IL GETTO DELL’ACQUA

È la mattina del 4 ottobre 1899 quando il Brigadiere Salvatore Imbriani, comandante la stazione di Fuscaldo, ed il Carabiniere Stefano Molinazzi entrano in casa di Michele Picariello, industrioso nato a Caserta, e vengono accompagnati al capezzale dell’uomo, ferito un paio di ore prima a colpi di rivoltella.

– Allora, Picariello, cosa è successo? – gli fa il Brigadiere e l’uomo racconta la sua versione dei fatti.

Uscivo dalla mia bottega in via Passo quando vidi certo Salvatore Lanzillotta che dalla finestra della sua abitazione sparò contro di me sei colpi di rivoltella, due dei quali mi hanno colpito alla spalla destra e alla gamba, trapassandomi il membro virile. Indi Lanzillotta, uscito in mezzo alla via con un fucile a due colpi stava per spararmi ancora, ma non riuscì nell’intento perché mi ricoverai nella mia bottega.

– E perché vi ha sparato?

Lanzillotta nutre dei vecchi rancori contro di me – poi non aggiunge più niente e comincia a lamentarsi per il dolore. Le ferite non sono gravi, tanto che il medico le giudica guaribili in una ventina di giorni, ma comportano comunque la riserva della prognosi.

Imbriani mette alcuni dei suoi uomini alla caccia di Lanzillotta e con il Carabiniere Molinazzi comincia i rilievi sul luogo del delitto per trovare i riscontri alla dichiarazione del ferito, così riesce a stabilire che la distanza da cui sparò Lanzillotta contro Picariello è di circa quattro metri e sulla soglia della bottega del ferito ci sono i segni ove colpirono i proiettili. Inoltre reperta un proiettile schiacciato e altri due glieli consegna un ragazzino che li aveva trovati poco prima. Poi interroga alcune persone che abitano nei pressi della bottega.

Ho sentito diversi colpi di rivoltella e, accorso, ho visto Salvatore Lanzillotta che fuggiva con un fucile in mano – racconta il calzolaio Angelo Grosso.

Vidi Picariello e la moglie, Concetta Vilardi, che discorrevano nanti la loro bottega e nel contempo vidi Salvatore Lanzillotta il quale, senza profferire verbo, sparò cinque colpi con un revolver in direzione dei coniugi, alcuni dei quali colpirono Picariello che cadde per terra. Lanzillotta uscì in mezzo alla via armato di un fucile a due canne e rivolse a Picariello le parole “cornuto fricato, neanche sei morto!” e gli rivolse contro il fucile, ma non fece partire il colpo perché, alla vista degli agenti della forza pubblica, si diede alla fuga… – dice il sarto Gioacchino Pompeo. Ma i particolari della presenza sulla scena della moglie del ferito e degli agenti della forza pubblica come mai Picariello non li ha riferiti? E poi, chi sono questi agenti, dato che i Carabinieri sono stati avvertiti dopo che il fatto era avvenuto? Altre circostanze da chiarire, vedremo.

Intanto Salvatore Lanzillotta viene arrestato in casa dell’anziana Caterina Siciliano, portato in caserma e interrogato:

È vero che ho sparato diversi colpi di rivoltella contro Picariello, però non è vero che mi sia armato di fucile e che con questo abbia minacciato Picariello.

– Perché lo hai fatto?

Perché pochi minuti prima Picariello si adontò perché io, da una finestra di casa mia per necessità buttai dell’acqua nella pubblica via e lui mi rivolse le parole “Strunzu, qui non dovete gettare acqua” io gli feci conoscere che non aveva diritto di ciò fare e Picariello profferì le parole “bevila tu l’acqua e tutti i mortacci tuoi!”. Dietro tale nuova offesa, visto che Picariello pure era armato di fucile e che si levò l’arma dalla spalla, credendo che mi voleva sparare, mi decisi a sparare prima io

– Hai testimoni che hanno visto e sentito il diverbio?

– No…

E questo è un problema serio per Lanzillotta, che viene denunciato per tentato omicidio premeditato. Viene denunciata anche l’anziana Caterina Siciliano per favoreggiamento, ma subito dopo i Carabinieri precisano che è del tutto estranea al favoreggiamento perché cieca e non vide il Lanzillotta quando si rifugiò nella sua casa, avendo costui trovata la porta aperta.

Poi il Pretore interroga di nuovo Lanzillotta per chiarire le poche parole che ha riferito ai Carabinieri e comincia il suo racconto da lontano.

