Il 30 novembre 1906, a Cutro, scoppia una zuffa tra Giuseppe Salerno e Nicola Rotundo e mentre i due se le danno di santa ragione arriva Biagio Salerno, il padre di Giuseppe, che si butta nella mischia e cominciano a volare anche bastonate. Intervenute alcune persone che calmano i rissanti, si contano le ferite riportate da ciascuno e per tutti e tre scatta la denuncia dei Carabinieri ed il conseguente rinvio a giudizio davanti al Pretore di Crotone, competente per territorio. La causa viene discussa il 15 gennaio 1907: i due Salerno vengono condannati a giorni 20 di reclusione ciascuno, mentre Rotundo ne becca 23. Per tutti la sospensione condizionale della pena e quindi tutti possono tornare a casa.
Giuseppe Salerno si avvia a piedi lungo la linea ferrata ionica, suo padre trova un passaggio sul traìno di Pietrantonio Gerace, su cui trova posto anche Teresa Romano e Nicola Rotundo, poco dopo gli altri due, trova posto su una carrozza.
Quando, dopo le ore quindici, il traìno di Gerace arriva in contrada Pudano, ancora in territorio di Crotone, fermo sulla strada in groppa al suo asino c’è Salvatore Rotundo, fratello di Nicola, che smonta e comincia a lanciare pietre contro il traìno. Pietrantonio Gerace si ferma, scende a terra anche lui e cerca di persuadere Salvatore Rotundo a desistere, ma questi lo ignora, si avvicina al traìno e tira una coltellata a Biagio Salerno, ferendolo seriamente ad una mano. Proprio in questo istante da dietro una siepe sbuca Nicola Rotundo armato di un grosso bastone e corre difilato verso il traìno dove, insieme al fratello comincia ad assestare replicati, violenti colpi di bastone al povero Salerno, facendolo cadere a terra.
Intuendo di non poter fare niente per impedire ciò che sta avvenendo, Gerace si allontana di corsa per chiedere aiuto alla vicina stazione ferroviaria di Pudano, ma Salvatore Rotundo se ne accorge e urla al fratello:
– Mina perlamadonna e ammazzalo, ché io vado ad ammazzare l’altro! – e comincia ad inseguire Gerace.
Salvatore è più giovane, è forte e raggiunge subito Gerace. Con un paio di bastonate alle gambe lo atterra e poi comincia a colpirlo selvaggiamente in diverse parti del corpo, non escluso il capo. Nicola Rotundo, credendo di avere ucciso Biagio Salerno, smette di colpirlo e, ansimando, corre dal fratello, assistendo impavido alla truce scena, incitandolo a colpire più forte.
Quando anche Pietrantonio Gerace sembra morto, i fratelli Rotundo si allontanano e Teresa Romano con qualche contadino che, impotente, si era avvicinato, possono constatare che i due sono ancora vivi e, dopo averli caricati sul traìno di Gerace, li portano a Cutro, dove il medico condotto li visita. Biagio Salerno se la caverà in un mesetto, ma l’uso della mano destra è compromesso; Pietrantonio Gerace è, purtroppo, molto grave perché, oltre a lesioni contuse in diverse parti del corpo, una bastonata gli ha fratturato le ossa frontali e parietali della parte destra del cranio. Morirà dopo cinquantadue giorni di agonia a causa del pestamento esercitato dall’avvallamento del cranio fratturato e dal forte versamento sanguigno intracranico.
Salvatore Rotundo viene arrestato, ma del fratello Nicola si perdono le tracce. Per il primo l’accusa è di concorso quale cooperatore immediato nel tentato omicidio premeditato in persona di Biagio Salerno. Per il latitante l’accusa è di omicidio volontario in persona di Pietrantonio Gerace e di cooperatore immediato nel tentato omicidio premeditato in persona di Biagio Salerno. Il 24 aprile 1907 entrambi vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere dei reati rispettivamente ascritti, ma a sedere sul banco degli imputati, il 19 giugno 1908, è solo Salvatore perché il fratello è ancora latitante e si discuterà il suo caso in contumacia.
La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, ritiene l’imputato responsabile del reato per cui è a processo e lo condanna, escludendo l’aggravante della premeditazione e concedendogli le attenuanti generiche, ad anni 10 di reclusione, oltra alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.
Due mesi e mezzo dopo la Corte d’Assise di Catanzaro si riunisce di nuovo per discutere la causa a carico di Nicola Rotundo, sempre latitante, col rito contumaciale.
