Mani esili come piume carezzano un baule finemente lavorato contenente pochi ma pregevoli beni. Tra questi una corona con maglia d’argento, una borsina bianca di tela lavorata, due camisce, una gonnella di scottino veneziano nero, due paia di scarpe di drappo, uno specchio verde, un manichino di pelle d’oro, un fazzoletto fiorato, due paia di calzette di seta rosse, due tovaglie da tavola, un mantesino, alcune fettucce, uno strappo di filo e una tabacchiera di creta della Regina. Sono i beni di una nobildonna di mezza età. Donna Aurora Perrone li passa in rassegna lentamente, uno ad uno, assicurandosi che nel tragitto non abbiano subito danni, ritirata com’è per esplicita volontà del marito, l’illustrissimo Giuseppe Accattatis da Scigliano, nel conservatorio di Gesù Maria in questa città di Cosenza. Aurora è accompagnata da una donna di servizio, anche lei forzosamente tradotta in convento. Mancano tre giorni al Natale del 1783.
SENZA VOCE | In un atto notarile custodito nella biblioteca comunale di Bianchi e fatto stilare da Giuseppe Accattatis in discarico del mio dovere, anche al fine di elencare ciò che le si assegna, si fa menzione del motivo che, nel giro di due mesi, ha reso necessaria la consegna di Aurora nelle mani della badessa dell’istituto cosentino: nell’ante passato mese di ottobre minacciarlo replicatamente della vita nella propria stanza. Oltre a ciò la donna, che intanto era fuggita in casa di alcuni congiunti, viene accusata di una confidenza esplicitamente proibita dal marito e di aver trafugato alcuni oggetti dalla casa coniugale. La narrazione è ovviamente tutta al maschile, delle parole di Aurora ovviamente non v’è traccia, solo un accenno, contenuto nello spazio di un rigo, relativo a una “esplorazione di volontà” da parte del marito. In un atto il cui fine è, generalmente, di ottenere la rinuncia a qualsiasi bene o eredità e dare avvio alle procedure per il trasferimento della donna in convento.
SACRIFICATE | Insofribile, orgogliosa. Bastano due aggettivi, dettati dal nobile Accattatis e impressi con decisione su pergamena, a descrivere il carattere di Aurora e, di conseguenza a decretarne la reclusione a tempo indeterminato in un uno di quei luoghi soliti a riceversi simili maritate. Donne recalcitranti, dure da piegare o, come riportano molti atti notarili della stessa epoca, insofribili, incorreggibili, mancanti in serietà, insensibili ai doveri. Il monastero di Gesù e Maria sorge agli inizi del Seicento sotto l’episcopato di monsignor Emilio Santoro, per iniziativa della nobildonna cosentina Giulia Dattilo che utilizza alcuni edifici di sua proprietà posti sulla sommità di colle Pancrazio. Ospita monache, educande e in genere donne di ceti diversi, intenzionate a intraprendere a una vita ritirata. Oppure costrette. Per varcare il portone del monastero servono 250 ducati di dote oltre a un vitalizio mensile. Soppresso agli inizi dell’Ottocento e riaperto pochi anni dopo, viene richiuso nuovamente nel periodo postunitario. Demolito intorno alla metà del Novecento, oggi dell’edificio non rimane più nulla. Ci sono poi le cosiddette «monache sacrificate», ovvero tutte coloro che per tutto il Settecento, come scrive la storica Renata Ciaccio in Risorse femminili «mal si adattavano a una vita scandita dalle regole e con dolore rinunziavano al loro ruolo di mogli e madri». Per volere delle famiglie vengono recluse nei monasteri delle Vergini e di Santa Chiara, situati entrambi nella parte alta della città e monopolizzati dall’aura nobiltà cosentina. In entrambi i casi la dote richiesta è di circa 400 ducati, oltre a un vitalizio mensile variabile dai 15 ai 30. Del destino di Aurora Perrone in seno al monastero della Motta non si ha alcuna notizia. Balzata alla storia tramite un atto notarile, svanisce nel baratro da cui era improvvisamente venuta. Forse sedotta dall’antico “parlar antimatrimoniale” della poetessa di Anversa, Anna Bijns: «Per quanti beni una fanciulla possa avere, la fede nuziale la incatenerà per la vita. Se al contrario rimane nubile con purezza e modestia in tutto, allora sarà padrona e signora».
Per approfondire:
– 1783. Giuseppe Accattatis rinchiude la propria moglie nel monastero di Cosenza per disubbidienza. Elenco di ciò che le si assegna, fondo Accattatis comune di Bianchi
– Anna Bijns, Unyoked is best! Happy the woman without a man
– Renata Ciaccio, Risorse femminili
– Lorenzo Coscarella, Esplorazioni cosentine
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