
La sera del 22 giugno 1936 il sessantottenne Battista Groppa sta tornando con la moglie dalla campagna quando, nei pressi della chiesa di Frascineto, vede Andrea Croccia e Alessandro Policastro seduti su di un muretto. Passando davanti ai due, Battista lancia a Croccia uno sguardo carico di odio e disprezzo e prosegue, ma dopo poco torna indietro e, senza pronunziar parola, con rapidità fulminea estrae dalla tasca una pistola automatica e spara contro Croccia sei o sette colpi, ferendolo con due di essi in modo grave e mettendolo in pericolo di vita.
Perché? Cosa diavolo gli è saltato in mente? Per scoprirlo bisogna tornare indietro di un paio di anni quando, nel 1934, Battista Groppa, con la stessa pistola, aveva già attentato alla vita di Andrea Croccia, senza nemmeno ferirlo, provocando la reazione della mancata vittima, motivo per il quale i due furono processati dal Tribunale di Castrovillari e, mentre Groccia fu condannato per tentate lesioni, l’avversario fu assolto dalla stessa accusa per non aver commesso il fatto in quanto fu provato che la ferita ad un dito riportata da Groppa se l’era fatta da solo. Le indagini svolte nel 1934 accertarono che Groppa aveva, nella sua mente alterata, supposto un’aggressione ai suoi danni da parte dell’avversario, risultata inesistente.
Ancora non ne sappiamo granché, manca sempre il movente. Andiamo avanti: Battista è iscritto al partito fascista e non tollera che Croccia, mutilato degli arti inferiori per ferita di guerra, non militi nello stesso partito. Da qui l’insorgere di un odio profondo e implacabile, culminato nei due tentativi di ammazzarlo.
– Sono stato indotto a sparargli dal convincimento incrollabile di essere vittima della persecuzione del mio avversario e di coloro che con lui seguono le dottrine comuniste – dichiara ai Carabinieri dopo il suo arresto.
Battista Groppa viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari per rispondere di tentato omicidio volontario e porto abusivo di pistola (ci sarebbe da chiedere come mai non gli fu sequestrata nel 1934).
Durante la carcerazione preventiva il medico delle carceri ed il Capo Guardia si accorgono che qualcosa in Battista Groppa non va e finalmente segnalano manifestazioni più concrete e più certe di alienazione mentale.
La causa si discute il 21 gennaio 1939 e Groppa, interrogato, ribadisce in modo scomposto:
– Appena sarò rimesso in libertà ucciderò Andrea Croccia perché sovversivo!
Per la Corte la scompostezza mostrata dall’imputato sia nel muoversi durante l’interrogatorio, sia per il proposito annunciato, sono segni palesi di disordine psichico e di squilibrio, per cui aderisce alla richiesta immediatamente avanzata dalla difesa di sottoporlo a perizia psichiatrica.
Attraverso una lunga e diligente osservazione del soggetto, gli alienisti incaricati della perizia concludono che Battista Groppa è affetto da demenza consecutiva a paranoia cronica, già esistente nel momento in cui egli ha commesso il fatto, e come tale incapace di intendere e, soprattutto, di volere. Groppa, a causa della sua mente inferma, in preda a fenomeni allucinatori e idee deliranti ed in balìa di sé, potrebbe ricadere in atti antisociali, per cui s’impone il permanente ricovero in un manicomio.
La causa può tornare in aula, ma questa volta presso la Corte d’Assise di Cosenza, e, visto il risultato della perizia, tutte le parti costituite chiedono, ovviamente, l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, con il conseguente internamento in manicomio dell’imputato.
A questo punto la Corte osserva: gli accertamenti eseguiti su Groppa con ammirevole scrupolo e grande serietà d’indagine scientifica dai medici alienisti debbono essere accettati in pieno, non potendosi dubitare che l’azione criminosa a lui ascritta rappresenti l’espressione di un determinismo morboso nella sua genesi, nei suoi componenti e nella sua estrinsecazione. Già pareva strano che senza nessuna causale, e soltanto per divergenze di orientamento politico, la mano del Groppa si fosse per due volte armata contro il mutilato Croccia, al quale è stata attribuita dall’imputato un’aggressione immaginaria. Più strana pareva la tenace persistenza del Groppa nel proposito sempre fermo di sopprimere il presunto avversario. I periti chiariscono, ad esuberanza, questo stato d’animo del soggetto e dimostrano come esso sia il portato di una vera e propria coazione delirante, in dipendenza della quale s’è creata una tensione così morbosamente esaltata da sboccare nella violenza e nel delitto, delitto a cui Groppa giunse senza comprendere e valutare la natura e l’entità dei propri atti.
Ritenuto che, dovendosi pronunziare l’assoluzione dell’imputato che non è imputabile, resta preclusa al magistrato penale ogni possibilità di statuire sui danni richiesti dalla parte civile, danni sui quali è consentita la declaratoria in sede penale solo quando sia emessa sentenza di condanna, come prescrive la legge.
Ritenuto che, essendo il Groppa segnalato come pericoloso e ricorrendo qui, in ogni caso, l’ipotesi della pericolosità presunta, conviene disporre, come misura di sicurezza, il ricovero in un manicomio giudiziario senza alcun termine di durata, secondo la richiesta del Pubblico Ministero, perché tale termine è demandato alla valutazione del giudice di sorveglianza.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.