‘U FIGGHIU ‘E ROSA A RUSSA

Ignazio Strigari, ventunenne cavatore di liquirizia di Schiavonea di Corigliano, verso le tre di pomeriggio del 10 dicembre 1946, è nella cantina di sua madre Rosa, meglio conosciuta come “Rosa ‘a russa” per via del colore dei suoi capelli, quando saluta i suoi amici Giovan Battista Policastri ed Emilio Ruggiano e poi con Francesco Carrano va a casa di quest’ultimo, distante circa duecento metri e sita nel cosiddetto “Quadrato Compagna” (che in difformità dalla denominazione è piuttosto costituito da un vasto recinto rettangolare in muratura e presenta internate in ogni lato, suddivise da pareti, abitazioni o botteghe, tutte a pianterreno. Su ogni lato, centralmente c’è un ampio cancello e quello situato sul lato breve che guarda verso la località “Purpette”, è conosciuto come “Porta di Rossano”. Entrando da questo cancello, a distanza di circa novanta metri sulla sinistra, sul lato lungo è appoggiata, in simmetria con le altre casette, quella di Carrano, composta di un unico vano e con un sol gradino). Ignazio e Francesco entrano nella casa deserta e cominciano a giocare a carte. Quando poco dopo sopraggiunge la ventenne Elena Orlando, la moglie del padrone di casa, portando in braccio una bambina ed un pane, il marito le dice che vuole cenare. Ignazio lascia il tavolo e si siede vicino al fuoco, mentre in casa entra un altro amico, il ventitreenne Francesco Martillotti, notoriamente legato da tresca adulterina con Elena, e propone ai coniugi la consueta visita alla ospitale vicina di casa Vincenza Berta, poi confabula con l’amante.

Ignazio, avvertendo la propria estraneità all’ambiente, fa per andarsene ma Martillotti, saputo che i due amici avevano giocato a carte, propone loro di giocare in tre con l’alternata eliminazione del perdente da ogni nuova partita. Gli altri due accettano ed alla fine del gioco il vincitore assoluto è Martillotti, che depone sul tavolo 25 lire per l’ospitalità di Carrano e altrettanto fa Strigari, ma da questo momento cominciano i problemi perché i perdenti rifiutano di andare ad acquistare il vino messo in palio, cosa che viola le usuali regole del gioco. Carrano fa osservare che, essendoci in casa sua moglie, non è conveniente che la lasci da sola proprio con Martillotti, che lo sa suo amante e fa buon viso a cattiva sorte ormai da un anno. Resta Strigari, ora invitato anche da Carrano, e questo non fa altro che intensificare la sua riottosità essendosi associata all’originaria impressione del suo disagevole isolamento, anche quelle di una ostile solidarietà degli altri due che, peraltro, ritengono di poter realizzare parità di condizione con la proposta di voler consumare il vino in una cantina nelle vicinanze.

Il vino lo dobbiamo bere qui dove abbiamo giocato! – questa è la posizione di Strigari e da questa non si sposta di un millimetro.

Con una sopportazione, ormai abituale per Carrano dal dicembre 1945 e dettata a Martillotti dal digiuno di quella sera, seguita al litigio avuto nella giornata con la giovane e prestante moglie, Maria Forte, insofferente alle accentuazioni che la notorietà dell’adulterio maritale va acquistando, i due accettano che il “padrone” del vino sia designato dalla sorte con la distribuzione delle carte e debba recarsi in una cantina per la compera. E la sorte, beffarda, designa Carrano che per ovvi motivi non può lasciare l’abitazione ed il conflitto tra Martillotti, alieno dal privarsi del prestigio del vincitore, e Strigari, la cui cena presso la cantina della madre non era stata asciutta, riprende vigore e Strigari, concitandosi nel presupposto di un’ospitalità offensiva, lancia le carte contro Carrano, il quale rimane seduto senza fare una piega. Martillotti, da parte sua, per rendersi estraneo a prevedibile lite tra i due e per facilitare, col proprio abbozzato distacco, la caducità di ogni esagerazione, si avvicina alla porta e si ferma sulla soglia. Delle due posizioni, l’inerzia del padrone di casa, seduto nonostante la gravità dell’offesa, chiude ogni margine alla possibilità di ulteriore provocazione; quella prudente di Martillotti di avvicinarsi all’uscita per calmare le pretese di Strigari, ormai caratterizzate più che dalla insolenza, da prepotenza vera e propria, è invece interpretata come una sfida:

