MALTRATTAMENTI LETALI

Sono le 11,00 del 2 dicembre 1925 quando il fattorino si ferma davanti alla porta della caserma dei Carabinieri di Melito Porto Salvo per riprendere fiato e poi bussa. Appena il piantone apre la porta il fattorino gli consegna un telegramma e gli dice:

– È urgente, viene da Saline di Montebello – poi si gira e se ne va.

Il Maresciallo Maggiore Francesco Calabrò prende il telegramma dalle mani del suo sottoposto, lo apre, legge e bestemmia in silenzio:

Occorre vostra presenza presunto infanticidio stop Assessore Alatri

I militari mettono qualcosa sotto i denti in fretta e furia, poi vanno sul posto, dove ad attenderli c’è Michele Aulino, Vicebrigadiere della Guardia di Finanza, che porge al Maresciallo un certificato rilasciato alla trentacinquenne vedova Carmela Zumbo, da San Pantaleone di San Lorenzo, nel quale il medico dichiara deceduto un suo figlioletto, da qualche giorno nato, a seguito di maltrattamenti subiti.

– Dov’è la Zumbo? – chiede il Maresciallo al Finanziere.

– L’ho messa in stato di fermo nella nostra caserma, andiamo. Intanto vi racconto quello che so. Ieri pomeriggio incontrai sulla via in Saline una donna con un bambino morto in braccio. Mi disse che era morto da circa ventiquattr’ore e che non poteva seppellirlo per mancanza di medici che avrebbero dovuto rilasciare la dichiarazione di morte. Mandai l’Appuntato Vastano ad accompagnare la donna in casa della Guardia Municipale Verduci ed invitarlo a custodire nella sala mortuaria il cadaverino. Ho saputo poscia dall’Appuntato che, avendo egli richieste le generalità alla donna, costei in un primo momento si era qualificata per Candido Carmela, ma che in seguito ad intimidazione aveva fornito le vere generalità e per questo motivo ho pensato bene di fermarla in caserma

– Ah! Quindi non è accusata di infanticidio?

– No, non ancora, almeno!

Ma come! C’è un certificato medico che attesta la morte per maltrattamenti e l’hanno fermata per false generalità?

Carmela viene fatta entrare nella stanza dove ci sono il Maresciallo ed il Vicebrigadiere e, ignara del motivo per cui è stata fermata, dichiara:

La morte dell’infante è avvenuta naturale

– Sicuro? Il medico ha scritto che la morte è avvenuta in seguito ai maltrattamenti subiti dal bambino. Che cosa gli avete fatto?

Carmela ripete per ore sempre le stesse parole, mentre in un’altra stanza vengono ascoltati numerosi testimoni. Quando viene ascoltato il trentacinquenne, pluripregiudicato, Vincenzo Moschella è chiaro che è molto bene informato, forse troppo bene informato, sull’accaduto:

– Quando Carmela fu presa dai dolori di parto, mi ha fatto la confidenza che si sarebbe disfatta del neonato, tanto di sesso maschile o femminile

– Disfatta in che senso? – il Maresciallo vuole che Moschella sia chiaro.

Sopprimendolo

A Carmela l’accusa mossale da Moschella non va proprio giù e chiede di essere messa a confronto con lui e gli ribalta l’accusa:

Sei stato proprio tu a consigliarmi di strangolare il neonato!

– No, tu mi hai confidato che ti saresti disfatta del neonato, tanto di sesso maschile o femminile

Ahi! Le accuse reciproche sono sempre un pessimo segnale, forse Moschella e Carmela erano amanti o forse c’è sotto dell’altro?

Interrogata nuovamente, Carmela precisa:

Moschella mi consigliò di soffocare il bambino prima di ritornare al mio paese, ma non ci fu bisogno perché il bambino è finito per morte naturale

 

È forse un tentativo di salvare sé stessa e anche Moschella? Magari vedremo se è così.

