
Verso le nove di sera del 12 luglio 1941 in contrada Virella del comune di Belvedere Marittimo si sentono echeggiare, a breve intervallo l’uno dall’altro, cinque colpi di fucile, poi i lamenti di un uomo. Nelle vicinanze ci sono alcune case coloniche ed i contadini che le occupano capiscono che le detonazioni provenivano dalla terra di proprietà di Ciriaco Cauteruccio e qualcuno si azzarda ad andare a vedere.
A terra c’è proprio Cauteruccio con la testa, il braccio destro, il fianco destro ed il dorso crivellati da pallini di piombo, ma è vivo. Allora si organizza una rudimentale barella e a braccia il ferito viene portato dal dottor Cascini, che è costretto ad asportargli l’occhio destro.
La mattina successiva il Pretore di Belvedere, accompagnato dai Carabinieri, va a visitare il ferito che, nonostante le gravi condizioni in cui versa, riesce a raccontare ciò che è successo la sera prima:
– Da tempo avevo concesso ad Ernesto Adornetti di innaffiare un suo fondo con l’acqua che defluisce attraverso il mio fondo. Poiché Adornetti ha abusato di tale graziosa concessione per avere, onde ingrandire il cunicolo di scolo delle acque, smottato il terreno nel di lui fondo, io, come è mio diritto, ho ostruito il solco attraverso cui l’acqua defluisce. Dopo poco è sopraggiunto Adornetti che, avuta la spiegazione sulla causa che mi aveva determinato a privarlo della concessione datagli, stando su di un rialzo di terreno mi ha esploso un primo colpo di fucile ferendomi al braccio destro, poi con un secondo colpo mi ha colpito in faccia e sono caduto a terra bocconi. Allora lui mi ha sparato ancora altri tre colpi…
Ernesto Adornetti si presenta spontaneamente ai Carabinieri e racconta la sua versione dei fatti:
– Confesso di avere sparato un colpo di fucile contro Cauteruccio perché, avendo egli protestato per la deviazione dell’acqua, ha cercato di colpirmi con la zappa…
Adornetti mantiene questa versione anche di fronte alle deposizioni dei testi Luigi Grosso, Cirneo Gagliardi e Albino Barbieri che assicurano di aver sentito cinque colpi, precisando che fra i colpi vi fu un certo intervallo, onde essi ebbero la sensazione precisa che il fucile venne ad intervallo esploso e ricaricato. E gli inquirenti aggiungono: Adornetti ha dovuto, per esplodere cinque colpi, ricaricare il fucile due volte con cartuccia doppia e la terza volta con una sola cartuccia, tanto è vero che il fucile sequestratogli all’atto della costituzione è stato trovato con una sola cartuccia scarica.
Adornetti non si scompone e, confermando sempre di aver sparato un solo colpo, dice:
– È stato l’eco che ha riprodotto il rumore dei colpi moltiplicandolo, onde quelli che ascoltarono dovettero per necessità ingannarsi…
Questa è anche la convinzione dei Carabinieri che aggiungono: i colpi erano stati due per la considerazione che con cinque colpi il corpo di Cauteruccio sarebbe stato addirittura maciullato.
Quando i Militari interrogano Maria Casella, parlandole dell’eco e del fatto che con cinque colpi Cauteruccio sarebbe stato “addirittura maciullato”, lei afferma che i colpi ascoltati furono davvero due.
Ciriaco Cauteruccio si salva e dopo cinquantatre giorni può tornare a lavorare, anche se con il viso deturpato dalle ferite e una benda di traverso che copre il vuoto dell’orbita oculare destra.
L’istruttoria viene formalmente chiusa il 14 settembre 1942 con la sentenza emessa dal Giudice Istruttore che rinvia Ernesto Adornetti al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di tentato omicidio.
La causa si discute il 13 gennaio 1943 mentre a migliaia di chilometri di distanza, nel gelo della steppa russa, comincia la drammatica ritirata del 4º Corpo d’Armata alpino in Russia.
Interrogato dal Presidente della Corte, Adornetti modifica la sua confessione e ora afferma:
– In effetti sparai due colpi: il primo in aria per intimorire Cauteruccio, che voleva colpirmi con la zappa, e poi un secondo colpo senza avere intenzioni omicide.
Poi la difesa chiede che venga esclusa l’intenzione omicida e sia concessa l’attenuante della provocazione, con l’applicazione del condono di legge e la condanna del suo assistito al minimo della pena. La parte civile chiede la condanna dell’imputato per il reato ascrittogli e il risarcimento dei danni. Il Pubblico Ministero chiede la condanna ad anni 16 di reclusione.
