Verso le 16,30 del 15 gennaio 1936 Giuseppe Posteraro, contadino di Mongrassano, mentre sta tornando dalla campagna si ferma in contrada Calderai a salutare la sua procugina Carolina Genovese, che gli offre dei lupini. Poco dopo Giuseppe saluta e si incammina verso casa, accompagnato con lo sguardo da Carolina, ferma davanti alla porta di casa. Deve fare appena un centinaio di metri, ma fatti appena una ventina di passi, all’improvviso gli si para davanti il compaesano Francesco Bianco, sbucato non si sa donde, che brandendo una scure gli dice:
– L’hai fatta tu la terra o l’ho fatta io? – poi gli vibra un primo colpo alla testa e continua a dire – Ti piace questo? Pigliati questo! – e giù un altro colpo. Una volta che Giuseppe è caduto a terra e Carolina, ripresasi dalla sorpresa e dallo spavento, fa per gridare per chiedere aiuto, l’aggressore fa qualche passo verso di lei con la scure alzata. La donna, a questa esplicita minaccia, fa segno che starà zitta e Francesco Bianco si allontana guardingo, dandosi alla macchia.
Allontanatosi l’aggressore, Carolina corre alla casa più vicina per chiedere aiuto, ma nel frattempo Giuseppe, rialzatosi, si trascina in casa della procugina ed è qui che lo trovano i soccorritori, che poi lo sorreggono e lo accompagnano fino a casa. Tutto sommato sembra essere andata bene, Giuseppe è ancora un po’ stordito e sia la moglie che i presenti, osservati i due tagli superficiali prodotti dai colpi di scure, non ritengono opportuno chiamare il medico.
– Ma avete avuto parole? – gli chiede la moglie.
– No, è stato all’improvviso – le risponde.
Intanto, avvisati, arrivano i Carabinieri che interrogano il ferito e adesso comincia a chiarirsi l’inspiegabile aggressione:
– Con Bianco, che mi ha aggredito all’improvviso, non ho mai avuto questioni. Egli ha voluto, però, sfogare un rancore che covava nei miei confronti, mal sopportando che io avessi avuto in colonia quello stesso fondo che, un tempo, era stato di proprietà del suocero, che se l’era dovuto vendere per debiti e che Bianco agognava di avere…
Il mattino dopo Giuseppe non sta bene e deve essere portato dal medico in paese per ricevere le prime cure che, per essere forse tardive, non impediscono che la ferita riportata alla regione occipitale sinistra vada in suppurazione e che la suppurazione, trasmessa per le vie linfatiche, trasmetta il processo suppurativo alle meningi e dia luogo ad una meningite suppurativa. Le sue condizioni purtroppo si aggravano di ora in ora e, nel primo pomeriggio del 18 gennaio, Giuseppe muore. Adesso non si tratta più di lesioni prodotte con arma, ma di omicidio preterintenzionale. Di Francesco Bianco, però, non si hanno ancora notizie, notizie che arrivano il 22 gennaio con un telegramma da Cosenza: il latitante, fermato casualmente per un normale controllo, è stato arrestato in città e interrogato:
– Ho commesso il delitto perché, trovandomi casualmente a passare dal viottolo che attraversa il fondo di Carolina Genovese, Posteraro tentò di impedirmi il passo ingiungendomi di tornare indietro dicendomi: “Voltati che qui non c’è la via per te”. Irritato perché non gli ubbidii, mi si scagliò contro con la scure di cui era armato producendomi una lesione, già guarita, onde io reagendo lo disarmai e con la stessa scure lo colpii al capo e, vistolo cadere, me ne scappai, senza darmi cura di accertare se Posteraro fosse vivo o morto.
– Quindi state dicendo che voi non avevate una scure quel giorno?
– Anche io avevo la scure quel giorno…
– Avevate avuto, in passato, questioni con Posteraro?
– No, mai.
In seguito alla dichiarazione di Bianco viene interrogata Carolina Genovese, l’unica testimone oculare presente al fatto:
– Posteraro stava per avviarsi allorché, improvvisamente, Bianco gli tirò un colpo.
– Bianco sostiene invece che Posteraro gli ingiunse di non passare da lì.
– Ripeto, l’aggressione fu fulminea e Bianco colpì Posteraro senza che questi avesse avuto il tempo di dire parola alcuna.
– Bianco ha detto anche che ci fu una colluttazione e che lui disarmò Posteraro e poi lo colpì.
– Nessuna colluttazione ci fu fra i due.
– Quindi Bianco si era nascosto per aggredire Posteraro?
– Ritengo, data l’improvvisa apparizione di Bianco e la fulminea aggressione, che sia sbucato fuori da alcuni macigni antistanti la mia casa di abitazione, dove penso si sia nascosto per aggredire Posteraro.
– Bianco passava spesso davanti la vostra casa? Ne aveva necessità?
– Bianco nessun motivo aveva di passare da casa mia.
I Carabinieri di Mongrassano, nel frattempo, hanno individuato un altro possibile movente e ritengono che Bianco avesse agito per vendetta in quanto, avendo subito nel settembre 1935 una perquisizione domiciliare in seguito ad un furto subito da Posteraro, aveva probabilmente potuto credere che Posteraro l’avesse indicato a sospetto autore del furto in suo danno, onde il naturale rancore e la conseguenziale vendetta. Poi viene fuori il fatto che, nel corso del 1935, Bianco, colono del fondo che era stato di proprietà del suocero, fu sfrattato per inadempienza contrattuale dal nuovo proprietario, che fece subentrare Giuseppe Posteraro nella colonia. E questa circostanza potrebbe rappresentare un rafforzativo del movente supposto dalla vittima prima di morire. Vedremo.
Quando il fascicolo viene trasmesso in Procura, gli inquirenti, dalle modalità del fatto, dall’arma usata e dalla parte del corpo presa di mira, si convincono che Francesco Bianco non ha colpito per ledere Posteraro, ma ha colpito con la precisa volontà di uccidere e il Giudice Istruttore, concordando con questa tesi, lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio.
La causa si discute il 7 ottobre 1936. Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato per omicidio, la difesa, al contrario, ne chiede l’assoluzione per avere agito in stato di legittima difesa o in subordine la concessione della diminuente dell’eccesso colposo di legittima difesa o, ancora più in subordine, di derubricare il reato in omicidio preterintenzionale.
La Corte osserva che non per malinteso eclettismo, ma per quel costrutto logico che deve trarre dalla serena ed obbiettiva valutazione di tutti gli elementi che offre il processo, non può accogliere in pieno né la richiesta del Pubblico Ministero, né l’istanza della difesa, peccando l’una e l’altra di eccessività.
E spiega: una pronunzia che affermasse la responsabilità per omicidio volontario, più che informata a severità, sarebbe eccessiva ed erronea perché tutte le modalità che accompagnano il fatto delittuoso dimostrano all’evidenza che il Bianco, nell’aggredire il Posteraro, non se ne propose la strage, ma volle soltanto ferirlo. A prescindere dalla mancanza di una causale proporzionata in quanto non sarebbe spinta sufficiente per uccidere un uomo con cui si è avuta pratica di amicizia, il fatto che il fondicello posseduto a titolo di colonia dalla vittima fosse stato un tempo di proprietà del suocero dell’omicida; o il fatto che dal detto fondicello l’omicida fosse stato, in corso d’anno, sfrattato e poscia concesso in sua vece alla vittima, come farebbe supporre la frase pronunziata da Bianco prima di ferire: “l’hai fatta tu (cioè coltivata) la terra o l’ho fatta io?”; o, finalmente, il fatto che l’omicida abbia potuto credere che la vittima l’avesse sospettato di furto. A prescindere che il prevenuto non ha precedenti condanne e la sua vita ante acta non assicura della di lui capacità alla violenza bestiale ed al truce delitto di sangue. A prescindere, inoltre, che i Carabinieri ebbero a denunziarlo quale responsabile di omicidio preterintenzionale nonostante la loro abitudine di veder nero.
In fin dei conti questo ragionamento, rafforzato soprattutto dalla deposizione di Carolina Genovese, serve anche a smontare la tesi della difesa tendente ad ottenere l’assoluzione di Francesco Bianco per legittima difesa o, in subordine, la condanna per eccesso colposo di legittima difesa.
Né si potrebbe, eventualmente, sostenere che Bianco avesse agito nello stato d’ira determinato da fatto ingiusto della vittima, a meno che non voglia specularsi, quale remoto motivo di provocazione, la circostanza della invidiata colonia, la quale non potrebbe valere come motivo legale ai fini della diminuente, mancando l’estremo dell’ingiustizia del fatto altrui, tenuto conto che non è ingiusto o ingiurioso che si accetti in colonia il fondo da cui altri è stato sfrattato.
È tutto, non resta che, affermata la responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio preterintenzionale, determinare la pena. La Corte, in considerazione della gravità del fatto, delle conseguenze fatali, essendo la vittima padre di ben sei creature, della pravità di animo mostrata dall’imputato, stima equo condannarlo alla pena della reclusione per anni 16. Oltre, naturalmente, alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.