LA MASSIMA VENDETTA POSSIBILE

Filomena Presta, una contadina nata ad Orsomarso che si è trasferita con la famiglia a Mormanno, ha sedici anni quando, nel 1943, inizia ad amoreggiare col diciottenne studente Battista Perrone. Il giovanotto viene presto ammesso dai genitori di Filomena a frequentarne la casa e sembra proprio che ci siano tutti i presupposti per convolare a nozze, ovviamente quando Battista avrà completato gli studi. Passano così tre anni e nel mese di dicembre 1946, mentre i due fidanzati sono da soli in una casetta di campagna, vincendo la resistenza di Filomena, Battista le toglie la verginità.

La ragazza ovviamente non dice niente a nessuno, tantomeno ai genitori, ma subito dopo Battista tronca l’amoreggiamento e la frequentazione della casa di Filomena.

– Perché non mi vuoi vedere più? Ci dobbiamo sposare! – gli dice ogni volta che lo vede.

– Quanta fretta che hai! Non sono pronto per il matrimonio! – le risponde.

– Non sei pronto? Te lo dico io perché: ti senti soddisfatto di avermi già posseduta, non è vero?

Battista, come sempre, sbuffa e se ne va. Poi la verità viene a galla: si è fidanzato ufficialmente con la diciassettenne Carmela! Contemporaneamente a Mormanno comincia a girare la voce che Filomena ha avuto una figlia da Battista, ma lui non perde tempo a precisare di non essere il padre, facendo così intendere che il fatto è vero e non solo una delle tante cattiverie che la gente mette in giro in qualsiasi luogo si trovi.

– Non è vero che ho avuto una figlia, la voce l’ha messa in giro Battista per vantarsi di avermi goduta! – protesta Filomena.

Molto arrabbiata per questa calunnia, nel mese di febbraio del 1947, Filomena va a cercare Battista e, incontratolo per strada, col proposito di intimorirlo e farlo così determinare ad adempiere l’antico impegno di matrimonio, estrae un coltello e sventolandolo in aria cerca di avvicinarsi. Battista, preso evidentemente da paura, scappa e racconta l’episodio in piazza, senza denunciarla.

È la sera del 14 giugno 1947 e Filomena, che ha ormai perduto del tutto ogni speranza per sé, dato il di lui fidanzamento ufficiale con Carmela, va ben oltre nella sua ostilità verso il mancatore di fede verso di lei.

Filomena è nella chiesa di San Rocco per ascoltare la messa che si celebra in occasione della festa; vede entrare Carmela con a fianco la madre e dietro di loro Battista. Accecata dall’ira, tira fuori un coltello ben lungo, che da un po’ di tempo porta sempre con sé nascosto sotto la blusa, e si lancia verso l’ex fidanzato brandendo l’arma. In chiesa si alzano le urla di terrore dei fedeli e tutti scappano cercando riparo. Battista è come paralizzato mentre guarda Filomena, trasfigurata a tal punto da sembrare il diavolo in persona che profana il luogo sacro, mentre gli salta addosso e lo colpisce quattro volte, una allo stomaco, una al lato destro del costato, una alla mammella destra e l’ultima all’orecchio destro. Battista è a terra, confuso e sanguinante, incapace di difendersi da quella furia scatenata. Filomena gli è sopra e lo guarda con gli occhi iniettati di sangue mentre sta per dargli il colpo di grazia; le narici le si sono dilatate e sbuffano come un toro mentre alza il braccio armato per dargli il colpo mortale con tutta la forza che ha, quando una mano possente le afferra il polso e glielo torce. Una smorfia di dolore e la mano si apre lasciando cadere il coltello. Battista è salvo e se la caverà in un mesetto, mentre Filomena viene arrestata.

Avrei colpito ancora fino a finirlo, se non mi avessero tolto l’arma – ammette candidamente. E per lei questa ammissione è un problema serio perché si procede per tentato omicidio. Ma c’è un altro problema per Filomena: dopo il ferimento, Battista si ricorda dell’altra volta che Filomena lo aggredì a mano armata e la denuncia per tentate lesioni con coltello.

La ragazza, ormai ventenne, viene interrogata altre due volte e solo nel terzo interrogatorio si decide a raccontare di essere stata violentata, però precisa: “è successo solo quella volta e poi non mi ha più toccata”. Anche se è passato troppo tempo per poter stabilire se ci fu o meno violenza, viene comunque disposta una perizia per accertare se Filomena è adusata al coito. Ma la perizia si risolve in un niente di fatto perché il medico che la visita dichiara di avere riscontrato in lei imene di costituzione tale da non sentire modificazioni, ossia rottura, per coito anche ripetuto. Filomena è clinicamente vergine e quindi, è vero o no che Battista la violentò? Gli inquirenti danno fiducia alla ragazza, anche perché molti testimoni raccontano le vanterie pubbliche di Battista.

Il 26 giugno 1948 Filomena viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari e il dibattimento è fissato per il 25 gennaio 1949.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: i due fatti del febbraio e del giugno 1947 sono stati commessi da Filomena Presta, per come, in sostanza, ella stessa ha ammesso. Ma poi precisa: il tentativo di lesioni con arma, imputato per il febbraio 1947, va però meglio definito minaccia con arma giacché nulla è risultato che dimostri abbia ella voluto e preso a fare, in maniera univoca, per intaccare l’integrità fisica di Perrone ed invece ella stessa ha spiegato che voleva intimorirlo, cosa più logica a ritenersi. L’altro fatto, invece, deve restare definito come in rubrica, non potendosi dubitare dell’intenzione omicida della Presta, sia perché ella stessa lo ebbe a dichiarare esplicitamente nelle sue prime risposte, sia perché la reiterazione dei colpi con l’arma insidiosissima in parti vitali, rivela appunto l’intenzione di trarre la massima vendetta contro colui che non le dava più speranza di sposarla e che, sia pure indirettamente, le aveva procurato la fama di avere avuto una figlia illegittima con lui.

L’ultima affermazione della Corte apre la porta alla concessione di attenuanti: merita ella, pel tentato omicidio, le attenuanti dei motivi di particolare valore morale e della provocazione, che la Corte ritiene poter concorrere e dover derivare dai precedenti fra i due, ben vivi sempre a turbare l’animo dell’imputata; e merita, altresì, per l’età giovanile e la incensuratezza precedente, le attenuanti generiche, sia pel reato stesso, sia per l’altro di minaccia.

Ora, partendo dai 21 anni di reclusione della pena base prevista per il tentato omicidio, la Corte stima equo infliggere a Filomena Presta anni 7 di reclusione, più mesi 1 e giorni 15 di reclusione per la minaccia a mano armata. Ma bisogna ancora scomputare le attenuanti concesse e la pena effettiva è di anni 2 per il tentato omicidio e mesi 1 per la minaccia, oltre alle pene accessorie, spese e danni.[1]

L’onore e salvo e per fortuna non c’è scappato il morto!

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.