
È la mattina del 19 marzo 1871. A Santa Domenica Talao, come ogni anno, si celebra la messa solenne in onore di San Giuseppe. In chiesa ci sono quasi soltanto donne, gli uomini non possono permettersi di abbandonare il proprio lavoro.
Tra queste donne ci sono anche Maria Teresa Lamboglia e sua figlia Maria Giuseppa Schiffino le quali, terminata la funzione religiosa si avviano verso casa.
La ventottenne Maria Giuseppa, rimasta vedova e con un figlio a carico, da un paio di anni si è risposata con il trentenne Arcangelo Forestieri, ma da un po’ le cose non vanno molto bene perché lui usa spesso e volentieri sia le mani che qualsiasi altro oggetto gli capiti a tiro per picchiarla selvaggiamente e, così dicono i vicini che ascoltano loro malgrado le scenate e i pianti, a tutto questo non sarebbe estraneo il padre di Arcangelo, il settantaduenne Francesco, il quale avrebbe voluto avere il piacere di possedere sua nuora, non riuscendovi per la fiera opposizione della ragazza, bella e onestissima. Addirittura, sostengono i vicini, l’anziano avrebbe promesso alla nuora di far espatriare Arcangelo e vivere, così, come marito e moglie. Ma Maria Giuseppa non cede e, anzi, pretende e ottiene dal marito di andare a vivere in un’altra casa, allontanandosi da quella del suocero. Ma questa vittoria ha un prezzo altissimo: le botte che prende da Arcangelo si fanno più dure e anche più frequenti. Per esempio, nell’estate del 1870, mentre stanno lavorando in campagna, viene colpita ripetutamente col dorso di una scure e devono portarla a casa a braccia. O per esempio nell’ultimo capodanno quando Maria Giuseppa gli aveva chiesto dei fichi e delle zeppole per regalarle alla figlia naturale di Arcangelo – sì, Arcangelo ha una figlia, frutto della sua relazione con un’altra donna – si ritrovò il viso deturpato dai morsi del marito. E che dire della confidenza fatta ad una sua amica che per effetto delle continue battiture di suo marito si era abortita per ben due volte? E dalle violenze non è immune nemmeno il figlio di Maria Giuseppa, trattato più o meno come sua madre.
Ma la violenza non si ferma alle botte: da quando ha rifiutato le proposte indecenti del suocero, il marito la tratta come una schiava e forse peggio, con restrizioni tali da farle desiderare anche il pane.
– È una sfaticata e dissipatrice – va dicendo in giro il suocero, fomentando così la rabbia di Arcangelo.
– Ho il presentimento di dover morire da lui, sol perché non ho voluto condiscendere alle sue prave voglie, a tener con lui illecita tresca – confida Maria Giuseppa ad un’amica.
Ma torniamo al 19 marzo 1871. Maria Giuseppa e sua madre tornano dalla chiesa. Arcangelo manca da casa da tre giorni, è andato a Fuscaldo col carretto per caricare cipollina, piantine di cipolle da trapiantare, e non si sa quando tornerà.
– Fatti dare un po’ di fuoco dalla commare… – le dice sua madre. Maria Giuseppa esegue l’ordine, torna subito a casa e con quel po’ di fuoco riscaldano un po’ di maccheroni e fagioli e mangiano. Poi bussano alla porta: è Saverio, il figlio di commare Lucia Bloise.
– Peppina, ha detto mamma di andare subito a casa perchè è arrivato tuo marito.
Maria Giuseppa sbianca in viso, sbigottita. Si alza in fretta e furia e corre via, sapendo che la sua assenza dalla casa coniugale le costerà una bastonatura.
Arcangelo è tornato prima del previsto, ha trovato la porta di casa chiusa e la moglie assente. Bestemmia. Ha fame ed è tutto bagnato per aver dovuto guadare il fiume Lao. Per non perdere altro tempo va a scaricare il carretto, parte in un magazzino e parte a casa di suo fratello Antonio, poi torna a casa e trova
Maria Giuseppa. Non dice una parola, ma Maria Giuseppa la sua rabbia la sente sul proprio corpo. I vicini sentono i lamenti sordi della donna. ma ci sono abituati e si fanno i fatti propri.
