
Verso le 6,30 del 3 gennaio 1913 a Greenwich – Connecticut, USA – è ancora notte e c’è una nebbia fittissima. Vincenzo Crea, Domenico Deniso, Francesco Pennetti e Natale Biondi stanno andando al lavoro percorrendo una stradina di terra battuta, che per la pioggia è ridotta ad un acquitrino fangoso. Camminano in fila indiana cercando di evitare le pozze di fango. Incontrano due ragazze e poi un paio di altri lavoratori e ad un certo punto raggiungono e sorpassano un altro viandante. Crea, che è l’ultimo della fila, lo saluta in inglese ma con evidente accento italiano e nel tentativo di evitare una pozzanghera lo urta facendolo andare con un piede nel fango.
– Che diamine, la strada è abbastanza larga per passarci! Io bado ai fatti miei e se tu non badi ai tuoi ti porto a Greenwich! – risponde l’americano, perché è evidente che lo sia, intendendo che lo avrebbe portato alla prigione di Greenwich.
A questa minaccia Crea va su tutte le furie e lo insulta:
– Figlio di puttana!
Ne segue un acceso diverbio e, alla fine, Crea caccia di tasca una rivoltella e spara un colpo quasi a bruciapelo all’avversario, che cade nel fango morto stecchito.
Gli altri tre, che nel frattempo hanno continuato a camminare, udita la detonazione si fermano, Crea li raggiunge di corsa e dice:
– Ho ucciso quell’uomo, voi non sapete niente, non mi tradite! – poi sparisce nella nebbia e di lui si perdono le tracce.
L’uomo ucciso si chiamava John Taylor e quando sul posto arriva la polizia, dalle prime testimonianze raccolte il fatto viene ricostruito come abbiamo appena letto, ma non c’è certezza e Deniso, Pennetti e Biondi finiscono in galera come sospetti autori dell’omicidio in correità con Crea.
Le poche certezze sullo svolgimento dei fatti calano vistosamente quando vengono rintracciate e interrogate altre persone che in quegli stessi momenti percorrevano la stessa strada. Adesso parrebbe che gli italiani non fossero quattro ma tre, che Crea non fosse l’ultimo della fila e non fu lui che uccise Taylor perché probabilmente nemmeno era sul posto, ma uno degli altri tre.
Tra le due versioni del fatto gli inquirenti sembrano propendere per quella fornita dagli arrestati e li interrogano a lungo per mettere in evidenza eventuali contraddizioni.
Il primo a sedersi davanti al Coroner John J. Phelan è Natale Biondi, che abitava nella stessa camera con Crea, fittata loro da Antonio Palmisano, e risulta essere il più vicino a Crea quando incontrarono Taylor, quindi colui il quale dovrebbe saperne di più sul fatto. Nel corso dell’interrogatorio emerge che i quattro incontrarono lungo la strada alcune ragazze e il magistrato insiste su questo punto perché sembra che ci fossero due gruppetti di ragazze quella mattina su quella strada.
– Quando raggiungeste le due ragazze, era con voi Crea?
– No.
– Dov’era andato allora?
– Dopo aver sparato era fuggito e non so esattamente quale strada abbia preso.
– Come sapete che Crea uccise quell’uomo?
– Perché era con noi e noi incontrammo quell’uomo. Egli si fermò e parlò con lui ed io proseguii qualche passo avanti senza scambiare parole od altro.
– Avete sentito cosa si dissero Crea e Taylor?
– La sola cosa che sentii fu che Crea disse “buon giorno” e l’altro rispose in americano ma io non lo capii, non lo so, non vi furono vie di fatto fra loro. È tutto quello che so…
– Quanto eravate distante, in avanti, da Crea e Taylor quando avete sentito i colpi? Sette o otto metri?
– Non saprei, era notte, può essere un po’ di più, può essere un po’ di meno…
– E non avete sentito quel che rispose Taylor?
– Sentii che parlavano, ma non so di che, non li capivo. Taylor parlava americano e non lo capivo. La strada era piena d’acque e dovevamo badare a dove mettevamo i piedi!
– Avete sentito parole d’ira fra loro?
– Non so niente di parole d’ira. Credo che l’americano fosse in collera, ma non so esattamente cosa si dicessero. La sola cosa che ricordo quando tornai a sera, fu che Palmisano mi disse che Crea gli aveva detto che l’americano aveva cercato di picchiarlo ed egli si era difeso.
