L’uomo, Lucio Borgia, ventinovenne contadino da Siderno ma residente a Mammola, è seduto davanti al Maresciallo e ha lo sguardo perso nel vuoto. È la notte tra il 5 ed il 6 marzo 1932.
– Allora, Borgia, mi vuoi raccontare che cosa hai combinato?
Borgia si passa le mani sul viso e comincia a parlare:
– Ho ucciso mia moglie, ma ho agito per ragioni d’onore…
– Questo lo avevamo capito, mi devi raccontare tutto dall’inizio!
E Borgia, in effetti, comincia dall’inizio:
– Nel 1927 emigrai in Francia in cerca di lavoro. Mi occupai come operaio in un opificio e sempre spedii a mia moglie il denaro occorrente pel mantenimento di lei e dei nostri figlioletti, senonché, dopo quattro anni di permanenza all’estero, nel dicembre del 1931, per mancanza di lavoro fui costretto a rimpatriare. Accolto con freddezza da mia moglie, cominciai ad avere sospetti sulla fedeltà coniugale di lei, sia perché notai che un certo Fazzari Domenico frequentava troppo assiduamente la mia casa, sia perché mi giunse all’orecchio qualche voce che accusava mia moglie di aver serbato condotta reprensibile mentre lavoravo in Francia. Dopo qualche tempo, però, un po’ perché spinto dalla necessità, un po’ perché per gl’incitamenti di mia moglie, che si occupò di procurarmi il denaro occorrente pel viaggio, espatriai nuovamente ma, o perché non mi riuscì di trovare una qualsiasi occupazione, o perché, sospettando ancora della onestà di mia moglie, vivevo in stato di continua agitazione, dopo qualche mese di dimora in Francia, e precisamente il 5 marzo, ritornai improvvisamente a Mammola, dove giunsi a tarda ora della sera. Nel rientrare nella mia casa di abitazione, la cui porta d’ingresso trovai aperta, scorsi un individuo che, scendendo le scale, si allontanava frettolosamente senza che io, a causa dell’oscurità, riuscissi a conoscerlo. Intuendo la dolorosa verità mi diressi verso la camera da letto, picchiai all’uscio perché era chiuso e quando dopo qualche minuto mia moglie mi aprì penetrai nella stanza con contegno guardingo e sospettoso. Rivolsi a mia moglie insistenti domande e finalmente, turbata e tremante, mi confessò la sua colpa, invocando pietà. Io allora mi slanciai addosso a lei improvvisamente e, estratto un coltello, la colpii ripetutamente finché non fui certo di averla uccisa – termina con gli occhi ancora accesi dalla rabbia.
Testimoni che abbiano visto un uomo allontanarsi frettolosamente dalla casa di Borgia ce ne sono? Qualcuno c’è ma dice di non aver visto nessuno allontanarsi da quella casa. Credergli o non credergli? Dal tono appassionato con cui ha raccontato i fatti, gli inquirenti potrebbero essere portati a credergli, ma dall’altro lato, senza testimoni, potrebbe trattarsi di una ricostruzione dei fatti inventata di sana pianta da Borgia per liberarsi della moglie e quindi sarebbe omicidio premeditato.
Intanto bisogna stabilire se il tradimento c’è davvero stato o sono soltanto voci quelle che girano in paese. A togliere ogni dubbio, paradossalmente, sono i genitori di Angela Cordì, la vittima:
– Durante l’assenza del marito ella venne meno ai suoi doveri coniugali. Io esortai l’adultera mia figlia a ravvedersi, sia per il buon nome della famiglia, sia per i pericoli in cui ella sarebbe andata incontro nel caso che il marito fosse venuto a conoscenza della tresca da lei intessuta col Fazzari e infatti… – racconta Domenico Cordì, il padre di Angela.
– Un giorno sorpresi mia figlia ed il Fazzari che, in aperta campagna, si congiungevano carnalmente e la rimproverai, ma constatai con amara sorpresa che ella, invece di mostrarsi turbata e pentita, mi rispondeva con arroganza, giungendo sino a minacciarmi di morte nel caso che avessi parlato del fatto – dice la madre, Maria Larosa.
Angela Cordì è morta quasi istantaneamente per la imponente emorragia dovuta alla recisione della carotide. Tutte le altre coltellate non erano mortali.
Bisogna anche accertare, nonostante i vicini di casa di Borgia giurino di non aver visto nessuno, se lo sconosciuto fosse proprio Domenico Fazzari e l’impresa è ardua perché alcuni testimoni assicurano che il 5 marzo Fazzari non si allontanò dalla campagna dove abitualmente dimorava, mentre altri assicurano di averlo visto a Mammola.
Credere o non credere alla versione di Lucio Borgia? Gli inquirenti non possono credere ad una versione senza riscontri oggettivi e, con citazione diretta, lo mandano davanti alla Corte d’Assise di Locri per rispondere di omicidio premeditato in persona della propria moglie.