Maria Giuseppa. Non dice una parola, ma Maria Giuseppa la sua rabbia la sente sul proprio corpo. I vicini sentono i lamenti sordi della donna. ma ci sono abituati e si fanno i fatti propri.
Arcangelo ansima mentre colpisce sua moglie che si è raggomitolata a terra in posizione fetale con le mani sulla testa per cercare di ripararsi dalla furia di suo marito. Poi un tremendo calcio nel fianco sinistro le toglie il respiro e le forze e si abbandona. Arcangelo è soddisfatto della lezione che le ha dato ed esce per tornare al magazzino e rimettersi le calze e le scarpe, tolte per guadare il fiume.
– Lucì… Lucia – la voce di Maria Giuseppa è flebile ma Lucia Bloise sente, come ha già sentito i lamenti, capisce e corre. La porta è aperta e l’amica è seduta accanto al fuoco sopra un piccolo scanno, pallida ed affannosa.
– Di nuovo? – le chiede.
– Lucia… io muoro… Lucia, io sono morta… – le risponde con un filo di voce – Lucia non posso parlare… Lucia non ti vedo…
Poi comincia a vomitare pochi fili di maccheroni e pochi faggioli, quindi si abbandona tra le braccia di Lucia e comincia ad avere dei tremiti. Proprio in questo momento rientra in casa Arcangelo.
– Aiutami a metterla sul letto – gli dice Lucia.
– Io vengo da fuori terra e mangio pane e cipolla ed essa si va ubriacando come una porca e sovrappiù sta facendo dei moti – le risponde freddamente.
– Ma che dici! Muoviti e aiutami! – insiste Lucia e, finalmente, Arcangelo si avvicina e aiuta la commare ad adagiare Maria Giuseppa su di una sedia accanto al letto. Poi Lucia chiama suo figlio e gli dice di andare ad avvisare la madre della ragazza.
– Peppì… Peppina… che hai? – le chiede la madre, ma Maria Giuseppa non risponde, rantola e basta. La madre continua rivolgendosi al genero – L’hai picchiata di nuovo?
– Vattenne, vattenne da casa mia… vai a farti fottere se no ti perdo il rispetto e ti getto dalla scala! Vattenne ca se no ti spacco lo core ca pe causa vostra vado nelle galere! Vattenne mannaia l’anima di padretta e di mammata! – le vomita in faccia.
– Io non me ne vado… assisto mia figlia e me ne anderò dopo che mia figlia sarà morta! – gli risponde a muso duro.
Intanto Lucia ha mandato suo figlio a chiamare il dottor Matteo Schiffini il quale, quando arriva scuote la testa sconsolato:
– Io non posso fare niente… meglio che chiamiate il prete per i conforti di religione…
Il medico ha visto giusto perché il prete non fa nemmeno in tempo ad arrivare che Maria Giuseppa muore vomitando bava mista a sangue.
Arcangelo esce e va a casa di suo padre, mentre qualcuno va ad avvisare il Sindaco, che si precipita sul posto e, sia vedendo il corpo tumefatto di Maria Giuseppa, sia attraverso i racconti che gli fanno e sia perché sa delle botte abituali che Arcangelo le infliggeva, sospetta che non si tratti di morte naturale e tempesta di messaggi i Carabinieri e il Pretore di Scalea, mandando diverse staffette. Prende anche una iniziativa molto drastica: fa rimuovere il cadavere da quella casa e lo fa portare in chiesa, temendo che Arcangelo possa infierire.
Il Brigadiere Pasquale Arcudi con un Carabiniere e due Guardie Doganali di stanza a Scalea arrivano a Santa Domenica verso mezzanotte. Il Sindaco gli racconta i suoi sospetti e il Brigadiere fa circondare non solo la casa di abitazione del supposto uxoricida, ma bene ancora quelle altre contigue di ragione del di lui padre e fratello Antonio. Poi, accompagnato dal Sindaco bussa alla porta di Francesco Forestieri e la perquisisce, ma il figlio non è lì.