– Siete stato voi il primo a raggiungere Taylor o Crea?
– Fui io e l’ho oltrepassato. Crea raggiunse Taylor e si fermò. Io continuai a camminare.
– E non avete sentito niente…
– No.
– Vi siete fermato quando avete sentito il colpo?
– Sì, mi son voltato per vedere cos’era successo ma non vidi più nessuno, né parlare e né altro.
– Siete tornato indietro dove erano Crea e Taylor?
– No, ebbi paura, se fossi tornato indietro e mi fossi avvicinato avrei potuto essere colpito anch’io. Poi ho incontrato alcuni americani che dissero “buongiorno, cosa è successo?” e io risposi “io non so niente”.
– Crea non è venuto verso di voi dal punto dove era avvenuto lo scoppio dell’arma?
– No, non l’ho visto. Se è passato vuol dire che è passato quando sono passati gli americani e non l’ho visto.
– Gli americani hanno dichiarato che non han parlato affatto con voi.
– C’è qui un vecchio, fatelo venire qui e che mi dica che non ha detto nulla. Lo incontriamo ogni mattina e ci salutiamo reciprocamente.
– Lo ha dichiarato sotto giuramento, vorreste forse sostenere che non ha detto la verità?
– Non dico questo, ma può non ricordarsi che ogni mattina e sera ci salutava sempre.
– Quando avete visto Crea dopo il fatto?
– Non l’ho riveduto più.
Poi è il turno di Domenico Deniso, secondo il quale, invece, dopo il fatto Crea andò dagli altri tre, quindi Natale Biondi avrebbe mentito:
– C’era nebbia, c’era una discreta distanza ed egli corse verso di noi e disse: “Ho tirato un colpo contro uno, ma non dite niente”.
– L’avete proprio veduto passare?
– L’ho veduto passare correndo alla mia sinistra. Correva come un lampo e poi c’era nebbia… quando gli americani ci vennero incontro, Crea veniva dietro di noi e lo vidi scappare come il vento, come un lampo…
Antonio Palmisano era il padrone della pensione dove alloggiava Crea e quasi sicuramente è stato l’ultimo a vederlo prima che sparisse dalla circolazione:
– Crea mi disse che aveva avuto un diverbio con un tale a Glenville, ma non mi disse se l’avesse ucciso o no: “C’era tanto fango e noi si camminava nella melma. Quel tale non voleva andare nel fango e nemmeno io; ci spingemmo reciprocamente e mi diede un pugno. Io cavai il revolver e lo puntai contro di lui e volevo colpirlo al petto con la canna, ma il dito mi scivolò sul grilletto ed è partito un colpo…”.
– Che cosa gli avete detto quando vi raccontò questa storia?
– Se hai fatto bene, hai fatto bene; se hai fatto male, hai fatto male.
– E lui cosa rispose?
– “Non l’ho fatto per sparargli addosso, ho fatto così – dice mimando il gesto di Crea – ma il dito mi scivolò e premette il grilletto…”.
Arrivati ad un certo punto dell’interrogatorio, il Coroner fa a Palmisano il nome di tale Romeo, proprietario di un saloon a Port Chester, pochi chilometri a sud di Greenwich, ma nello Stato di New York, dove Crea sarebbe andato dopo aver lasciato la pensione. Palmisano è costretto ad ammettere di essere a conoscenza della circostanza ed è costretto ad ammettere che Romeo è suo suocero. A questo punto il Coroner vuole sapere se Romeo ha dato a Crea i soldi necessari per tornare clandestinamente in Italia e al “non so” di Palmisano, lo minaccia:
– Debbo avvertirvi che sappiamo molte cose sui fatti di Romeo ed anche sui fatti vostri a Port Chester e voi potreste benissimo dirci ora tutta la verità; non peggiorate la vostra situazione più di quel che sia…
– Io non so altro che questo – risponde.
– Vi do tempo fino a domani mattina alle 9,00 per pensarci su perché noi sappiamo molte cose di Port Chester e di voi, molto più di quel che crediate, ma non vorremmo che andaste incontro a pene per reati più gravi di quello che avete attualmente commesso…
Palmisano resta in silenzio e noi non sapremo niente degli affari sporchi di Port Chester perché negli atti non c’è il seguito dell’interrogatorio.