Da circa tre anni che sono tornato in Fuscaldo dopo aver fatto il militare e quasi ogni giorno sono avvenuti litigi fra me e Picariello ed io ho cercato, con la mia pazienza, di non fare grosse quistioni. L’origine dei continui litigi rimonta a quando io, in seguito ai reclami del mio colono Francesco Cascardo, sparai un gallo di Picariello che arrecava continui danni all’orto attiguo alla mia abitazione. Non solo il gallo, ma anche le galline di Picariello devastavano l’ortaglio ed il semenzato e il colono abbandonò il fondo. Dopo questo fatto Picariello prese ad odiarmi e non tralasciava occasione per dir male di me e per provocarmi. Ricordo, tra l’altro, che un anno e mezzo fa egli, parlando con Maddalena Garritano ed accennando al suicidio di mio padre, disse che costui si era ucciso per debiti e che io e tutti i miei avremmo dovuto fare la stessa fine. Un’altra volta minacciò di uccidermi, quando io con una pietra feci allontanare delle galline da un muretto che cinge il pianerottolo innanzi una mia abitazione, galline che avevano reso quel luogo un vero letamaio, tanto che gli inquilini fuggivano.

– Avete i testimoni di questi fatti?

– Sì.

– Ditemi della mattina del fatto.

Quella mattina, contro le mie abitudini, andai a lavarmi sul parapetto della finestra di una stanzetta che non frequento troppo e gettai dell’acqua nel sottostante viottolo, a cui soltanto io e il signor Giuseppe Valenza abbiamo il diritto di accedere. Questo fatto dispiacque alla moglie di Picariello, che ha la bottega a pochi passi dal viottolo, e dopo aver fatto gli occhi torvi andò a riferirlo al marito. Picariello, uscito dalla bottega col fucile ad armacollo, si rivolse a me dicendo “strunzo, qui non si getta acqua perché qui ci abito io”. Quando gli feci osservare che quel luogo era di mia proprietà e potevo gettare quello che meglio mi pareva, egli insisté nel dire che non dovevo gettare l’acqua, soggiungendo “se non hai dove buttare l’acqua, bevila tu e i mortacci tuoi!”. Mi risentii con altre parole e quando vidi ch’egli fece l’atto di togliersi dalla spalla il fucile per spianarlo contro di me, presi una rivoltella attaccata al muro, a portata di mano, e ne esplosi non so quanti colpi contro il mio avversario, che era distante da me circa tre metri, tenuto conto che io mi trovavo alla finestra ed egli al primo gradino della scala che mena alla sua bottega. Non avevo intenzione di ucciderlo perché, in questo caso, avrei fatto uso del fucile, arma più sicura del revolver, che avevo nella stessa stanza.

– Picariello e alcuni testimoni hanno riferito che siete sceso in strada con il fucile per sparare ancora e poi, mentre scappavate, avete apostrofato Picariello con l’epiteto di cornuto fricato

– Non è vero, mi diedi alla fuga senza avere il fucile e non dissi niente a Picariello.

– C’era qualcuno presente al fatto?

Al momento dell’alterco e quando sparai non vi erano testimoni, se non vado errato. Invece quando sono uscito di casa per fuggire, parmi di aver veduto Majo Mariantonia ed il marito Vincenzo Martini, nonché Grosso Angelo.

Poi fornisce un elenco di testimoni che possono confermare i trascorsi tra lui e Picariello.

Lanzillotta ha fornito circostanze precise e anche Picariello adesso deve spiegare alcune cose.

La mattina del fatto, verso le sei e mezza, mi posi il fucile sulla spalla per recarmi alla Marina, onde sapere dall’ufficiale postale se era venuta la mia nomina a portalettere della Borgata. Prima, però, mi recai nella bottega tenuta da mia moglie, posta proprio di fianco all’abitazione di Salvatore Lanzillotta e, nell’uscire dalla bottega, da una finestra che non si era aperta da che il di lui padre si suicidò, cioè da circa sette anni, mi scaricò addosso i sei colpi di una rivoltella. Mentre, con l’aiuto di mia moglie, cercavo di far ritorno a casa, Lanzillotta, uscito di casa armato di fucile per darsi alla fuga, spianò l’arma contro di me per finirmi esclamando “curnutu fricatu, ancora non sei morto?” e non pose in esecuzione questo suo proposito perché vide accorrere gente.

Quindi, secondo la sua nuova versione dei fatti, il fucile lo aveva. Picariello conferma l’uccisione del gallo e la sparizione di numerosa galline e aggiunge di avere ricevuto molte minacce, l’ultima delle quali appena tre giorni prima del fatto.

