ANTONIETTA RIFIUTA IL MATRIMONIO RIPARATORE

Rocco Barbaro, venticinquenne manovale da Palmi, è andato in Africa Orientale e spostandosi tra Massaua e l’Asmara dove ha lavorato come barista, autista, panettiere ed altro, in circa un anno ha realizzato cospicui guadagni che lui, vantandosi, stima in duecentomila lire, ma che più verosimilmente ammontano ad un centinaio di migliaia di lire. Il favore della fortuna (non potendosi solo al suo merito attribuire la posizione conseguita) lo convince che ormai gli eventi debbano piegarsi alla sua volontà, che nessun ostacolo possa frapporsi all’attuazione dei suo disegni e che un brillante avvenire non potrà mancargli se continuerà a spiegare la sua attività con coraggio e intrepidezza e con l’abituale sicurezza di riuscire in ogni impresa. Dovendo prepararsi ad una vita agiata e signorile, per prima cosa si fa costruire una palazzina nei pressi della stazione ferroviaria di Palmi, poi ritiene necessario sposarsi ma, bene inteso, non con una qualunque, bensì con una signorina che agli altri pregi aggiunga quello di una dote cospicua, proporzionata al suo patrimonio e destinata ad accrescere il fasto della sua nuova condizione. Questa idea trova il pieno sostegno di due giovani che, come lui, desidererebbero cambiare il proprio stato sociale sposando una benestante. Chi sono questi due giovani ardimentosi e spregiudicati? Uno è suo fratello Matteo e l’altro un loro intimo amico, Arnaldo Scalfari, figlio di un avvocato e pronto a dare suggerimenti e consigli circa le condizioni economiche delle famiglie agiate dei paesi vicini. I tre fanno la cernita delle signorine che, avendo i requisiti necessari, saranno chieste in sposa ed eventualmente, nel malaugurato caso di un rifiuto, rapite.

Decidono che il primo a sposarsi sarà Rocco e la prescelta è la ventenne Antonietta Pronestì di Cittanova, la cui famiglia è da poco tornata dall’America del Nord dove ha fatto fortuna gestendo una pensione per immigrati. E che fortuna! Antonio Pronestì e sua moglie Annunziata Fera, proprietari di beni rustici e urbani, hanno da poco maritato una figliola assegnandole una dote di centoventicinquemila lire, largheggiano in aiuti finanziari in favore di un’altra figliola già maritata e ad Antonietta hanno destinato la dote di duecentosettantamila lire! Queste dettagliate informazioni i tre giovani le hanno ricevute da un compare dei Barbaro, Girolamo Avenoso, appaltatore del peso pubblico di Cittanova, anch’egli scaltro, avveduto, spregiudicato e capace di sostenere le più difficili simulazioni. Il passo successivo, a questo punto, è fare una formale richiesta di matrimonio ai genitori di Antonietta e i tre pensano che la persona più adatta a presentarsi in casa Pronestì sia Girolamo Avenoso, che immediatamente esegue la sua missione descrivendo Rocco Barbaro come giovane di eccezionali qualità morali e fisiche, ma sottolineando soprattutto la cospicua entità del patrimonio che Rocco si è costituito in Africa. La proposta però viene nettamente e sdegnosamente respinta, motivando così il rifiuto:

Abbiamo già rifiutato le proposte fatte da medici, avvocati ed altri professionisti perché abbiamo in mente di procurarle un collocamento invidiabile sotto ogni riguardo e non ci rassegneremmo mai a darla in sposa ad un oscuro manovale, sia pure provvisto di una forte somma di denaro!

Certo, far presentare la richiesta ad un personaggio chiacchierato come Gaetano Avenoso non è stata la scelta più azzeccata, ma Rocco Barbaro, suo fratello e l’amico Scalfari non si scoraggiano e pensano di mettere in atto la soluzione di riserva: rapire Antonietta e mettere i genitori davanti al fatto compiuto per costringerli ad acconsentire al matrimonio riparatore. Ovviamente per realizzare il progetto c’è bisogno di un piano efficace che renda tutto facile e che eviti i pericoli a cui potrebbero andare incontro. Innanzi tutto ci vuole un’automobile e i tre, per prudenza, decidono di noleggiarne una a Messina; poi ci vuole un autista e la persona adatta è il loro intimo amico Giuseppe Santoro, pregiudicato sottoposto all’obbligo della libertà vigilata. Ora bisogna scegliere il giorno ed il luogo e per farlo bisogna che Giuseppe Avenoso controlli i movimenti di Antonietta Pronestì. Ecco, il giorno prescelto è la mattina di domenica 23 gennaio 1938, quando la signorina andrà a messa nella chiesa matrice di Cittanova insieme alla cameriera Mattea Minasi.

