Elina Chiappetta, una giovanetta di Marano, entra furtiva in chiesa, si guarda intorno nella penombra e non vede nessuno. Tira un sospiro di sollievo e pensa “meno male, nessuno mi vedrà”. Con passi veloci e felpati si avvicina al confessionale, anche li non c’è nessuno e può inginocchiarsi senza attendere.
– Buonasera padre… – sussurra.
Lo spioncino, contrariamente al solito, si apre del tutto.
– Sei tu! – il prete si affaccia con tutto il viso, guarda la giovane e sorride ma poi si fa subito serio. Anche don Diego Conforti è giovane, ma dimostra più anni di quanti non ne abbia in realtà per via della sua esagerata magrezza, per gli occhi cerchiati e la barba incolta – Che ci fai qui, ti vengo a trovare dopo – quasi la rimprovera.
– Signu vinuta ppè te dire ‘na cosa…..signu prena… – gli risponde sospirando e abbassando gli occhi. Quella confessione le costa uno sforzo immane.
– Cosa? – il viso di padre Diego è stravolto, ingigantito nello spioncino, gli occhi di fuori.
– Sini, finalmente ti l’haju dittu, aspetto un figlio tuo… da cinque mesi. E tu non si sei accorto di niente…
– Ma guarda tu sa puttana… e quannu m’u volìa dire… mannaja a tia e a chilla puttana ‘e mammata! – fa il prete dimenticando tanto il suo abito quanto il luogo sacro in cui si trova.
– Iu ‘un t’u vulia dire, è stata mamma ca…
– Va bene, va bene, torna a casa ché stasera passo – la liquida, imbestialito, poi chiude violentemente lo spioncino e torna nella canonica.
Elina si alza e va via. Si sente un po’ meglio. Finalmente ha confessato tutto, e finalmente, forse, ora quel diavolo con la veste da prete la lascerà in pace.
La sua storia era iniziata tre anni prima, la madre, per delle vicissitudini economiche, l’aveva costretta a prostituirsi, lei non ne aveva nessuna intenzione e aveva cercato di resistere, sognava un matrimonio d’amore e sperava di incontrare l’uomo giusto, ma non ci fu niente da fare e dovette subire questo giovane prete, che essendo cadetto di una ricca famiglia aveva vestito l’abito talare, al quale sua madre, invece, l’aveva praticamente venduta. Lui, il prete, faceva il suo mestiere a fatica e quando aveva ricevuto la proposta della mamma di Elina ne aveva subito approfittato; tutti avrebbero mantenuto il segreto perché a tutti faceva comodo e così avrebbe sfogato le sue frustrazioni. Elina era giovane, carina, forse un po’ sciocca, ma cosa gli importava?
Era solo una cosa da usare.
Elina da parte sua non ha mai accettato la situazione. Aveva vissuto e continuava a vivere con fatica e disperazione l’incubo che la madre le aveva creato, ma malgrado tutto credeva in Dio e sperava che il suo destino un giorno sarebbe cambiato.
Da quando ha scoperto di essere incinta, Elina vuole credere e sperare che la creatura nel suo grembo le porterà fortuna, che le porterà in dono la possibilità di una nuova vita. Lei le avrebbe dato tutto l’amore che aveva dentro e sarebbe stata una buona mamma, non come la sua e no, non avrebbe mai permesso che qualcuno potesse avvicinarsi alla sua creatura, non importa se sarà maschio o femmina, per farle del male. Ma soprattutto Elina spera che il prete la lascerà in pace una volta per tutte per trovare un’altra al posto suo.
È buio pesto quando Elina e la madre sentono aprire la porta. È padre Diego che, furtivamente entra e richiude dietro di sé l’uscio.
– Allora, che è sta storia? – attacca senza preamboli, senza nemmeno salutare.
– Bona sira, trasiti, accomodatevi don Diego! Ci l’aviti ccu nua ca mancu salutati? – lo rimprovera la madre di Elina, porgendogli una sedia.
Il prete non si siede, anzi cammina avanti e indietro per la stanza, poi si ferma accanto alla porta, impaziente. Guarda la sedia e come se questa fosse il suo interlocutore, risponde:
– No, le buone maniere sono finite quando vostra figlia ha deciso di incastrarmi dicendo che quello che porta è mio figlio, io sono sicuro che non è mio perché una puttana frequenta altri uomini e quindi non c’è sicurezza che sia mio. Voi sicuramente volete i miei soldi… pezzenti!