Intanto viene ascoltata Giovanna Vadalà, la levatrice che ha assistito Carmela durante il parto e potrebbe essere la deposizione decisiva:

Verso le sette di mattina del 29 novembre venne a casa mia una donna, mandata da Vincenzo Moschella, per invitarmi ad accorrere in casa di costui dove trovavasi una donna assalita dai dolori del parto. Accorsi subito e trovai, effettivamente, una donna situata su di alcune sedie in procinto di sgravarsi e poco prima che la donna partorisse Moschella, alla presenza di costei, mi raccomandò di stare attenta perché la donna aveva concepito cattive intenzioni, nel senso di soffocare il nascituro, di qualunque sesso fosse. La donna, pur avendo accettato le raccomandazioni di Moschella, nulla rispose. Sgravatasi poscia di un maschio vivo e vitale ed in ottime condizioni di salute e di nutrizione, io non mancai di raccomandarle di astenersi dall’effettuare il suo proponimento delittuoso. Contravvenendo l’avrei denunziata, ma la donna nulla rispose. In compagnia di Moschella e della donna che era venuta a chiamarmi, mi allontanai e avendo incontrato nella via la Guardia Municipale Giovanni Verduci, pensai bene preavvisarlo delle intenzioni della donna, che in seguito seppi chiamarsi Carmela Zumbo. Anche Moschella raccomandò alla Guardia di accertarsi delle condizioni di salute del neonato e sorvegliare la donna. Nel pomeriggio del giorno successivo mi recai a visitare la puerpera e mi accorsi che il neonato era molto sofferente, con la faccia annerita e si lamentava continuamente. Domandai alla Zumbo se sapesse la causa delle sofferenze del bambino e mi rispose di ignorarle. Le domandai in che modo lo aveva alimentato e mi rispose che si era limitata soltanto a metterlo al petto. Io le osservai le mammelle e le feci constatare che non aveva ancora latte, che notoriamente comincia ad affluire al terzo giorno. Me ne andai e la mattina stessa venne a casa mia Moschella per informarmi che, ritiratosi a casa, aveva trovato il bambino morto. Io lo consigliai di avvertire il Sindaco.

Le cose per Carmela si mettono male e peggiorano quando depone la Guardia Verduci:

La mattina del 29 novembre incontrai sulla strada in Saline Vincenzo Moschella e la levatrice del luogo Giovanna Vadalà. Mi fermarono e mi avvertirono che in casa di Moschella si trovava una donna da poco partorita, la quale aveva manifestato proposito di disfarsi del neonato e mi invitarono a vigilare. Mi recai subito sul luogo e vidi la donna a letto che, su mio invito, mi fece vedere un bambino fasciato e in ottime condizioni di salute. Credetti opportuno avvertirla di non mandare in effetto il suo proposito delittuoso, contrariamente sarebbe andata in galera. La donna mi rispose “no, non l’uccido perché è maschio”. Io le soggiunsi “e se fosse stata femmina l’avreste uccisa?”. A questa mia domanda nulla mi rispose. Dopo averle ancora una volta raccomandato di stare attenta, mi allontanai. Nelle ore pomeridiane del primo dicembre si presentarono in casa mia la donna anzidetta col bambino morto in braccio, accompagnata da un Appuntato di Finanza, il quale mi invitò di recarmi al cimitero per custodire nella sala mortuaria il cadaverino, al che ottemperai subito. La donna fu tratta in arresto

– Mi sembra di capire che non conoscevate la donna…

No, non l’avevo mai vista a Saline. In un primo momento si qualificò come Carmela Candido e poscia come Carmela Zumbo. Da informazioni poscia avute, mi risulta che Moschella tiene in casa alle sue dipendenze una figliuola della Zumbo.