Mentre il Brigadiere e il Sindaco stanno procedendo alla perquisizione, il Carabiniere Giacomo Borgaro tiene d’occhio la casa di Antonio Forestieri. Accortosi che questi stava aprendo la porta si ne avvicinò ed avendo veduto l’altro fratello Arcangelo che stava seduto in sopra una cassa, lo afferra per un braccio e quindi lo conduce dal Brigadiere per essere trattenuto e verificare nel giorno susseguente se era o meno egli reo dell’uxoricidio in parola.
– Sai perché sei stato arrestato? – gli chiede il Pretore.
– Mi trovo arrestato perché è morta mia moglie e dicono di averla uccisa io…
– Invece non hai fatto niente, vero?
– Io sono del tutto innocente e se fui tratto in arresto per sospetto di averle dato qualche percossa mortale, spero che la giustizia, nelle sue diligenti investigazioni, giunga a scovrire la verità e mi restituisca la libertà…
– Raccontami cosa hai fatto ieri 19 marzo 1871 e come, secondo te, è morta tua moglie…
– Io giunsi a Santa Domenica poco dopo il tocco di mezzogiorno, quando era già terminata la messa solenne e, reduce com’ero da Fuscaldo colla vettura carica di piantima di cipolle, oltre di un’altra caricata per conto di mio fratello Antonio, dopo aver scaricato questa seconda, andai direttamente in mia casa, ma avendone trovata chiusa la porta per l’assenza di mia moglie, scaricai la piantima coll’aiuto di Crescenzio Gazzaneo nell’altra casa da me tenuta in fitto, nella quale teneva rinchiuso parte delle suppellettili di casa, attesa l’angustia di quella di abitazione, e tutte le provviste che servivano per comodo della famiglia. Dopo ciò andai a chiudere la vettura nella stalla di mio fratello e prima di tornare in casa, scalzo com’ero tuttavia per aver denudato le gambe nel passaggio del fiume, mi trattenni innanzi la casa sua a discorrere con mia cognata e poi mi recai in casa di mio padre per visitarlo, poiché tre giorni prima, quando io partivo per Fuscaldo, avea sofferto la disgrazia di cadere dalla mula…
– Più o meno quanto tempo è passato?
– Dal mio arrivo in paese fino a quello dell’uscita dalla casa di mio padre passò circa un’ora e mezza.
-E poi?
– Mossi quindi alla direzione della casa, ove avea depositato la piantima per calzarmi, ma avendo trovata aperta nel passaggio la porta della casa di abitazione, vi entrai e con mia sorpresa trovai mia moglie assisa sopra un piccolo sgabello accanto al fuoco, sostenuta da Lucia Bloise, ed in atto che vomitava pochi faggioli e pochi maccheroni. Nell’entrare intesi la sua esclamazione “Io moro”. Supposi allora che fosse andata a visitare la commare Teresa Campagna e che vi avesse bevuto qualche bicchiere di acquavite e le avesse prodotto dolore al cuore, per cui non mi trattenni dal rimproverare che forse si era ubriacata, ma non avendo essa dato altra risposta, la sollevai unitamente a Lucia e l’adaggiai sopra due sedie, appoggiandola al letto. Vedendo intanto che lo stato di mia moglie non migliorava, uscii un poco per andarmi a prendere dall’altra vicina casa le calze e le scarpe; tornato subito vi trovai la madre e coll’aiuto di lei e di Lucia l’adaggiai sul letto. Intanto la madre cominciò a redarguirmi dicendo che io le avevo ucciso la figlia ed io, assicurandola di non averla toccata, non potei astenermi dal pregarla di non inquietarmi perché ero stanco e digiuno e mi ero ritirato per prendere un ristoro. Racquetata così la madre, fui sollecito a far chiamare il medico il quale la giudicava attaccata da perniciosa dal cuore alla testa, senza farle alcuna prescrizione ci suggerì di invitare il sacerdote per assisterla, ma si pose in agonia e verso due ore di giorno cessò di vivere…
– E perché, allora, ti sei andato a nascondere?