Se dobbiamo trattar fuori la questione, usciamo! – gli dice, infatti, Strigari, che esce passando davanti a Martillotti.

 

Se vuoi fare zille, usciamo – gli risponde Martillotti, che si fa trascinare nella sfida seguendo l’intimo amico, divenutogli avversario, fuori dal “Quadrato”. A questo punto anche Carrano esce di casa e segue i due, mentre Martillotti cerca di convincere Strigari a non uscire dal “Quadrato” perché ha notato un gesto preparatorio molto equivoco e dice:

Mè… prepara ‘a pistola!

Ma questo non fa altro che rinfocolare l’eccitamento del cavatore di liquirizia, sicuro di un’agevole operazione, analoga a quelle della sua fatica quotidiana.

La sfida consiste nel prendersi a “cazzotti” e vince chi resta in piedi. Martillotti sa che l’avversario è più forte e non ci sta a prenderne troppe, per questo confida che la pioggia imminente renda sbrigativa la sfida, odiosa ma insuperabile, e cammina lentamente, mentre Strigari più volte gli urla:

Camina, camina, un te spagnare!

Il Cancello di Rossano è ormai superato e i due sono uno di fronte all’altro, pronti a colpirsi. Martillotti ripete un’ultima volta l’invito a che la sfida si svolga correttamente, poi si mette in guardia e parte per primo colpendo con un pugno Strigari, che risponde a sua volta e ne viene fuori uno scambio serrato che porta i due molti metri oltre il cancello. Carrano, che fa l’arbitro, tenta d’imporre la cessazione della lotta, che ormai deve risolversi in un contrasto di forza e di destrezza, ma i due non se ne danno per intesi e, ondeggiando, si allontanano di un’altra ventina di passi inasprendo la violenza dei colpi. Gli avversari si spingono l’un l’altro e Carrano corre ad interporsi tra i due. Ha di fronte Martillotti e alle spalle Strigari, che dice:

Per fesso non mi ha pigliato nessuno!

A queste parole Carrano si volta e vede luccicare un coltello in mano a Strigari. È un attimo, non ha il tempo di bloccarlo e la lama si conficca nell’addome di Martillotti, approfondita in due tempi.

Mamma mia, mi hai ammazzato! – urla Martillotti mentre scappa lasciando dietro di sé una scia di sangue, inseguito dall’accoltellatore. Poi, quando sta per essere raggiunto, tenta di accelerare, ma si abbatte al suolo ad una decina di metri da casa sua ed emette un ultimo grido, che è sentito dalla moglie, la quale accorre insieme al cognato Giovanni ed insieme lo trascinano nel locale gabinetto medico del dottor Romanelli.

Romanelli capisce che la lama ha provocato lesioni multiple in cavità e ordina che sia trasportato d’urgenza in ospedale, ma nell’attesa di reperire un mezzo, con i rimedi d’urgenza evita l’immediato dissanguamento e nello stesso tempo cerca di sapere come sono andati i fatti.

– Chi è stato? C’entra la femmina? – gli chiedono ripetutamente il medico, il Vice Brigadiere della Finanza Alfio Marini, nel frattempo accorso, e gli altri presenti, riferendosi all’amante.

Ppe nu bicchiere ‘e vino m’ha ammazzatu ‘u figghiu ‘e Rosa ‘a russa – risponde a stento.

Poi, in meno di mezz’ora, arriva un’automobile e Francesco Martillotti, con l’aiuto della moglie, del fratello Salvatore e di alcuni amici, viene deposto innanzi all’ospedale di Corigliano, collocato su portantina e assistito dai medici sotto l’ordinaria responsabilità per i casi d’imminente pericolo di vita.