È tutto pronto. Giuseppe Santoro parcheggia la Balilla nella piazza di Cittanova, precisamente all’incrocio tra Via Roma e Via Santa Caterina. I fratelli Barbaro controllano le rivoltelle da usare solo in casi estremi e guardano nervosamente verso la porta della chiesa, poi entrano nel Caffè di Girolamo Alfì dove li aspetta Avenoso.

– Dai, facciamo presto altrimenti la lepre scappa! – dice Rocco alludendo cripticamente alla giovane, mentre continua a guardare verso la porta della chiesa.

Non temete perché ancora la lepre non è uscita dalla tana! – gli risponde, sicuro di sé, Avenoso, poi i tre si salutano e i fratelli Barbaro risalgono in macchina.

Sono le dieci. Ecco, Antonietta esce con la cameriera. I fratelli Barbaro saltano giù dalla macchina e, con movimenti rapidi malgrado la folla di fedeli che stanno uscendo sulla piazza, fanno indietreggiare la vettura, quindi si lanciano sulla giovinetta, la sollevano di peso, la trasportano così fino alla macchina, dandole dei pugni in testa per stordirla ed impedirle di gridare e resistere, aprono la portiera e cercano di farla entrare. Ma Antonietta, seppure nel terrore del momento, mossa dall’istinto di conservazione, si aggrappa al tetto della vettura e questo fa perdere tempo ai rapitori, dandolo invece a Giuseppe Gaglianò, aitante e coraggioso cugino della giovane, che si lancia verso la macchina e, incurante delle armi che i fratelli Barbaro gli spianano contro, afferra la cugina per le vesti. C’è una breve ma aspra colluttazione e alla fine i fratelli devono battere in ritirata, anche perché la folla intorno a loro comincia a farsi minacciosa e così, malgrado le intimidazioni e le minacce con le armi per fare allontanare Gaglianò, Antonietta riesce a liberarsi e può essere riportata a casa, mentre i suoi aggressori scappano a bordo della Balilla.

Oltre ad alcune ecchimosi che guariscono in qualche giorno, Antonietta, dopo aver corso il serio pericolo di essere rapita da un volgare avventuriero, entra in uno stato di shock post emozionale con tremore alle palpebre socchiuse, alle dita protese e alla lingua. Ma sono sotto shock anche i genitori, che temono, vista l’audacia dimostrata da Rocco Barbaro, possa ritentare di rapire la figlia, evidentemente attirato dalla dote.

In questa situazione i Carabinieri di Taurianova, al comando del valoroso Maresciallo Saverio Laganà, vigilano sulla famiglia, per quanto umanamente è possibile, al fine di scongiurare il pericolo di un nuovo assalto. Ma i Pronestì ormai vivono nel terrore e non permettono ad Antonietta di mettere piede fuori dalla soglia di casa.

I fratelli Barbaro e Arnaldo Scalfari, intanto, irrequieti più che mai, fanno diversi viaggi a Napoli per noleggiare un’altra autovettura e Rocco, per sviare da sé l’attenzione dei Pronestì e dei Carabinieri, viaggia tra Reggio Calabria, Trieste, Messina e Roma. Poi fa spargere la voce che lui ed il fratello se ne sono andati all’estero, ma invece lavorano segretamente con Scalfari al progetto di un nuovo piano per rapire Antonietta che, visto il fiasco del primo tentativo, questa volta dovrà essere portato a termine con la cooperazione di numerose persone debitamente armate, soprattutto con la massima precisione nei singoli dettagli e con perfetto sincronismo tra le diverse operazioni che dovranno, con tutta sicurezza, condurre al buon esito finale. Ed al progetto lavorano per cinque mesi. Verso la metà di giugno 1938 la preparazione è completata con l’acquisto di un’automobile, di una motocicletta e l’approntamento di un centro operativo in località Pontevecchio, dove il 17 giugno si riuniscono, oltre ai fratelli Barbaro e Arnaldo Scalfari, Matteo Zoccoli alias “Carnera”, Santo Di Condina, Salvatore Carrozza, Domenico D’Agostino e Giuseppe Tripodina, cugino dei Barbaro. Adesso non resta cha aspettare l’occasione propizia, che arriva subito: il 20 giugno i tre vengono informati che il giorno dopo Antonietta, sua madre e sua sorella Giulia andranno in automobile a Locri. L’agguato sarà teso al loro ritorno in località Zomaro dove, con l’automobile e la motocicletta, si trasferisce la banda, i cui componenti si appostano nella boscaglia limitrofa alla strada rotabile in attesa dell’arrivo di Antonietta Pronestì.

Le ore passano, ma dell’autovettura non c’è traccia. Insospettiti, Matteo Barbaro e Domenico D’Agostino montano sulla motocicletta e corrono a Cittanova per informarsi da un loro complice, Domenico Franconeri, cieco da un occhio, che è rimasto in paese a controllare i movimenti dei Pronestì e dei Carabinieri.

State tranquilli, la vettura non è ancora tornata – li rassicura e i due ripartono a tutta velocità, superano il punto dell’agguato e scendono verso Locri per accertarsi che la macchina stia percorrendo la strada in salita e finalmente, verso le 19,30, la incrociano, invertono subito la marcia e superano l’automobile guidata da Alfonso Cangemi, con a bordo anche Domenico Marvasi che dovrà aiutare, insieme all’autista, a respingere una possibile aggressione. Le sorelle Pronestì e la loro madre si accorgono della manovra della motocicletta e cominciano a preoccuparsi. Matteo Barbaro e D’Agostino arrivano sullo Zomaro e avvisano gli altri che la macchina sta per arrivare. E infatti poco dopo arriva. Rocco Barbaro ed i suoi compagni escono dai nascondigli e cominciano a sparare dei colpi di fucile in aria, poi si mettono in mezzo alla strada e puntano le armi verso l’autovettura, intimando all’autista di fermarsi. Cangemi blocca la macchina e scende con le mani alzate, seguito da Marvasi, che urla ai banditi:

Pigliatevela! Pigliatevela!

Giuseppe Tripodina taglia le gomme della macchina, Matteo Barbaro frantuma i vetri delle portiere e tutti gli altri si danno ad afferrare Antonietta per strapparla dalle braccia della madre e della sorella che la trattengono con sforzi sovrumani.

Attenti alla madre! – urla Rocco Barbaro, temendo che la donna abbia con sé un’arma e ha ragione, ma la donna, per trattenere la figlia non può prenderla e allora Rocco, visto che le cose vanno per le lunghe, ordina – Menate! Menate! Rompetele le braccia!

Allora D’Agostino e Zoccoli colpiscono la madre con il calcio dei fucili, le strappano la borsetta (nella quale troveranno una rivoltella e cinquemilacentocinquanta lire, di cui si approprieranno) e riescono a staccarla dalla figlia trascinandola fuori dalla macchina e buttandola a terra. Anche Giulia Pronestì viene malmenata e staccata dalla sorella, della quale le rimane stretta nel pugno una ciocca di capelli.

Antonietta viene presa e fatta salire a forza sulla macchina dei Barbaro con parte della banda, che sfreccia in direzione di Taurianova. Matteo Barbaro, Carmelo Zoccoli e Salvatore Carrozza li seguono a bordo della motocicletta. Lungo il viaggio Rocco decide di dare una dimostrazione della sua spavalderia e ordina che la macchina entri a Taurianova e passi davanti alla caserma dei Carabinieri per irridere il Maresciallo Laganà, poi, ridendo sguaiatamente, si inoltrano nella campagna circostante, ma la macchina è costretta a fermarsi quando davanti si trova il fiume, impossibile da attraversare. Rocco ordina ai suoi compari di lasciarlo da solo con Antonietta e, costrettala a stendersi sul sedile posteriore, la violenta. Compiuto l’atto brutale, Rocco ha cura di asciugare con un fazzoletto gli organi genitali della giovane e di presentarle dinanzi agli occhi il fazzoletto intriso di sangue, come trofeo di vittoria e prova sicura che ella ha ormai perduto la verginità.

Dopo circa un’ora i compari tornano alla macchina e si rivolgono al bifolco Salvatore Anamann per farli traghettare sul suo carro trainato dai buoi. Poi proseguono a piedi e ad un certo punto i compari di Rocco se ne vanno per conto loro, mentre lui ed Antonietta proseguono fino alla casetta colonica di Giuseppe Colosi dove, accolti come amici, trascorrono la notte e tutto il giorno successivo, durante il quale Antonietta viene violentata altre due volte. Dopo ciò Rocco Barbaro decide che è il momento di rientrare a casa sua a Palmi ma, siccome per le vie di terra c’è il pericolo di incontrare i Carabinieri, pensa di arrivare a Palmi via mare con una piccola barca che Antonio Colosi, il fratello di Giuseppe, gli noleggia. Arrivati a casa trovano tutta la famiglia Barbaro che fa loro le più vive accoglienze, sicuri, nel loro concetto, che a distanza di qualche giorno sarà celebrato il matrimonio.

Ma c’è un problema: Rocco viene avvisato che i Carabinieri sospettano che sia rientrato a Palmi e potrebbero, da un momento all’altro, fare irruzione in casa per arrestarlo. Bisogna allontanarsi e bisogna farlo ancora per mare con una barchetta che li porta alla marina di Gioia Tauro dove, appena sbarcati, si dirigono verso il vigneto del suo amico, conosciuto in Africa, Vincenzo Chiappalone. Trascorrono la notte in una baracca nel vigneto e Antonietta viene violentata per la quarta volta ed è in uno stato pietoso, sfinita per botte ricevute, le violenze subite e per il lungo camminare ha l’interno delle cosce spellato per lo sfregamento. Rocco allora prende a noleggio un’autovettura e vanno a Rosarno, dove cenano a casa di Domenico Cunsolo e Vincenzo Puntoriero, dopo di che Antonietta sembra cedere e dice al rapitore che diventerà sua moglie, ma vuole andare subito a casa sua per preparare i genitori al matrimonio. È fatta, ha ceduto, finalmente! I due, con la vettura guidata da Matteo Barbaro corrono a Cittanova e si fermano in casa di Domenico Marvaso. Antonietta chiede che sia mandata a chiamare sua sorella Giulia e questa li porta a casa sua, dove le sorelle ottengono il permesso di restare da sole per parlare tra di loro. Poi Giulia esce dicendo che va a casa dei genitori a prendere dei vestiti per Antonietta.

Rocco, raggiante per il successo ottenuto, abbocca e la manda da sola, così Giulia ha la possibilità di mandare una persona fidata ad avvisare il Maresciallo Laganà, che si precipita con i suoi uomini a casa di Giulia Pronestì e arresta Rocco Barbaro. Antonietta è libera ed esclama:

Ora che lo hanno arrestato, lo uccidano pure!

Antonietta ha dimostrato un carattere ed una forza fuori dal comune dal momento in cui fu rapita a quello in cui ha parlato segretamente con la sorella, dandole l’incarico di far chiamare i Carabinieri e racconta in poche parole la sua disavventura, che la segnerà per tutta la vita:

Non solo non ho mai avuto occasione di trattare con lui per una qualsiasi ragione, ma addirittura non lo avevo mai visto prima! Se nessun rapporto ho mai avuto con lui, non è pensabile che mi attaccassi a lui pel sol fatto di essere stata da lui rapita in modo così atroce ed oltraggioso e, quindi, costretta con violenza per ben quattro volte, a congiunzione carnale. Quando, sulla montagna ha conseguito il materiale possesso del mio corpo, si è presentato dicendomi semplicemente “Sono Rocco Barbaro” e quando di lì a poco mi violentò, non ha trovato altro modo come conquistare il cuore di una donna, se non presentandomi il fazzoletto inzuppato di sangue. Dapprima dimostrai di essere rimasta disgustata del modo indegno con cui mi trattava, ma lui non si curava di tale disgusto e mi propose di andare a Napoli per tenermi più a lungo a sua disposizione e chi sa dopo quanto tempo ed in quali condizioni mi avrebbe fatto rientrare a casa. Allora mutai disegno e mi mostrai remissiva e condiscendente, facendogli intendere che ormai ero determinata a sposarlo e perciò era necessario tornare a Cittanova per preparare il matrimonio. Lui ha abboccato e…

Rocco Barbaro dice il contrario: era da circa tre anni che la corteggiava, che qualche volta avevano parlato e che lei gli aveva dato ad intendere che gli piaceva, ma tutte le circostanze che narra risultano inventate e le persone che cita lo smentiscono. Sul fatto che sia stata sua l’iniziativa di rapirla e che sia stato lui a violentarla non ci sono dubbi e Rocco Barbaro si dedica con particolare impegno ad alleggerire il più possibile la posizione delle 26 (ventisei) persone che lo hanno aiutato, e che vengono man mano individuate e arrestate, a commettere una serie lunghissima di reati per raggiungere lo scopo, impossibile da riepilogare.

L’11 marzo 1939 Rocco Barbaro e gli altri 26 vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Locri.