Ma su ciò che avvenne la mattina del 3 gennaio 1913 qualcosa di definitivo potrebbe dirla Francesco Pennetti nel secondo interrogatorio a cui viene sottoposto il 22 gennaio successivo:
– Questa volta voglio dire la verità, l’ultima volta non l’ho detta perché avevo paura degli altri…
– Siete dunque disposto a dire tutta la verità, nient’altro che la verità?
– Sì.
– Ebbene, narrate.
– Durante il cammino, giunti qui o un po’ più su – comincia a raccontare indicando il punto sulla mappa che il Coroner gli ha messo davanti – incontrammo due o tre polacchi che ci dissero “buon giorno”; rispondemmo “buon giorno” ed essi proseguirono. Subito dopo incontrammo Taylor e Crea gli dette il buon giorno, ma l’altro non disse niente e allora cominciarono le male parole come “figlio di puttana” e altre parole che non abbiamo capito. Taylor disse: “Io bado ai fatti miei, se voi non badate ai fatti vostri vi porto a Greenwich”. Ecco quanto ho sentito. Io, Domenico e Natale abbiamo fatto un po’ di strada e abbiamo sentito un colpo. Natale si volse e noi dietro, fermandoci. Natale ci raggiunse senza dire niente e dopo di lui venne Crea che, bestemmiando in italiano, disse: “Ho tirato un colpo contro di quello, mannaggia alla Madonna, non so se l’abbia colpito o no, è finita, non dite nulla” e corse via come un diavolo. Sopraggiunsero il signor Perry, una donna e due o tre persone, non ricordo bene. Il signor Perry disse: “Cosa è successo? Voi litigate anche di primo mattino?”. Qualcuno rispose: “No”.
– Quando Crea vi raggiunse e disse quelle parole, aveva già incontrato Perry e gli altri?
– Sì.
Poi Francesco Pennetti rivela che gli altri tre, cioè Vincenzo Crea, Domenico Deniso e Natale Biondi possedevano una rivoltella e che, probabilmente, tutti e tre quella mattina erano armati. Il Coroner adesso vuole che Pennetti chiarisca ciò che fece Natale Biondi dopo lo scambio di parole tra Crea e Taylor.
– Natale ha proseguito per un po’, poi si è fermato; io e Domenico abbiamo continuato a camminare e Natale poi ci raggiunse.
– Quanto era distante da voi Natale quando avete sentito il colpo?
– Una decina di metri.
– Quant’era distante Natale da Crea e Taylor quando fu sparata la revolverata?
– Io non vedevo né Crea, né Taylor, né Natale. Poi venne Natale, poi venne Crea correndo.
– Natale aveva il soprabito quella mattina?
– Mi pare che l’avesse, ma non ricordo bene.
Perché queste domande insistenti su Natale Biondi? Perché il Coroner vuole sgombrare il campo dal dubbio che, come hanno dichiarato sia le ragazze incontrate quella mattina, sia Perry e gli altri americani, che gli italiani erano tre e non quattro, che ad uccidere Taylor sia stato Natale Biondi e che successivamente, insieme a Palmisano, i tre si siano accordati per scaricare la responsabilità su Crea, che probabilmente già aveva abbandonato la compagnia per tornare indietro. Ma tutto ciò resta solo un’ipotesi perché nessuno, vuoi perché era buio, vuoi per la nebbia fitta, vuoi forse per paura, identifica con certezza i tre che avrebbero incontrato. Ma, soprattutto, c’è un ostacolo di non poco conto: Deniso, Pennetti e Biondi sostengono, come abbiamo visto, che Crea scappò come un lampo, come un diavolo, subito prima che Perry li incontrasse e quindi è logico che lui e gli altri americani videro tre e non quattro persone. Stesso problema sorge con le ragazze, che non riescono a dimostrare di avere incontrato il gruppo di italiani prima e non dopo l’omicidio.
Quindi Crea viene formalmente imputato di omicidio e dagli Stati Uniti viene inviata al Governo italiano la richiesta di arresto.