Intorno al ferito c’è tanta confusione e la stessa domanda “chi è stato e perché?” si accavalla. Il ferito dà la stessa risposta di prima e aggiunge:

Siamo usciti da un’osteria con il figlio di Rosa ‘a russa per scambiarci dei cazzotti

Poco dopo le 19,30 il Maresciallo Santi Ilacqua, avendo già incaricato l’Appuntato Domenico Mirenzi di recarsi a Schiavonea per cominciare tempestivamente le indagini, corre all’ospedale per interrogare il ferito, ma lo trova già in sala operatoria. Poco male, il Maresciallo entra e, sebbene Francesco Martillotti sia in preda ai cordiali ma non ha ancora perduto la conoscenza, gli chiede come sono andati i fatti e Martillotti, a fatica, gli racconta:

Verso le cinque di pomeriggio, mentre mi trovavo a Schiavonea nella cantina di Rosa Strigari, Rosa ‘a russa, intento a giocare a carte col figlio di costei a nome Ignazio, vincevo venti lire e le chiesi a Strigari, il perditore, che non solo non ha voluto aderire all’invito, ma ben presto veniva a diverbio e poi a vie di fatto colpendomi con un coltello a mollettone, producendomi le ferite per le quali sono qui

Sta evidentemente mentendo, forse per sottrarre gli altri amici ai fastidi delle indagini o forse per non lasciar pensare che tutto sia stato dovuto alla sua relazione adulterina e alla lite avuta con la moglie, oppostasi energicamente al progetto d’invitare per il Natale l’amante ed il marito. O forse la confusione è dovuta alla oscillante facoltà di critica, visto che è mezzo addormentato dall’anestesia.

Sì, deve essere proprio così, visto che i medici, in proposito, dicono che il paziente è in stato di grave shock. Poi aggiungono che questo stato è da mettere anche in correlazione con il sensorio ottuso, pupille midriatiche poco reagenti alla luce e all’accomodazione, estremità fredde, respiro dispnoico e mucose visibili di estremo pallore. Tutto causato dalla gravità della ferita che ha provocato la fuoriuscita di un’ansa del colon, che è perforato e dal quale fuoriesce materia fecale. Tutti adesso, sotto l’attento sguardo di una monaca, devono uscire dalla sala operatoria per fare eseguire l’intervento chirurgico, ma c’è da aspettarsi il peggio da un momento all’altro. Terminato l’intervento, si scopre che è stata recisa anche l’aorta addominale e Martillotti è moribondo.

Il coltello non doveva essere di grandi dimensioni, ma è stato maneggiato come per l’estrazione della radice di liquerizia, “a Schianciu” – dice il chirurgo, dottor Schettini, al Maresciallo ed al Vice Pretore, giunto anche lui. Alle ore 1,25 dell’11 dicembre, dopo essere riuscito con estremo sforzo, a raccomandare alla moglie i tre figlioletti, Francesco Martillotti muore e adesso si procede per omicidio volontario.

Intanto Carrano per la paura è corso a casa urlando alla moglie l’accaduto e poi si è messo a letto, ma i vicini, che hanno sentito tutto, lo costringono ad andare a mettersi a disposizione dei Carabinieri e così si scopre che Strigari e Martillotti non hanno litigato in una cantina, ma appena fuori dal “Quadrato” ed è lì che vanno i Carabinieri e trovano le tracce di sangue che consntono di ricostruire i fatti.