La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva che la responsabilità del contumace Rotundo Nicola, in ordine ai reati a lui ascritti, è risultata pienamente dimostrata dagli atti processuali raccolti a di lui carico e del Rotundo Salvatore, meno però per quanto riflette l’aggravante della premeditazione nel reato di mancato omicidio in persona del Salerno, quale aggravante si ritiene giusto escludere. E spiega: i testimoni di presenza hanno concordemente deposto i due atroci fatti di che trattasi con tutte le loro particolarità selvagge, per come avvennero. Non vi è dubbio, in conseguenza, che Nicola Rotundo agì di comune accordo col fratello Salvatore nel perpetrare il delitto in persona del Salerno e che medesima fu la loro volontà omicida lo si desume dalla ferocia con cui essi colpirono la povera vittima, dalla violenza e ripetizione dei colpi di bastone inferti, dalle parti vitali prese di mira, dalle parole di sangue rivolte dal Nicola al Salvatore alludendo al povero Gerace. Però, mentre la Corte ritiene dimostrato pienamente il concorso per cooperazione immediata di Nicola Rotundo nel mancato omicidio del Salerno, non ritiene egualmente che il delitto fosse stato commesso con premeditazione. A prescindere che la circostanza aggravante non è stata riconosciuta nei confronti di Salvatore Rotundo, osserva la Corte che essa non trova il suo fondamento negli atti, non risultando a sufficienza che i germani Rotundo, prima dell’azione, avessero disegnato, con animo freddo e pacato, di disfarsi del Salerno, né essendo provato con indiscutibili elementi di fatto che il Nicola avesse voluto tendere un agguato al Salerno, per essere stato visto uscire di dietro una siepe quando l’infelice era già stato aggredito dal Salvatore. E che non di reato premeditato, ma di reato semplice trattasi, lo si desume anche dalla considerazione che quando i germani Rotundo commisero il delitto in danno del Salerno erano tuttavia sotto l’impressione della condanna a giorni ventitré di reclusione riportata da Nicola in quel medesimo, malaugurato giorno davanti la Pretura di Cotrone e pertanto tale condanna ben potette suscitare negli animi dei due germani, nel momento dell’incontro che fecero del Salerno in contrada Pudano, tali sentimenti di ira terribile e selvaggia, da determinarli subito a delinquere contro di lui. E qui è necessario far notare che Nicola Rotundo, poco tempo prima di uscire da dietro la siepe per aggredire Salerno, già fatto segno ai colpi del fratello Salvatore, era stato visto passare seduto sul sedile di dietro di una carrozza, vicino al carro dove stavano Gerace, Salerno e la testimone Teresa Romano. Tale circostanza di fatto fa sempre più dubitare della premeditazione e concorre invece a far ritenere che il delitto fu perpetrato per determinazione istantanea.
Su queste basi la Corte ritiene giusto derubricare il reato in quello di concorso in mancato omicidio semplice, quale cooperatore immediato, in persona del Salerno Biagio.
Ma è tempo di occuparsi del reato più grave addebitato a Nicola Rotundo, quello di omicidio volontario in persona di Pietrantonio Gerace e la Corte afferma subito che non c’è alcun dubbio sulla volontà omicida dell’imputato. Lo dicono la violenza dei colpi di bastone inferti, la loro reiterazione, le parti vitali prese di mira e le parole dette da Nicola a suo fratello, che sono un vero e proprio macigno: “Mina perlamadonna e ammazzalo, ché io vado ad ammazzare l’altro”. E quale sarebbe stata la colpa del povero Gerace per “meritare” di essere ucciso? Aver cercato di far desistere i due germani dal percuotere Biagio Salerno! Il truce proposito manifestato e subito messo in pratica, da Nicola Rotundo, alla Corte è stato ben chiarito dai testimoni oculari, che assistettero spaventati alla terribile e selvaggia scena di sangue e videro quando il giudicabile, inferocito, assestava replicati e violenti colpi di bastone prima sulle gambe del povero Gerace, riuscendo ad abbatterlo al suolo, e poi su altre parti della persona e non desistette che quando ebbe creduto morta la povera vittima!
Davanti a queste risultanze processuali non ci possono essere dubbi sulla responsabilità di Nicola Rotundo in merito all’omicidio in persona di Pietrantonio Gerace e si può passare a determinare la pena da irrogare: tenute presenti le modalità tutte del fatto, credesi di stabilire la pena di anni 20 di reclusione per l’omicidio e per l’altro reato di concorso nel mancato omicidio in persona di Biagio Salerno crede di stabilire la pena di anni 18 di reclusione che, per la concessa attenuante dello stato d’ira, si stima di ridurre di un terzo, cioè ad anni 12 di reclusione. Per il cumulo giuridico, ai sensi dell’art. 68 C.P., la pena complessiva da irrogarsi all’imputato è, in definitiva, di anni 26 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.
È il 4 settembre 1908.
Tutto questo nel caso in cui si riuscisse ad arrestare Nicola Rotundo, che si è dimostrato individuo di animo feroce e dedito ai delitti di sangue.
Ma Nicola Rotundo non sconterà nemmeno un giorno di galera ed il 5 aprile 1926, trascorso il termine di legge, la Corte d’Assise di Catanzaro deve dichiarare estinta l’azione penale per prescrizione contro Rotundo Nicola e dispone che sia ritirato il mandato di cattura a suo carico.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro