La cantina di Michele Nigro a Zumpano è sempre molto frequentata. La sera del 13 luglio 1913 il ventenne Antonio Giudice sta bevendo un bicchiere in compagnia degli amici. Sulla porta appare la figura del diciottenne Giorgio Carpino che saluta i presenti e si inoltra nel locale. Dal suo tavolo Antonio Giudice lo guarda torvo e comincia a sbeffeggiarlo a nascate, riproducendo il verso del maiale
– Per la madonna, tu fai a me una naschiata? A me nessuno l’ha fatta! – urla Carpino.
Antonio sembra non aspettare altro e si avventa sul rivale brandendo un coltello, ma Carpino è pronto a schivare il colpo e con una spinta lo manda a gambe levate. Appena si rimette in piedi cerca nuovamente di lanciarsi contro l’avversario ma il cantiniere interviene prontamente, lo blocca e caccia tutti e due dal locale. Alle urla dei clienti, Carolina Giudice, zia di Antonio, esce di casa e si precipita nella cantina a calmare il nipote e lo porta a casa. Per questa volta il sangue non si è mischiato al vino.
Ma qual è il motivo per il quale Antonio Giudice ce l’ha con Giorgio Carpino? Non è questione di donne o di soldi, più banalmente i due si contendono l’affitto di una casetta che Carpino ha preso in locazione proprio da Carolina Giudice, mentre Antonio la vorrebbe per sé e tenta in tutti i modi di fare andare via l’intruso. Racconta Carolina: A Giudice Antonio l’anno scorso diedi in fitto una casa con patto che doveva uscirne al settembre dell’anno in corso perché per tale epoca avevo impegnato la casa stessa per altra famiglia. Egli però in questi ultimi tempi aveva cominciato a dire di non volere uscire dalla casa, per cui gli detti la licenza con l’usciere. Nemmeno dopo la licenza si mostrò disposto ad uscire, che anzi pretendeva in fitto altra casa che io amministro con procura e che è di mia sorella Luisa Giudice, che si trova in America. Io, per espresso divieto di costei, non potevo dare in fitto la casa al Giudice, per cui la fittai a Carpino Giorgio. Dopo concluso il fitto, il Giudice pretendeva che il Carpino non andasse ad abitare la casa perché ci doveva andare ad abitare lui…
– Tu non devi venire alla casa di mia zia, se ci vieni verrà brutta… per tirare il grillo sono buono – urla Antonio mentre lo trascinano via.
– Donna Carolì, gliela potete dare la casa che non la voglio più – risponde Carpino dalla porta dell’osteria.
Poi tutto torna calmo a Zumpano.
La sera del 15 luglio, un gruppo di giovanotti sta cantando e ballando al suono di un’armonica e di una chitarra nel largo del Beato. Tra questi ci sono anche Giorgio Carpino e Cesare Giudice, il fratello di Antonio che si divertono spensieratamente insieme agli altri.
Ad un certo punto viene in mente a qualcuno di mandare a chiamare Antonio per fargli uno scherzo e di ciò si incarica il fratello. La casa non è lontana e Cesare arriva subito. Antonio è già a letto, stanco per la giornata nei campi, mentre sua moglie Rosina sta ricamando alla luce di un lumino.
– Antò, alzati e vieni in piazza che c’è uno che vuole parlarti…
– Chi è? Sono stanco e non ne ho voglia… magari domani…
– Non lo so chi è, vieni e non fare storie.
– Lascialo stare, la musica si sente da qui, non è orario di divertimento per un lavoratore sposato! – si intromette Rosina.
– Rosì, fatti i fatti tuoi, se voglio andare vado e basta!
– Non andare, finchè ti vesti…
– Ti ho detto di farti i fatti tuoi!
– Allora vieni o no? – insiste il fratello.
La tiritera dura un po’ e alla fine Antonio cede, si alza dal letto, si riveste e segue il fratello portandosi dietro un grosso bastone. Rosina, appena i due escono di casa, lascia il ricamo e si veste per seguirli. L’istinto le dice che c’è qualcosa che non va in quella baldoria.
Nel largo del Beato canti e balli impazzano. Antonio, appena arrivato, si mette a urlare sbafaldamente per coprire il suono degli strumenti:
– Chi è che mi ha chiamato? – poi al chiarore della luna vede Giorgio Carpino e gli si avvicina con fare minaccioso e continua a parlare – sei tu che mi hai chiamato? Che vieni a fare vicino la mia casa? Tu vuoi fessìare, un giorno o l’altro ci dovremo ammazzare! – quindi alza il bastone come per colpire Giorgio.