Ignazio Strigari si costituisce il 13 dicembre alle 11,30 e nel primo interrogatorio sostiene:

Martillotti, nella sua qualità di vincitore, avendo tentato di indurmi a uscire per l’acquisto del vino, mi ingiuriò con vari epiteti, oltre che “contadino” e “facchino”, poi mi ha minacciato. Lui stava seduto e alle domande di spiegazione di codesto trattamento, si sollevò e mi afferrò per il colletto, mi spinse violentemente e poi mi ha accompagnato sino al cancello per Rossano, dove mi ha schiaffeggiato e poi tirato oltre per una diecina di metri. Ad un tratto, come un prestigiatore, estraendo dai pantaloni un legno, mi vibrò due colpi sulla spalla destra, poi mi buttò a terra e mi afferrò furiosamente per il collo e, sotto la minaccia di morte, mi diffidò di non frequentare più la casa di Carrano. Martillotti ostinatamente si mantenne sopra di me, che non riuscivo a togliermelo di dosso. Estrassi un coltello e lo colpii all’addome, ma fu come se lo avessi solo punto. Martillotti mi lasciò ed io fuggii per la campagna

– Bene, allora adesso facciamo venire un medico per constatare i segni che ti ha lasciato Martillotti sulla spalla e sul collo – dice il Maresciallo Ilacqua e Strigari sbianca in viso.

Sottoposto a visita dal dottor Francesco Policastri, gli viene riscontrata soltanto una ecchimosi sulla clavicola destra, del tutto nuda, mancante cioè di ogni cenno sul grado di eventuale assorbimento del sangue travasato. Cosa significa? Intanto che non si tratterebbe di due colpi ma di uno solo e certamente non dovuto ad una bastonata. Poi di segni sul collo non ce ne sono e quindi Martillotti non lo afferrò per la gola, quindi i fatti non si svolsero come sostiene, quindi è solo una versione che cerca di accreditare la legittima difesa. E poi c’è il racconto di Carrano, che nel frattempo è stato arrestato per correità nell’omicidio, che lo smentisce su tutto.

Il 3 gennaio 1947 Strigari, interrogato dal Giudice Istruttore, ricomincia ad avvolgersi nelle spire delle sue ricorrenti contraddizioni.

– Allora, Strigari, come la mettiamo con la storia delle mani strette alla gola? Segni non ne avevi… – gli contesta il magistrato.

– In effetti si trattò di un tentativo… ma il peso del suo corpo mi schiacciava a terra

– E che mi dici della “puntura” che gli hai fatto col coltello? Con una puntura non si bucano gli intestini ed il buco di una puntura mi sembra troppo piccolo perché escano di fuori, o no? La verità è che il coltello glielo hai conficcato e quando hai sentito che era penetrato nelle carni hai spinto ancora più forte!

Io continuai a spingere, ma non volevo ucciderlo

Le indagini vanno avanti per stabilire il coinvolgimento di Carrano, ma rischiano di arenarsi a causa delle manovre difensive della madre di Strigari, che tenta di paralizzare la costituzione di parte civile della vedova, con l’offerta di lire trentamila, nonché da allettamenti esercitati in forza delle larghe disponibilità patrimoniali di Rosa ‘a russa. Allettamenti? Cosa intende il magistrato con questo termine? Intende che si è tentato di far risultare che la verità è quella raccontata dall’imputato attraverso il teste Pasquale Martillotti, presentatosi dai Carabinieri dopo tre mesi dal fatto, il 10 marzo 1947, asserendo:

Dominato da un’irrefrenabile ansia di giustizia, confesso che, profittando di un allontanamento della suora dalla sala operatoria, praticai un’iniezione e sollecitai il ferito, mio cugino, già tartassato da domande multiple, a dirmi la verità perché egli aveva una grave ferita e non era giusto che il colpevole se la passasse liscia. “Io lo stavo ammazzando” mi disse…

Poi vacilla e cede anche Francesco Carrano che, allettato dalla promessa di diecimila lire che Rosa gli fa arrivare in carcere dal condetenuto, già ammaestrato, Mario Quintieri, il 26 aprile 1947 ritratta e conferma la versione di Strigari. L’elenco degli allettati non è finito: ci sono altri due figuri, Francesco Zampino e Domenico Altimari, che, tenuti al guinzaglio da Quintieri, confermano la versione dell’imputato, ma le testimonianze, comprese la prima di Carrano resa al Maresciallo, quella del dottor Schettini, giunto a casa di Martillotti dopo pochi minuti e che raccolse le prime parole del ferito, e quella della suora che fece allontanare tutti i presenti dalla sala operatoria senza mai allontanarsi, stroncano questo maldestro tentativo ed i Carabinieri scoprono che Pasquale Martillotti ha reso la sua spontanea dichiarazione su mandato di Rosa ‘a russa, mandato affidato anche a Mario Quintieri.