La causa si discute il 14 dicembre 1939, ma Matteo Barbaro, Arnaldo Scalfari e Vincenzo Chiappalone non si presentano in aula e vengono dichiarati contumaci. Sarebbe troppo lungo e noioso riportare i ragionamenti che la Corte fa su ogni singolo imputato, ma è importante riepilogare ciò che dice a proposito di Rocco Barbaro, accusato tra l’altro di sequestro di persona e plagio, che si determinò all’impresa criminosa con l’unico scopo di contrarre matrimonio con Antonietta Pronestì, confidando, con sicurezza, che avvenuta l’unione dei corpi, sia pure per effetto di brutale violenza, l’orgoglio della giovane sarebbe stato fiaccato ed ella avrebbe accettato il maschio come marito o, per lo meno, lo avrebbe tollerato come tale per tutta la vita. Di natura impulsiva e prepotente, egli non concepiva che la giovane, dopo il ratto, potesse rifiutarsi di sposarlo, di sposare lui, Rocco Barbaro, il fortunato barista ed avventuriero dell’Africa Orientale, destinato, per i suoi rari pregi morali, ad un fastoso avvenire. La signorina, poi, aveva forme venuste; i genitori non potevano mancare di costituirle una ricca dote; l’affare prometteva bene e, quindi, egli vi si ingolfò con tutta la potenza dell’anima. Non fu però mai suo intendimento di impossessarsi della persona della Pronestì per costringere lei o i suoi genitori a sborsargli una somma a titolo di liberazione; non ebbe mai in mente di privare la giovane della libertà di movimento o di locomozione a fine di conseguire per altri un illecito profitto, né fu egli animato da altra intenzione all’infuori di quella di costringere la giovane al matrimonio, onde va escluso che egli avesse agito a fine di sottoporre la Pronestì al proprio potere, di ridurla in totale stato di soggezione, cioè di farsene una schiava, avendone egli, invece, limitato per breve periodo di tempo la libertà personale solo per quanto esigeva il fine di costringerla alle nozze. Le imputazioni di sequestro di persona e plagio non trovano, quindi alcun fondamento.

È tutto, si può passare ad elencare le condanne e le assoluzioni.

La Corte condanna:

Barbaro Rocco ad anni 26 e mesi 8 di reclusione, più mesi 4 di arresto.

Santoro Giuseppe e Longo Giuseppe ad anni 6 e mesi 10 di reclusione.

Barbaro Matteo e Avenoso Girolamo ad anni 19 di reclusione e mesi 4 di arresto.

Scalfari Arnaldo ad anni 23 di reclusione e mesi 4 di arresto.

Tripodina Giuseppe e Di Condina Santo ad anni 17 e mesi 5 di reclusione, più mesi 4 di arresto.

D’Agostino Domenico ad anni 20 e mesi 8 di reclusione, più lire 1333 di multa e mesi 4 di arresto.

Zoccoli Carmelo ad anni 16 e mesi 8 di reclusione, più lire 1333 di multa e mesi 4 di arresto.

Carrozza Salvatore e Iannelli Giuseppe ad anni 13 e mesi 5 di reclusione, più mesi 4 di arresto.

Adornato Salvatore e Franconeri Domenico ad anni 1 e mesi 6 di reclusione.

Per tutti le spese, i danni e le pene accessorie.

La Corte assolve Principato Martino, Di Giorgio Antonio, Tripodina Vincenzo, Barbaro Vincenzo, Barbaro Antonino, Barbaro Francesco, Corica Pasquale, Sorrenti Francesco, Anamman Salvatore, Colosi Giuseppe, Cunsolo Domenico, Chiappalone Vincenzo fu Domenico, Chiappalone Vincenzo di Vincenzo e Puntoriero Vincenzo.[1]

Il caso di Antonietta Pronestì, così come quelli di tante altre donne – ce ne furono parecchie – che rifiutarono il matrimonio riparatore, non ebbe alcuna risonanza mediatica e per parlare di una donna, ritenuta la prima, che rifiutò di sposare il suo sequestratore e violentatore bisognerà aspettare il 26 dicembre 1965 quando Franca Viola fu rapita e violentata dal suo ex fidanzato, aiutato da dodici amici. All’epoca il Codice Penale, all’art. 544, recitava: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Nemmeno l’indignazione per la vicenda dell’allora diciottenne Franca riuscì a smuovere i legislatori e ci vollero altri 16 anni perché questo obbrobrio venisse cancellato con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.