
Maria Sinopoli, da Satriano in provincia di Catanzaro, ha 24 anni quando, nell’autunno del 1948, ha una relazione carnale con il calzolaio Remolo Mellace, di un anno più giovane, e resta incinta. Nel mese di gennaio del 1949, purtroppo, abortisce spontaneamente cosicché della sua gravidanza, sinora tenuta nascosta, ne vengono a conoscenza i suoi genitori, i quali si adoperano affinché fra i due giovani venga scambiata promessa di nozze. All’inizio Remolo Mellace, pur ammettendo di aver deflorato Maria, cerca di insinuare il dubbio che a metterla incinta sia stato qualcun altro ma poi, anche per l’opera di convincimento dei suoi genitori, finisce per acconsentire a fidanzarsi ufficialmente e comincia a frequentare la casa di Maria, dove addirittura consuma i pasti mattina e sera.
Ci sarebbe anche una data di massima per celebrare le nozze: dicembre 1949. Ma questo è quello che va dicendo la famiglia di Maria, perché secondo Remolo l’accordo prevede che i fidanzati convoleranno a nozze quando sarà pronto il corredo.
Forse è a causa di questa divergenza di vedute che nell’estate del 1949 Remolo comincia a manifestare segni di stanchezza e di allontanamento e più Maria ed i suoi genitori insistono perché le pubblicazioni matrimoniali vengano fatte al più presto e più Remolo si allontana. Quello che è certo, è che dal 27 settembre 1949 i rapporti fra i due fidanzati e le loro famiglie subiscono un brusco raffreddamento, ma non ne conosciamo il motivo preciso.
5 ottobre 1949, ore 19,00. Un giovanotto bussa alla caserma dei Carabinieri di Satriano e, ansimando per la corsa fatta, dice al Maresciallo che Remolo Mellace è stato ferito al viso con due colpi di arma da taglio e che adesso è a casa sua in attesa del medico. Il Maresciallo si precipita a casa di Mellace e si fa raccontare chi è stato a ferirlo e come sono andati i fatti:
– Sono stato avvicinato da una bambina ed invitato a recarmi in casa di sua madre, Caterina Chiaravalloti, che desiderava conferire con me. Recatomi a casa della Chiaravalloti, vi ho trovato il fratello Antonio, che poco dopo è stato fatto allontanare. Subito sono entrati Maria Sinopoli, il fratello Ottavio e la madre Maria Concetta Tirinato. Questi ultimi due, senza infierire alcuna discussione, si sono scagliati su di me e, mentre la Tirinato mi ha afferrato per il petto e la Chiaravalloti mi tratteneva le mani, Ottavio Sinopoli mi ha colpito al viso con un’arma da taglio ed Ercolina alle spalle con un paio di forbici – termina mostrando una lieve escoriazione sulla spalla sinistra.
Per i quattro parte subito la denuncia per lesioni personali con sfregio permanente, aggravate dalla premeditazione. Caterina Chiaravalloti e Maria Concetta Tirinato vengono subito arrestate, ma di Ottavio e Maria Sinopoli per il momento non c’è traccia, poi il giorno dopo si presentano in caserma.
– Nel pomeriggio di ieri si presentò la bambina di Caterina Chiaravalloti dicendomi che Remolo Mellace era a casa sua e desiderava avere alcuni oggetti necessari per completare un paio di scarpe che aveva promesso di confezionarmi. Io mi adontai per il fatto che Remolo non si era presentato personalmente e pertanto rimandai indietro la bambina. Subito dopo, però, decisi di recarmi a casa della Chiaravalloti sapendo essere colà Mellace e mi incamminai ignorando che mio fratello e mia madre mi seguivano. Giunta al cospetto di Mellace lo apostrofai violentemente e lo colpii leggermente alla spalla con una forbice trovata sul tavolo. In quell’istante sopraggiunse mio fratello che lo colpì con un oggetto tagliente ed escludo che mia madre lo trattenne – racconta Maria.
– Ritiratomi dalla campagna, sentii i miei familiari litigare con Remolo Mellace in casa di Caterina Chiaravalloti e quindi intervenni vibrando due colpi al seduttore di mia sorella con un coltello. Mia madre non ha fatto niente contro Mellace – racconta Ottavio Sinopoli, contraddicendo in parte la sorella.
– Ho seguito mia figlia, che aveva deciso di recarsi in casa della Chiaravalloti, al fine di intromettermi affinché non avessero luogo scenate con Mellace e non è vero che lo trattenevo mentre mio figlio lo colpiva – giura Maria Concetta Tirinato.