– E no, questo non l’ammetto, io sono una vittima, tua e di mia madre, ma sono una donna onesta. Solo un uomo ho conosciuto, te. Te solo e sicuramente non ti amo, anzi, per te non provo niente, quindi non voglio niente, neanche i tuoi soldi, voglio solo non vederti più – scatta con un moto di orgoglio Elina, appoggiata in piedi ad un lato del focolare e guardandolo, fiera della sua ribellione, negli occhi.
La madre a quelle parole sente svanire l’unica fonte di guadagno passato e futuro. Sicuramente la figlia è impazzita, quindi si intromette:
– Che, cosa dici? Statti cittu!
– Si, mamma io sono stanca, non lo voglio vedere più a questo… a questo… – risponde indicando il monaco con ampi gesti ma non trovando la parola giusta che possa ferirlo e umiliarlo. Ora sono tutti e tre, uno di fronte all’altro, al centro della stanza
– Ah! Benissimo! Ora ti ho dato anche fastidio… io credevo di averti dato solo agio, come voleva tua madre. Va bene, sono d’accordo, mi faccio da parte ma… – padre Diego coglie al volo la possibilità di disfarsi di gente scomoda, ma deve agire con calma e quella proprio gli manca.
Proprio in questo momento Elina comincia a sentirsi male e, piegandosi su se stessa, si accascia a terra. La madre le si stende accanto per darle soccorso, mentre con freddezza il prete le guarda e senza intervenire per aiutarla comincia a ideare un losco piano. Si avvia lentamente verso la porta e dice:
– Non ti preoccupare, ti porto un medicamento, sarà il mio ultimo atto di pietà verso due straccione, per questi anni passati assieme – e va via.
Dopo qualche ora, padre Diego torna portando una boccettina con un liquido verde che lui chiama medicamento. In quel momento Elina è a letto con forti dolori al ventre. È calma, la madre le sta accanto e le porge di tanto in tanto una ciotola di acqua. Il prete, rendendosi conto che nessuna delle due sembra avere intenzione di dare scandalo, decide di fare ciò che ha in mente velocemente. Lascia la medicina sul tavolo vicino alla porta e, senza dire una parola, chiude la porta alle sue spalle e va via.
Elina prende la medicina e quella sera stessa abortisce.
Trascorrono tre giorni e la madre di Elina si occupa di seppellire il piccolo feto. Ancora altri tre giorni e la povera Elina si rialza dal letto. Comincia a reagire. Dopo dolore, disperazione e pianto, perché lei amava quell’esserino che portava dentro di sé, ha il coraggio di prendere la sua vita in mano, ora sa quello che deve fare, si riveste e va a sporgere regolare denuncia.
Ma la madre non demorde, non vede altro modo di sopravvivere se non lo sfruttamento della figlia e nel tentativo di non perdere la fiducia del parroco lo avverte, ma sbaglia anche questa volta perché il prete, non appena sa quali sono le intenzioni di Elina, va su tutte le furie, si procura un paio di scoppiette e la sera stessa con fare furtivo, sgattaiolando da un angolo all’altro delle case, si avvicina alla porta di Elina, prende la mira e spara.
Per fortuna la sua mira non è buona e per di più la sua mano trema troppo per il nervosismo, così i colpi vanno a vuoto. Padre Diego, sudato, sconvolto, consapevole di avere fallito la sua occasione, cade pesantemente a terra mezzo svenuto, mentre in men che non si dica tutte le lanterne e candele delle case attorno si accendono e molti vicini escono a vedere cosa stia accadendo.
Lo trovano che sembra un pazzo, con gli occhi di fuori, fissi sulla porta di Elina e le scoppiette ancora fumanti accanto a lui.
La ragazza si affaccia sulla porta, indica il monaco agli uomini presenti e lo accusa:
– E’ stato lui a sparare, mi voleva ammazzare dopo che mi ha fatto abortire del figlio suo…
Padre Diego viene immediatamente circondato, preso e condotto di peso alla guarnigione militare, mentre qualcuno, durante il tragitto, vorrebbe linciarlo.
Davanti al capitano all’inizio è assente e ha gli occhi sempre fuori dalle orbite. Poi all’improvviso comincia a piangere, non regge più al peso della sua colpa e confessa. È il 1780 e tutti sapranno.[1]
[1] ASCS, Atti notarili.
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