Temendo una nuova zuffa tra i due, qualcuno dei presenti si mette in mezzo mentre Antonio raccoglie un sasso da terra e lo lancia contro Giorgio, colpendolo a una spalla e poi si china per raccoglierne un altro. Giorgio, dietregianto dietregianto, si allontana un po’ e non appena Antonio gli tira il secondo sasso, caccia dalla tasca una rivoltella e fa fuoco.
Tutti rimangono immobili per qualche lunghissimo secondo, poi si scatena un fuggi fuggi generale. Nel largo del Beato non c’è più nessuno tranne Antonio che è steso per terra con una pallottola nella pancia.
Mentre sta percorrendo il breve tratto di strada per arrivare al Beato, Rosina sente la detonazione e poi il silenzio. Si mette le mani in faccia e accelera il passo. Un lamento nel silenzio la fa raggelare.
– Per la Madonna del Carmine m’ha ammazzato…
Rosina si butta sul marito mentre accorrono altre persone che hanno riacquistato coraggio. Antonio viene preso di peso e portato a casa sanguinante e intanto qualcuno va a chiamare il medico.
Per il dottor Luigi Pingitore la ferita è molto seria e pericolosa di vita. La pallottola calibro 7 è entrata tre dita sopra la zona inguinale destra e adesso è da qualche parte nell’addome di Antonio perché non c’è foro di uscita. Il ferito ha già qualche linea di febbre, si presenta un po’ abbattuto ed à conati di vomito, ciò che induce a sospettare che anche il peritoneo sia stato ferito.
Nonostante ciò Antonio è in grado di rispondere alle domande del Pretore, mentre i Carabinieri cominciano a cercare Giorgio Carpino, che è uccel di bosco.
Qualche testimone giura che prima dell’arrivo di Antonio al Beato, Giorgio Carpino si trastullasse con la rivoltella in mano. Qualcun altro, nei momenti successivi al fatto, è sicuro di aver sentito Giorgio Giudice, uno dei fratelli di Antonio, chiedere a Carpino perché avesse sparato e questi rispondergli a muso duro: Si faccia avanti chi vuole uscire. Ora si vedrà il coraggio di Giorgio Carpino!
Le condizioni di Antonio peggiorano a vista d’occhio e la mattina del 17 luglio muore.
– Io muoio per la casa di zia Carolina perché la prima inimicizia che è stata tra me e Giorgio Carpino è stata precisamente per la casa… queste, secondo Teresina Losso, sono state le ultime parole pronunciate da Antonio in punto di morte.
Adesso si procede per omicidio e anche la Questura si mette a cercare l’assassino.
Ed è proprio la Questura che la mattina del 18 luglio sorprende Giorgio Carpino in una casa colonica in contrada Padula di Zumpano e lo arresta.
– Antonio Giudice era un prepotente e da diverso tempo mi perseguitava e cercava occasione di attaccare quistione con me per il fatto della casa di sua zia. La sera del 15 mi ha tirato delle pietre, una delle quali mi ha colpito alla spalla sinistra e potete vedere ancora il segno, poi ha cercato di colpirmi col bastone. Si fu allora che io per intimorirlo gli esplosi il colpo di rivoltella. Appena mi fui accorto che il Giudice era stato ferito mi diedi alla fuga. Non è vero quindi che avessi continuato a passeggiare sulla via ed avessi sfidato i parenti del ferito a farsi innanzi. Respingo, pertanto, l’imputazione di omicidio che mi si ascrive…
In effetti una contusione alla spalla sinistra ce l’ha davvero e viene certificata dal medico chiamato apposta. I parenti della vittima, però, sono categorici nell’affermare che non fu Antonio a tirare i sassi, bensì uno dei fratelli dopo il ferimento. Altri testimoni giurano di non aver visto sassi nelle mani di Antonio, ma il segno c’è e qualcuno deve avergliela pur tirata quella benedetta sassata.
I Giudici non credono a una sola parola della difesa e, nel chiedere il rinvio a giudizio di Giorgio Carpino per omicidio, scrivono: In quanto poi all’intenzione omicida essa è affermata, nel modo più sicuro, dalla completa corrispondenza che si riscontra tra l’evento ed il mezzo adoperato, la parte colpita, la vicinanza dei contendenti, le condizioni del Giudice che, trattenuto, non poteva opporre alcuna difesa.
La Sezione d’Accusa sposa questa tesi e lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Di rinvio in rinvio si arriva al 16 marzo 1916 per l’emissione della sentenza di primo grado. La Giuria popolare non è d’accordo con le motivazioni che hanno portato Carpino a processo. Per i Giurati Giorgio Carpino ha esploso quel maledetto colpo di rivoltella per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da se una violenza attuale ed ingiusta. Quindi non è punibile. Anche il reato minore di porto abusivo di arma da fuoco decade per la recente amnistia e l’imputato viene immediatamente scarcerato.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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