Ma le cose potrebbero ingarbugliarsi, e di molto, quando a deporre sono la sessantaquattrenne Vittoria Praticò, la donna che andò a chiamare la levatrice, la ventisettenne Francesca Strati e la tredicenne Maria D’Ascola:

In un giorno degli ultimi di novembre – ricorda Vittoria Praticò – si recò in casa di Vincenzo Moschella Carmela Zumbo, la di cui figliola trovavasi al servizio di Moschella. La Zumbo, dopo qualche giorno, venne assalita da dolori di parto, ragione per cui fu impedita di ritornare a San Pantaleone, sua residenza. Io assistetti allo sgravio, come pure la levatrice Vadalà, prontamente accorsa. Il Moschella durante lo sgravio della Zumbo stava fuori la porta e poscia, in compagnia della levatrice, si avviò verso la casa del commendatore. La sera successiva mi recai nuovamente in casa di Moschella e dalla Zumbo appresi che il bambino partorito il giorno precedente accusava disturbi che lei non sapeva spiegare e dopo pochi istanti il bambino cessava di vivere. In tale circostanza Moschella non si trovava in casa perché era intervenuto in un matrimonio che in quella sera si celebrava a Saline.

Carmela Zumbo si recò a casa di Moschella col pretesto di visitare la figlia – racconta Francesca Strati –. Dopo pochi giorni fu assalita dai dolori del parto e mi confidò che si trovava incinta per cui non poteva far ritorno al suo paese. Subito dopo si fece intervenire la levatrice e la Zumbo si sgravò di un bambino ben formato. La sera successiva allo sgravo fui chiamata d’urgenza da Moschella per accorrere in sua casa perché, essendosi egli ritirato a quell’ora da uno sposalizio al quale era intervenuto, aveva trovato morto il bambino della Zumbo. Accorsi e constatai che effettivamente il bambino era morto e la Zumbo dichiarò che era morto naturalmente.

Mi consta che Carmela Zumbo si recò in casa di Moschella col pretesto di visitare la sua figliola e poscia proseguire per Reggio. Ho saputo poscia che non ha potuto proseguire il viaggio perché assalita dai dolori del parto – dice Maria D’Ascola.

Il dubbio che comincia a serpeggiare è che forse Carmela voleva andare a Reggio per partorire e lasciare lì il suo frutto, ma fu costretta a partorire in casa di Moschella. Se da un lato suona molto strano che in un paese dove quasi nessuno la conosce si sia messa a sbandierare il proposito di sopprimere il nascituro, dall’altro è pur vero che il risultato dell’autopsia dice: l’infante è deceduto per asfissia, pur non essendosi potuto determinare i mezzi all’uopo adoperati. Ritengo però, con molta probabilità, che il mezzo adoperato dalla Zumbo Carmela per procurare l’asfissia del neonato sia dovuto a compressione tra il mento ed il fronto parietale, con otturazione delle narici. Tale mio giudizio trova riscontro nella presenza del sangue alle narici, nelle ecchimosi punteggiate alle meningi e congiuntive.

Allora cosa bisognerebbe pensare? Forse che Moschella ha convinto prima Carmela a sopprimere il frutto del suo seno e poi a convincere la levatrice che Carmela voleva disfarsi della creatura, di qualunque sesso fosse, e poi ancora anche la Guardia Verduci?

Nonostante gli inquirenti siano convinti che la versione dei fatti fornita da Moschella, dalla levatrice e dalla Guardia Verduci rispecchi la verità dei fatti, decidono di chiedere il rinvio a giudizio di Moschella per avere eccitato Carmela Zumbo a commettere il reato. Per Carmela Zumbo, invece, viene chiesto il rinvio a giudizio per avere, a fine di uccidere e per salvare l’onore proprio, causato la morte di un infante non ancora iscritto nei registri dello Stato Civile.

Il 25 maggio 1926 la Sezione d’Accusa di Messina ordina il rinvio a giudizio di Carmela Zumbo e dichiara non doversi procedere a carico di Vincenzo Moschella. La discussione della causa è affidata alla Corte d’Assise di Reggio Calabria nell’udienza del 17 gennaio 1927.

La Corte, letti gli atti e ascoltati i testimoni e le parti, ritiene che il bambino sia morto di morte naturale e assolve Carmela Zumbo.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.