La causa si discute il 7 novembre 1932 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: salvo la circostanza relativa all’individuo che Borgia asserisce di avere incontrato presso la scala nel rientrare in casa (circostanza che non trova conferma nella deposizione di alcun testimone), tutto ciò che egli ha assunto nel suo interrogatorio risulta pienamente accertato dagli atti del processo, in quanto che gli stessi genitori assicurano, nel modo più assoluto, che ella, durante l’assenza del marito, venne meno ai suoi doveri coniugali. Non vi ha dubbio, pertanto, che nel caso in esame si versa nella ipotesi dell’omicidio per causa d’onore, previsto dall’articolo 587 del Codice Penale, che contempla il caso di chi uccida o ferisca il coniuge, la figlia o la sorella nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia (l’obbrobrio giuridico previsto nell’art. 587 C.P., che prevedeva pene tra i 3 ed i 7 anni di reclusione, approvato con R.D. n. 1398 del 19 ottobre 1930, ed entrato in vigore il primo luglio 1931, ha aggravato enormemente la mattanza, già in atto da tempo immemorabile, di donne. Questo obbrobrio è stato abrogato solo il 5 agosto 1981 con la Legge n. 442). È accertato, per concorde deposto dell’escusso testimoniale, che il giudicabile, di precedenti incensurati, fu sempre un giovane onesto, laborioso, amante della famiglia; risulta anche da documenti che durante la sua lunga permanenza all’estero egli ebbe sempre cura di spedire alla moglie il denaro occorrente ai bisogni di lei e dei figlioletti; denaro che era frutto del pesante e faticoso lavoro delle sue braccia, dei suoi risparmi e dei suoi sacrifizi ed è quindi pienamente ammissibile che, quando egli ebbe la certezza del tradimento della moglie, un improvviso moto d’ira sconvolse il suo animo e la forte emozione lo indusse ad estrarre il coltello e ad uccidere. I suoi precedenti morali, la sua bontà d’animo, la lealtà e sincerità con cui aveva trattato la moglie, l’attaccamento cordiale dimostrato per lei, la remissività dimostrata a tutto quanto ella aveva desiderato, l’affetto spiegato per la famigliuola inducono a ritenere che, se egli non avesse veduto lo sconosciuto scendere le scale e uscire di casa, non si sarebbe determinato al grave fatto. Aveva dato prova di amare troppo la moglie per trovarsi pronto ad ucciderla in base ad un semplice sospetto! Se tale fosse stata la disposizione del suo animo, egli si sarebbe disfatto della donna dopo il suo primo rimpatrio ed appena apprese le dicerie che nel conto di quella correvano; dicerie che non valsero, invece, a turbargli la serenità della mente. Se avesse voluto deflettere dal suo abituale contegno di persona sincera e leale, avrebbe potuto senz’altro affermare che l’uomo da lui veduto era il Fazzari (che in nessun caso avrebbe potuto contraddirlo), mentre si limitò ad esporre il fatto nei termini più semplici e verosimili. Manca, quindi, ogni ragione di sospettare della veridicità del giudicabile. Se, infine, il sospettarne fosse lecito, anzi se si potesse dimostrare che nessun uomo fu da lui veduto scendere le scale, rimarrebbe sempre ferma ed inoppugnabile la circostanza della confessione della moglie (che nessuno ha ascoltato tranne Lucio Borgia. Nda), confessione che, dato il carattere leggiero ed immorale della donna, non doveva a lei riuscire difficile, né sembrare grave e compromettente. È uopo, pertanto, ritenere che il Borgia abbia agito proprio nelle condizioni di animo di cui all’art. 587 C.P. La difesa ha invocato in favore di lui la discriminante del vizio totale di mente, ma tale richiesta non trova il benché minimo appiglio nei risultati delle prove, dalle quali è invece emerso ch’egli è persona equilibrata, prudente, assennata e come tale si è fatto notare da conoscenti e parenti, specialmente dai parenti della moglie che non cessavano di ammirarlo per la sua condotta di affettuoso marito ed ottimo padre di famiglia.
Ora la Corte chiarisce il punto che potrebbe, ipotesi comunque molto remota, dare l’occasione alla Procura di ricorrere in appello: va, infine, notato che per la configurazione giuridica del delitto previsto dall’art. 587 C.P. non è necessaria la sorpresa in flagrante adulterio o concubito, ma bastano la scoperta dell’illecita relazione carnale e lo stato d’ira, estremi che nella specie pienamente concorrono. È una legittima interpretazione della norma, come altrettanto legittima era quella di altre Corti che la pensavano esattamente all’opposto.
È tutto, si può passare a quantificare la pena da irrogare: è uopo aver riguardo all’indole del fatto, ai precedenti del giudicabile e al grado di pericolosità da lui dimostrata. Calcolati tali elementi, stimasi giusto infliggere al Borgia la reclusione per anni 3, oltre alle spese.[1]
Senza alcun riscontro.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.