La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: la tesi della legittima difesa prospettata dall’imputato è stata abbandonata dalla sua difesa, che si è limitata a sostenere l’assenza di intenzione omicida e per escluderla si è sostenuto che i colpi sparati furono due e non cinque e che la direzione dei colpi non fu quella della persona del Cauteruccio, che ne fu investito perché i pallini si sparsero nel tragitto. I colpi invece furono cinque e non due. Lo affermò il Cauteruccio immediatamente dopo l’esplosione, mentre ancora giaceva bocconi sul terreno, grondando sangue. L’immediatezza della rivelazione è manifestazione di sincerità. Lo affermano i vari testimoni escussi. La teste Maria Casella, che in un primo momento aveva parlato di due colpi di fucile, nel pubblico dibattimento ha precisato che i colpi furono cinque, insistendo su questa circostanza e spiegando che prima parlò di due colpi perché suggestionata dal Brigadiere dei Carabinieri, il quale si convinse che i colpi erano stati due per la considerazione che con cinque colpi il corpo di Cauteruccio sarebbe stato addirittura maciullato. Il Brigadiere, a sostegno della sua impressione, parlò dell’eco che avrebbe moltiplicato il rumore dei colpi. Su questa versione è verosimile che la teste sia stata da lui suggestionata. È certo che ella nel dibattimento ha precisato che i colpi furono cinque e che non poté ingannarsi perché vicina ad Adornetti, tanto che ascoltò le parole scambiate tra i due.
L’imputato nel dibattimento ha sostenuto, per spiegare il fatto che nel suo fucile fu trovata una sola cartuccia, circostanza che dimostra come i colpi esplosi furono cinque, che essendogli caduto il fucile la cartuccia era potuta uscire dalla canna. Ipotesi, questa, strana.
La difesa ha detto, cercando di valorizzare l’argomentazione del Brigadiere, che se i colpi esplosi fossero stati cinque, il capo di Cauteruccio sarebbe stato crivellato dai pallini. E così fu. Il dottor Cascini disse che Cauteruccio presentava il capo crivellato di pallini, mentre altri erano disseminati nelle parti molli del braccio destro, fianco destro e dorso. È certo che non tutti i pallini si fermano sul bersaglio, molti sfuggono onde è pretenzioso l’argomento difensivo che tutti i pallini dovessero trovarsi sul capo della persona colpita. La quantità, enorme, di pallini che si conficcarono nelle carni del povero Cauteruccio, molti estratti e molti no, confermano la versione data dai testimoni. Chi spara cinque colpi consecutivi a breve distanza (7 metri) contro una persona e mira a parti vitalissime – al viso e al fianco –, sa bene che la carica a pallini minuti non può non avere intenzione omicida. La carica a pallini minuti è micidiale quando l’esplosione è a breve distanza e per poco Cauteruccio non soccombette. Fortuna per lui che nessun pallino penetrò nella scatola cranica.
Adesso la Corte passa ad esaminare il movente e le richieste delle parti: la causale fu proporzionata al delitto, allo spirito di un contadino incolto e quasi selvaggio per il quale la deviazione dell’acqua rappresenta un’offesa grave che supera quella all’onore. Dunque l’intenzione omicida non può escludersi, neppure se Adornetti avesse sparato due colpi, che ferirono Cauteruccio all’occhio, al braccio ed al fianco, data la breve distanza, la parte presa di mira, l’idoneità del mezzo a produrre l’evento letale nelle condizioni in cui fu usato. Sulla provocazione si osserva che il fatto efficiente della reazione di Adornetti fu l’ostruzione del solco di deflusso delle acque. È pacifico che Adornetti non aveva alcun diritto alla derivazione delle acque ed al deflusso di esse attraverso il fondo di Cauteruccio; è pacifico, altresì, che questi gli aveva, da tempo remoto, fatta la graziosa concessione verbale. Questa non consolidava alcun diritto nell’Adornetti che non poteva acquisire la servitù di acquedotto traverso il fondo di Cauteruccio per presunzione perché trattavasi di servitù discontinua, né il possesso era tutelabile perché la tutela di esso doveva avere a base la legittimità che difettava in quanto non era prescrittibile. Poiché Cauteruccio aveva il diritto di revocare la concessione e di ostruire il solco traverso cui defluivano le acque, dunque può egli dire “feci sed iure feci” (Ho agito così, ma in forza di un diritto. Nda). E se è così, mancando la ingiustizia dell’altro, da parte sua Adornetti non può invocare lo stato d’ira, alla base del quale deve stare l’atto ingiusto altrui.
Affermata la responsabilità dell’imputato, la Corte stima equo condannarlo alla pena di anni 10 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie. Poi, letto l’articolo 3 del R.D. 18 ottobre 1942, la Corte dichiara condonati anni 3 della pena inflitta.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.