– Non è vero che ho fatto chiamare Mellace per mezzo della mia figlioletta perché lui si presentò spontaneamente in casa mia, siccome solito a frequentarla quale antico discepolo di mio marito. È vero che Mellace inviò la mia figlioletta presso Maria Sinopoli per farsi dare alcuni oggetti necessari per completare la confezione di un paio di scarpe. Poco dopo giunsero Maria, la madre e Ottavio. Dopo breve discussione i due fratelli colpirono Mellace rispettivamente con una forbice alla spalla e con un arnese tagliente al viso. Maria Concetta Tirinato non solo non partecipò all’aggressione, quanto rimproverò i figli per quello che avevano fatto. Io fui colta di sorpresa dalla improvvisa scena e mi astenni dal parteciparvi – giura Caterina Chiaravalloti.
Per gli inquirenti le cose andarono come ha raccontato Remolo Mellace e i quattro imputati vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro.
La causa si discute il 3 marzo 1950 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: la figura della parte lesa Remolo Mellace è tutt’altro che limpida e il suo comportamento precedente al fatto è alquanto riprovevole. Dalle informazioni raccolte la fanciulla appare essere di buona moralità e, d’altra parte, è evidente che il Mellace ed i suoi familiari non si sarebbero indotti a concludere il fidanzamento se avessero avuto anche lontani dubbi in ordine all’attribuzione della gravidanza. Tanto premesso, va criticato – sotto il profilo morale – il comportamento del Mellace che, certamente stanco e pentito del vincolo contratto, cercava di allontanarsi dalla fidanzata. Vero è che egli giustifica sé stesso affermando di essere stato messo fuori casa dai Sinopoli per non aver voluto aderire all’invito di procedere al più presto alle pubblicazioni matrimoniali. Tuttavia è facile affermare che la famiglia Sinopoli, che aveva tutto l’interesse a non aggravare la situazione, non avrebbe in tal modo agito se non si fosse accorta di un evidente raffreddamento da parte del giovane. Consegue che le dichiarazioni di quest’ultimo vanno disattese là dove non trovano conforto nelle dichiarazioni di altri testi o nelle risultanze delle indagini, siccome espressione dell’evidente intendimento di aggravare la situazione degli avversari. Così non può dirsi essere stata provata la circostanza che egli sia stato chiamato in casa della Chiaravalloti per mezzo della bambina. Viceversa è provato che quest’ultima venne inviata dal Mellace presso Maria Sinopoli. È questa la più convincente ricostruzione dei fatti e la più aderente al complesso delle deposizioni e pertanto viene meno l’aggravante della premeditazione. Quanto all’azione dei fratelli Sinopoli, devesi ritenere che gli stessi, irritati dal comportamento del Mellace, si siano improvvisamente determinati ad infliggere a Mellace una lezione. Essi, pertanto (lo dimostrano tutte le circostanze dell’azione) agirono in concorso e perciò debbono rispondere dello stesso reato. È accertato che al Mellace è residuato sfregio permanente, come ha potuto constatare questa Corte. I fratelli Sinopoli agirono nello stato d’ira determinato dal comportamento altamente riprovevole del Mellace che, dopo avere disonorato la ragazza ed essere stato per mesi il commensale di casa Sinopoli, aveva cercato di allontanarsi, e compete loro la relativa attenuante. Competono anche le attenuanti generiche per i loro ottimi precedenti. A Maria Sinopoli può anche accordarsi l’attenuante della minima importanza nell’esecuzione del reato (lieve escoriazione alla spalla). Vanno assolte con formula ampia Caterina Chiaravalloti e Maria Concetta Tirinato.
È tutto, non resta che quantificare le pene da comminare a Maria e Ottavio Sinopoli.
Stimasi congrua la pena base di anni 6 di reclusione, ridotta ad anni 4 per la prima attenuante e ad anni 2 e mesi 8 per la seconda. Ridotta ancora ad anni 2 nei confronti della sola Maria Sinopoli per effetto della terza attenuante. L’applicazione del condono di cui al D.P. 23 dicembre 1949 n. 935 agisce sulla intera pena inflitta a Maria Sinopoli e su anni 2 della pena inflitta a Ottavio Sinopoli, che resta così fissata in mesi 8 di reclusione. Per entrambi le spese e i danni.
In ultimo, la Corte ordina la scarcerazione di Maria Sinopoli, di sua madre Maria Concetta Tirinato e Caterina Chiaravalloti.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.