L’istruttoria può essere chiusa ed il 6 dicembre 1947 la Sezione Istruttoria rinvia Ignazio Strigari al giudizio della Corte d’Assise di Rossano per rispondere di omicidio volontario con l’aggravante dei motivi futili. Francesco Carrano viene prosciolto per non aver commesso il fatto.

La causa si discute il 4 agosto 1948 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva che l’imputato, nell’interrogatorio in aula, avendo in modo tangibile ed esauriente reso innegabile la falsità dell’affermazione del teste Martillotti Pasquale in ordine alla pretesa confidenza ammissiva di reazione dello Strigari a violenza della vittima, ha precluso sostanzialmente ogni possibilità di influenza delle testimonianze di Zampino e Altimari sulla decisione della causa. Poi fa un lungo elenco delle contraddizioni e dei “non ricordo” in cui sono caduti i testimoni ammaestrati ed una dura reprimenda nei confronti del teste Pasquale Martillotti, cugino della vittima è bene ricordarlo.

Sfumate le falsità per la loro stessa grossolana costituzione, la Corte ripercorre tutte le fasi degli eventi e tutte le contraddizioni dell’imputato e osserva che nessun arbitrio umano, se non per consapevole profanazione della verità sgorgata dalla frase icastica dell’imputato: “io continuai ancora a spingere” potrebbe spezzare l’innesto della volontà come sforzo per raggiungere il fine. La “deliberata voluntas” come per un’esemplificazione scolastica, s’incide sullo sfondo di questa causa e pertanto la convergenza della volontà con la coscienza avveratasi per la soppressione di Martillotti, si prospetta come evento letale preveduto e voluto in dipendenza della propria azione. Ne deriva la volontà omicida e quindi la sussistenza dell’imputazione, ma esclude l’aggravante dei motivi futili. E spiega: Strigari, con la mentalità del contadino abituato al comportamento accogliente della madre, intenta quotidianamente alla gestione di una cantina, nella casa di Carrano si considerò come ospite a disagio di fronte alle significative cordialità tra gli adulteri, in armonia col… “minotaurizzato”; l’osservanza della regola sfavorevole al perdente apparve, nella repulsione di una servilità, immeritata. Quella ispirò i motivi dell’azione. Obiettivamente riguardati, tali motivi non presentano consistenza e appaiono, anzi, così inadeguati a determinare un evento letale, da spogliarsi di quella esiguità che richiederebbe, sebbene in minima misura e in rapporto a una media umana, la probabile propulsione per un’ingiuria verbale. Codesta meschina consistenza, ingrassata nella molteplicità dei disappunti mal sopportati, acquista un grado di efficienza che, sebbene stentatamente, finisce per superare il concetto della futilità nella sua pratica accezione.

Rigettata la richiesta di assoluzione per legittima difesa e, in subordine, la concessione dell’attenuante dello stato d’ira, la Corte concede le attenuanti generiche e passa a determinare la pena da irrogare a Ignazio Strigari: anni 20 di reclusione, oltre ai danni alle spese e alle pene accessorie.

Strigari ricorre in appello ed il 9 luglio 1952 la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro in parziale riforma della sentenza di primo grado, concede l’attenuante della provocazione e riduce la pena inflitta ad anni 12 di reclusione, di cui dichiara condonati anni 3. Un’annotazione a margine ci informa che la sentenza è esecutiva.[1]

Non sappiamo se le persone coinvolte nel tentativo di depistaggio delle indagini siano state sottoposte a procedimento penale.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.