– Fui obbligato d’amici e parenti ad allontanarmi dal luogo del lutto e fui da loro condotto in casa di mio fratello…
– A noi risulta che entrasti in casa prima dell’arrivo di Lucia Bloise e tua moglie stava benissimo… poi tutti i vicini hanno sentito i lamenti. Tu sei uscito e
solo allora arrivò la Bloise.
solo allora arrivò la Bloise.
– No! La Bloise mi avvisò dell’arrivo di mia moglie… lei era in casa prima di me…
– Hai appena detto di aver visto la porta di casa aperta… vedremo… ma dimmi… perché l’hai picchiata tanto selvaggiamente? I segni sul corpo sono molto evidenti…
– Non è vero che la percossi, posso assicurare di non averla toccata fin dalla domenica delle Palme dello scorso anno! E se qualcuno volesse spergiurare in mio danno, io ho fiducia che il Signore voglia scomputarmi dalle pene del Purgatorio quella cui possa essere condannato per effetto della calunnia!
– Perché la domenica delle Palme la battesti?
– Perché avea dispensato tre pani senza mio ordine e quantunque diceva di averli prestati, non avea procurato di recuperarli per circa tre mesi ed avendomi risposto con poca moderazione, fino a dirmi che non doveva lasciarmi gli occhi per piangere, io la percossi a mani ed essendosi poi avventata contro di me per ben due volte, le diedi anche qualche colpo con un pezzo di legno che mi trovavo nelle mani…
– E quando l’hai picchiata a capodanno te lo sei scordato? E l’estate scorsa? Hai la memoria un po’ corta…
– Non è vero! Fu nel primo anno di matrimonio che si verificarono fra noi degli alterchi…
– Ti faceva le corna? – il Pretore cerca di provocarlo
– Mia moglie non mi dava alcun motivo in quanto a condotta morale e fedeltà coniugale. Aveva però il difetto di rispondere con arroganza ad ogni avvertimento e di barattare la mia roba e fu questo il motivo per lo quale, dopo due anni di matrimonio, fui costretto a rinchiudere tutte le provviste in altra casa separata e talvolta fui obbligato a darle qualche correzione manuale – finalmente ammette ciò che molti testimoni hanno già raccontato al Pretore: la teneva come una schiava e forse peggio.
– Ci sono molti testimoni che sostengono di averti sentito mentre minacciavi di morte tua moglie dicendo che volevi dimetterti da lei anche a prezzo della galera…
– È un vero mendacio…
Intanto viene eseguita l’autopsia e i periti, dottori Matteo Schiffini e Antonio Pepe, non hanno dubbi: la morte di Maria Giuseppa Schiffino è stata causata da fatto traumatico, come ad esempio percosse o urto violento di corpo contundente qualunque, che ha prodotto, oltre delle lesioni rimarcate nella milza e rene corrispondente, commozione tale nelle visceri addominali da cagionare in breve tempo la perdita dei sensi e della vita. A confermare detto giudizio concorrono non solo i segni interni osservati, ma pure gli esterni come la secrezione sanguinolente e di materie biliose sia dalle narici che dalla bocca, la espulsione di materie fecciose dall’intestino retto per prolasso di detto organo, meteorismo addominale e più che mai la deviazione non solo della linea mediale della regione addominale, nonché il tumore (inteso come tumefazione. Nda) nella regione sotto ombelicale. Inoltre, la validità dell’organismo della estinta esclude ogni idea di cagione naturale della morte e che questa sia avvenuta per sola cagione traumatica. Tutto chiaro.