Sono passati ormai venti giorni e Lanzillotta chiede di essere interrogato perché ha nuove e importanti dichiarazioni da fare, consistenti nel citare alcuni testimoni, finora sconosciuti, che avrebbero sentito le parole ingiuriose e provocanti dette al suo indirizzo tanto da Picariello che dalla moglie. E se i testi citati le dovessero confermare, la sua situazione processuale cambierebbe radicalmente. Ma Picariello, che nel frattempo è quasi del tutto guarito, non ci sta e produce istanze su istanze per evitare che siano accettati come testimoni a discarico Rosina Grosso, serva di Lanzillotta, ed il suo nipotino Antonio Nesi perché istruiti su cosa dire dalla mantenuta dell’imputato, tra l’altro nemica acerrima di Picariello e sua moglie. “Perché questi testimoni Lanzillotta non l’ha messi prima? Perché non è vero questo fatto dell’acqua”, conclude. Vedremo.

Intanto al Pretore, il giorno prima di interrogare Rosina Grosso ed il nipotino, arriva una strana e lunga lettera anonima:

Egregio Signor Pretore

questi due testimone che verranno domani cioè Rosina Grossi e Antonio Nesi dovete vedere che alla mandenuta ce fa dei servizi e quasi tutto li giorni sono dove filomena de Santis e questa filomena a dato dei comprementi a questi due di dire che erano sopra il fatto, che al picarello ci avessi cettato laqua della finestra, non vi erano di nessuna manera e il primo che era quando la sparato ci era Giacchino Ponpei e Francesco u furino e nessuno piu. al piccolo Nesi ci sta facendo la scuola come adadire e non a da scarare nessuna parola sinò lo dice asalvatore e dice ti dono soldi fico castagni e non farti scandagliarti del pretore. Di tutti i testimoni si manda informando come vianno detto e gnuno testimone ci manda che quando esce si regola e per paura i povere testimone non dicono la verita.

Poi l’anonimo elenca una lunga serie di minacce che Lanzillotta avrebbe fatto in passato a Picariello e narra di strani incontri in carcere. Il Pretore resta perplesso davanti a tanta dovizia di particolari e convoca Piacariello per chiedergli se sia lui l’autore della lettera e, ovviamente, ottiene una secca risposta negativa.

Le deposizioni dei testimoni citati da Lanzillotta non vanno come l’imputato sperava e, anzi, Maria Del Corno, rischia la denuncia per falsa testimonianza, ma prima viene messa a confronto con Battista Carnevale, da lei citato:

CARNEVALE: Non puoi mettere in dubbio che parecchi giorni or sono, discorrendo con te alla contrada Pantano, affermasti di non essere stata presente quando Lanzillotta scaricò la rivoltella contro Picariello e che aveva subito soggiunto un tuo figliolino “io c’ero e vidi Lanzillotta buttare acqua dalla finestra”. Tu gli facesti segno di tacere aggiungendo che non erano cose che gli riguardavano.

DEL CORNO: È proprio così come tu dici ed io rimproverai mio figlio perché egli affermava cosa che non poteva affermare, trovandosi, al momento dell’esplosione dei colpi, insieme a me in casa di Martini Vincenzo. non so dar ragione del perché mio figlio riferì una circostanza di cui certamente non poteva avere contezza per propria scienza, quando si trovava con me in casa di Martini.

Nonostante ciò Lanzillotta ribadisce che tra lui e Picariello ci fu un alterco e solo dopo essere stato offeso sparò, aggiungendo di essere esasperato da tutti i disprezzi che Picariello faceva al suo defunto genitore, augurando a lui ed ai suoi l’istessa morte.

Picariello, da parte sua, continua a presentare esposti su esposti per delegittimare ogni testimone citato da Lanzillotta, citandone altre decine a sua volta.

Il 22 marzo 1900 la Sezione d’Accusa emette la sentenza di rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Cosenza e per Lanzillotta è una vera e propria mazzata:

per avere, a fine di uccidere e con premeditazione, esploso vari colpi di rivoltella contro Picariello Michele, cagionandogli varie lesioni senza seguirne la morte per circostanze indipendenti dalla volontà di esso Lanzillotta, il quale compiva tutto ciò che era necessario perché la morte fosse avvenuta.

E poi c’è il porto abusivo di arma da fuoco.

La causa si discute il 21 maggio 1900 e le cose per Lanzillotta cambiano radicalmente perché dall’esito del dibattimento sia il Pubblico Ministero che la Corte si convincono non solo che l’imputato non avesse premeditato di uccidere, ma che non avesse avuto nemmeno l’intenzione di uccidere. La sua intenzione era quella di produrgli una lesione personale dopo essere stato gravemente offeso. Esattamente ciò che Lanzillotta ha sostenuto dal primo momento.

Ne consegue che, riconosciuta l’attenuante della provocazione, la Corte condanna Lanzillotta Salvatore ad anni 3, mesi 8 e giorni 17 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.

Il primo agosto 1900 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato da Lanzillotta.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.