Vincenzo Crea, ventiquattrenne di Cardeto in provincia di Reggio Calabria, viene arrestato in paese il 14 agosto 1914 e, interrogato, si difende:
– Nel marzo 1911 mi recai in America e precisamente nel villaggio ove risiedeva il mio paesano Antonio Palmisano colla moglie e presi alloggio nella casa di lui, ov’erano già alloggiati gli altri miei paesani, i fratelli Natale e Pietro Biondi. In altra casa vicina stava l’altro mio paesano Domenico Deniso e in altra casa, anche vicina, dimorava certo Francesco Pennetti, credo della provincia di Cosenza. Per un certo tempo lavorammo insieme nell’escavazione di un pozzo, però a causa della pioggia il lavoro s’era sospeso e per circa una settimana si rimase a casa. Mattina del 3 gennaio dello scorso anno io ed i fratelli Biondi uscimmo verso le sei mentre i coniugi Palmisano ancora dormivano e c’incamminammo con Deniso e Pennetti, anch’essi in cerca di lavoro. Dopo pochi passi fatti assieme, io mi licenziai da essi e presi altra via con la speranza di trovare in qualche punto del lavoro, ma inutilmente, tanto che verso le otto e mezza o le nove me ne tornai a casa, ove dopo un’ora o un’ora e mezza tornarono anche i fratelli Biondi. Non vidi in quel giorno, né nei successivi, Deniso e Pennetti. Dopo due giorni, non trovando lavoro, partii alla volta di Port Chester, distante un quarto d’ora di cammino. Poi trovai lavoro a Pittsburg, distante quasi otto ore di via ferrata, e mi fermai per quasi sei mesi a dormire presso certo Antonino, nativo degli Abruzzi. Mentre ero colà ricevetti una lettera da mia madre, la quale mi partecipava che per lettera pervenuta ai parenti di Biondo si vociferava che io mi ero allontanato per un omicidio da me commesso. La notizia mi giunse nuova ed inaspettata perché io dell’omicidio nulla mai avevo sentito dire, né durante la mia permanenza da Palmisano, né posteriormente. Dopo sei mesi, a dicembre, i lavori vennero sospesi, sicché, gioco forza, rientrai a Cardeto. Io non sono partito di sotterfugio e respingo quindi l’imputazione perché non ho commesso alcun omicidio, non ho mai conosciuto Taylor, non ho mai portato revolver perché mai ne ho comprato uno.
– Natale Biondi però vi accusa espressamente di avere ucciso Taylor e anche Deniso, Pennetti e Palmisano dicono che a loro avete confessato l’omicidio…
– Dalla descrizione che Biondi fa del fatto, quasi viene da ritenere ch’egli si sia trovato immischiato nel fatto e che cerchi di far ricadere su di me la responsabilità. Io non ero con Biondi e ripeto che dell’omicidio nulla conosco. Io non so perché Deniso mi accusi. Deniso era con Biondi e quindi può avere qualche responsabilità nel fatto e quindi ha tutto l’interesse di deviare la giustizia accusando me. È addirittura mostruoso l’atto che compie Palmisano ai miei danni. Non ho commesso l’omicidio e non potevo, quindi, confessare a lui di aver commesso un fatto, sia pure involontario, com’egli cerca di attenuare. Non conosco alcun Romeo dimorante a Port Chester e nego che il suocero di Palmisano si chiami Romeo, quindi non gli ho mai chiesto denari in prestito. Si vede chiaro che anche Pennetti si deve essere trovato complicato nell’omicidio e hanno ordito una trama ai miei danni.
– E chi vi ha dato i soldi per partire?
– Quando mi allontanai dalla casa di Palmisano avevo in saccoccia venti scudi (dollari nel gergo degli emigrati. Nda) e cento ne avevo depositati in banca e per mezzo della banca stessa mi feci trasmettere qui a Reggio, ove li riscossi al mio ritorno. Naturalmente non posso indicare alcun testimone a mio discarico…
Senza testimoni sarà praticamente impossibile trovare riscontri al suo racconto, salvo che gli inquirenti diano rilevanza a quanto deposto dalle ragazze, da Perry e dagli altri americani. Ma così non è e Crea viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria, che discute la causa il 29 maggio 1916.
Il dibattimento si basa esclusivamente sull’esame degli atti inviati dagli Stati Uniti e la Corte ritiene che effettivamente Vincenzo Crea sparò il colpo di revolver contro Taylor, senza però l’intenzione di ucciderlo. Il reato viene derubricato ad omicidio preterintenzionale e la Corte ritiene che Crea agì nello stato d’ira per la grave provocazione fattagli dalla vittima e lo ritiene anche meritevole della concessione delle attenuanti generiche.
Fatti quattro conti, la Corte stima equa la pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, di cui dichiara condonato un anno, oltre alle spese.[1]
[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.