo ai suoi compagni e non è di disturbo alla quiete ed alla disciplina della prigione. Il suo fare, però, lascia sospettare esservi in lui molta simulazione e senza un esame minuto, intelligente e coscienzioso, fatto in condizioni favorevoli che non si riscontrano nelle carceri giudiziarie, è impossibile stabilire se nel Lombardi la ostentata psicopatia sia totalmente simulata. Insomma, per stabilire la sua responsabilità giuridica, occorre una perizia freniatrica bella e buona.
Il Presidente della Corte d’Assise di Cosenza non perde tempo e incarica della perizia tre medici del luogo, i dottori Michele Fera, Francesco Valentini e Vincenzo Scola i quali in 24 pagine di relazione stabiliscono che Raffaele Lombardi, in preda ad illusioni ed allucinazioni continue già presenti durante il servizio nella Guardia di Finanza e che si sono via via aggravate nelle carceri giudiziarie di Cosenza, è perfettamente irresponsabile visto l’andamento del male nel tempo che il Lombardi è stato sotto la nostra osservazione. I tre periti concludono che inutilmente si aspetterebbe la guarigione di lui, il quale, per sicurezza di sé e degli altri, è destinato a diventare ospite di manicomio. È il 14 settembre 1894 e l’appello dei medici viene ignorato. Lombardi torna in carcere fino al 5 ottobre 1895 quando la Corte d’Assise di Cosenza, escludendone la imputabilità per paranoia, lo assolve, ma nello stesso tempo ne dichiara la pericolosità sociale e ne ordina il ricovero in un manicomio giudiziario, quello di Aversa.
Dopo circa 8 mesi di permanenza ad Aversa, i medici ne sollecitano alla Corte di Assise di Cosenza la dimissione in quanto non presenta alcuna forma di psicopatia ma solo uno stato di debolezza mentale originaria, né ha dato mai a sospettare che possa riuscire pericoloso. Per tale ragione non abbisogna dell’opera di questo asilo pei pazzi pericolosi alla convivenza sociale. Egli può benissimo essere dato in custodia ad un manicomio civile e ciò per un certo tempo, onde se ne accerti sempre più il contegno. Venne in voce di essere un epilettico volgare, fatto sta che dal 5 novembre 1895 che qui è ricoverato, non fu mai colpito da nessun accesso. È il 16 maggio 1896. Qualche giorno dopo il Pubblico Ministero esprime parere favorevole, ma non succede niente.
Il Direttore Sanitario  di Aversa è così convinto delle condizioni di Lombardi che risponde ad un’accorata lettera della madre del giovane discolo ed eccentrico con queste parole:
Aversa 19 maggio 1896 
Rispondo alla sua del 12 corrente. Suo figlio Raffaele Lombardi trovasi qui essendo stato dichiarato irresponsabile per vizio di mente dalla Assise di Cosenza sull’accusa di mancato omicidio e qui rinchiuso come pericoloso per la sua pazzia. La sua uscita da qui dipende dal Presidente del Tribunale di Cosenza al quale lei potrà dirigersi. Suo figlio è di mente alquanto debole ma non è pericoloso. È ritenuto epilettico, ma del resto sta in buona salute, né mi aspetto più processi.
Quasi un mese dopo è lo stesso Raffaele Lombardi a scrivere al Procuratore del re di Cosenza e, allegando la lettera ricevuta da sua madre, chiede di essere rimesso in libertà e ridarlo alla sua desolata madre, la quale è vedova, vecchia e senza mezzi per potere campare la vita.
È il 4 dicembre 1896 quando il Presidente della Corte d’Assise di Cosenza ordina la liberazione definitiva dal manicomio di Aversa del folle Lombardi Raffaele e dispone la consegna dello stesso all’autorità di P.S. che lo affiderà poi a chi ne intende assumere la custodia e la cura ed in mancanza lo farà rinchiudere in un manicomio civile.[1]
Poi non si hanno più notizie…


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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