Ma, man mano che vengono ascoltati i testimoni, emerge la partecipazione di Francesco Forestieri, il padre di Arcangelo, come ispiratore del delitto per avere, nel tempo, insinuato nella mente del figlio l’idea che Maria Giuseppa fosse una buona a nulla, una dissipatrice della roba di famiglia. In più ci sono testimoni che raccontano le confidenze ricevute dalla vittima circa i propositi di vendetta del suocero per non avere ceduto alle sue lusinghe. Altri invece riferiscono di avere sentito il vecchio dire più o meno: “Questa morte doveva farla prima!”. Per gli inquirenti sono indizi sufficienti ad emettere un mandato di cattura con l’accusa di complicità per istruzioni ed istigazioni a commettere il reato. Lui nega tutto e dichiara:
– Io l’ho sempre esortato a tollerarne i difetti o a separarsi da lei ed andare fuori regno. Egli credette di riparare ad ogni inconveniente col restringerla nel maneggio delle cose di famiglia, ma con tutto ciò essa continuava a mostrarsi dissipatrice, tantovero che prima di morire erano già consumate tutte le proviste di un anno…
– Si dice che abbiate cercato di sedurla e che lei vi abbia rifiutato…
– È una pura invenzione di chi lo ha riferito. La mia età e i riguardi dovuti a mio figlio non l’avrebbero permesso e l’essersi allontanati da mia casa dopo un anno e mezzo di coabitazione non fu effetto di tentativi di seduzione, ma invece fu da me adottata quella misura precisamente perché seppi di averne fatto millanteria e perché conobbi che l’economia domestica ne soffriva, essendosi mostrata scialacquatrice e poco inclinata alla fatica…
Non una parola di commozione.
Arcangelo viene interrogato più volte e mantiene sempre la stessa versione: lui non ha torto un capello a sua moglie, quindi la causa della morte è naturale e non traumatica. Così si apre una dura battaglia legale che porta a una nuova perizia, da effettuarsi sulla base della relazione stilata dai primi periti incaricati. I dottori Pasquale Cirillo e Saverio Pavone di Catanzaro concordano nel ritenere la morte causata dalla percossa ricevuta, ma escludono che sia stata determinata dalle lesioni alla milza ed al rene. Piuttosto la causa è stata la violenta commozione degli organi addominali con la conseguente paralisi dei nervi vasomotori.
Il risultato non cambia e padre e figlio vengono rinviati a giudizio. È l’8 novembre 1871.
Il dibattimento è fissato per il 30 giugno 1872 presso la corte d’Assise di Cosenza, ma viene rinviato per le cattive condizioni di salute di Francesco Forestieri il quale si aggrava di giorno in giorno e il 2 settembre 1872 muore. A questo punto la causa viene fissata per il 18 giugno 1873. La difesa fa subito rilevare le incongruenze tra le due perizie, così si decide di far riesaminare gli atti dal Preside della Facoltà Medico-Chirurgica dell’Università di Napoli, ma il Rettore fa sapere che prima della fine dell’anno non se ne può fare niente in quanto i docenti sono occupati in altro.
Che fare? Semplice: in attesa dei luminari napoletani, si ordina una quarta perizia ai dottori Michele Fera e Felice Migliori di Cosenza. E le cose si ingarbugliano ancora di più: la morte della Schiffino è dovuta ad iperemia cerebrale ed a libera emorragia delle meningi, avvenuta per cagione naturale, favorita dallo stato di pletora traumatica in cui trovavasi l’estinta a causa del pranzo copioso dal quale ritornava. Pranzo copioso? Da cosa lo hanno dedotto non si sa, visto che anche Arcangelo parla di vomito di pochi faggioli e pochi maccheroni.
Bisogna aspettare la perizia napoletana, che arriva solo il 21 marzo 1874. In base ai documenti e de’ giudizi ivi contenuti, i professori certificano che la morte di Maria Giuseppa deve attribuirsi a causa naturale, stando strettamente all’autopsia. Benissimo.
Poi il dibattimento si ferma e viene trasferito alla Corte d’Assise di Rossano. Le contraddizioni tra le perizie restano e per arrivare a sentenza ci vorrà il 18
ottobre 1876.
ottobre 1876.
Per la giuria non si tratta di uxoricidio perchè Arcangelo Forestieri non ha ucciso volontariamente sua moglie, ma è colpevole di averla percossa volontariamente e che tali percosse furono l’unica causa che ne determinò la morte.
La pena è stabilita in anni 20 di lavori forzati e pene accessorie.
Il 9 marzo 1877 la Corte di Cassazione di Napoli dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato perché sfornito di motivi.
Arcangelo Forestieri, il 3 ottobre 1893 viene ammesso al beneficio dell’amnistia in virtù del Regio Decreto del 22 aprile 1893 e vede ridotta la sua pena di 3 mesi.[1]
Adesso Maria Giuseppa può riposare in pace.
[1] ASCS, Processi Penali.
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