IL CADAVERE SOTTO IL PONTE

Poco dopo l’imbrunire del 18 luglio 1949 il quarantunenne Domenico, Micuzzu, Cosentino, in stato di manifesta ubriachezza, cosa che gli capita ogni volta che va a Fagnano Castello, si avvia verso casa in contrada Martino e si ferma al tabacchino di Michele Ferrari per farsi dare un sigaro a credito.

Avresti potuto bere mezzo litro in meno e pagare il sigaro – gli dice il tabaccaio per rifiutarglielo.

Cosentino esce dalla rivendita e rientra subito, porgendo al tabaccaio un biglietto da mille lire, ricevendo il sigaro e novecentosettanta lire di resto, poi esce di nuvo e, traballando, continua il cammino verso casa.

È la mattina del 19 luglio. Il trainiere Angelo Avolio, unitamente a Gennaro Salerno, procede a bordo del traìno da Fagnano verso Cetraro. Oltrepassato il ponte sul fiume Magliuolo, si gira, volge distrattamente lo sguardo sotto il ponte, sobbalza, bestemmia e ferma la vettura. Sotto il ponte, nel centro del fiume, c’è un morto! Avolio si mette ad urlare in direzione del cantoniere provinciale Francesco Gordano, che è qualche decina di metri più avanti, attirando la sua attenzione.

– C’è un morto! C’è un morto! Corri in paese ad avvisare i Carabinieri!

Il Maresciallo Capo Vito Perri ed i suoi uomini arrivano prima che possono e constatano che il cadavere, appartenente in vita a Domenico Cosentino, giace sul fianco destro col viso rivolto verso il monte, proprio al centro del fiume, che scorre sotto di esso. Si può notare del sangue coagulato intorno al naso e alle orecchie e nessuna ferita visibile tranne un piccolo taglio sulla regione frontale destra, causato dall’urto su un piccolo sasso macchiato di sangue che si trova a pochi centimetri dalla fronte di Cosentino. Ricostruiti i movimenti della vittima nel giorno prima, Perri, sapendo che Cosentino già parecchie volte era caduto nei fossi laterali delle strade ma sempre era riuscito a raggiungere la sua abitazione, ipotizza che nessuno fece caso a lui che, traballante, si avviava all’uscita del paese e giunto al ponte, sito a circa due chilometri da Fagnano, poiché detto ponte in alcuni punti è completamente sprovvisto di parapetti e solo nel centro ha un parapetto dell’altezza di circa 40 centimetri e che traballando da una parte all’altra della strada urtò contro il basso parapetto precipitando sotto e rimanendo esanime sull’istante. Una disgrazia, confermata da due circostanze: la prima è che, rimosso il cadavere per l’ispezione del medico legale e perquisito, nella tasca interna della giacca viene trovato il portafoglio contenente cinque lire, in un taschino vengono trovate duecento lire e nella tasca destra dei pantaloni ci sono le novecentosettanta lire ricevute di resto dal tabaccaio, quindi l’ipotesi di un possibile omicidio a scopo di rapina è da scartare; la seconda circostanza è rappresentata dal referto del medico legale che esclude che possa esservi stata altra causa della morte fuorché la caduta. Caso chiuso, il povero Domenico Cosentino questa volta ha pagato a caro prezzo il suo amore per il vino paesano.

È il 7 settembre 1949, dal giorno della disgrazia è passato poco più di un mese e mezzo, quando nella Pretura di San Marco Argentano si presenta Teresina Ricca, la vedova di Domenico Cosentino, che dichiara:

Da tale Eugenio Balsano ho appreso che nel pomeriggio del 18 luglio mio marito si trovava nella bettola di Luigi De Pietro, ove giocava a carte con Carlo Terranova, Pasquale Crispo e Salvatore Mammoliti. Mentre stavano giocando, Pasquale Crispo si accorse che Terranova si stava illecitamente impossessando di una carta. Crispo, che sospettava Terranova come presunto autore del furto di un fucile in suo danno, gli disse “credi che sia il fucile che mi hai rubato? La carta non la pigli!”. Mio marito allora esclamò “Gioca, gioca zio Pasquale ché il fucile ha potuto pigliarlo, ma la carta non potrà pigliarla!”. A ciò Terranova esclamò “anche tu allora mi ritieni un ladro, ma ricordati che qua sotto non ci piove!”. Nel dire ciò fece un gesto significativo indicando il palmo della mano. Successivamente Crispo disse a mio marito che il giorno successivo sarebbe passato da casa nostra per parlare con lui e Terranova esclamò “sei sicuro di trovarlo?”. Mi consta che Crispo volesse trattenere in casa sua, forse per evitare liti, mio marito, ove gli aveva offerto anche un letto, ma mio marito volle ritornare a casa. Tale Fiore Tarsitano, invece, accompagnò per un tratto di strada Carlo Terranova, ma poi lo lasciò prima del ponte sul torrente. Faccio ancora presente che quella stessa sera Gaetano Giglio e Vincenzo Tarsitano, nel ritirarsi a casa trovarono sul ponte un cappello e lo presero per restituirlo a chi l’aveva perduto. Fatto un pezzo di strada incontrarono Carlo Terranova, al quale però nulla dissero del cappello perché egli aveva in testa il suo e lasciarono il cappello a Giuseppina Avolio, che abita proprio sulla strada, pregandola di consegnarlo a chi lo avesse richiesto. Anche Genoveffa Gallo, che stava aspettando il marito a circa sessanta metri al di là dal ponte per chi viene da Fagnano, vide venire verso di lei Carlo Terranova il quale, con tono alterato, le chiese cosa facesse in quel luogo. Ella rispose che aspettava il marito e Terranova andò via dicendo “ah!”, ma la Gallo mi disse di non avere notato nulla e di non avere sentito nulla. Anche i signori Pietro Salerno, Remo Salerno, Francesco Giglio e Francesco Esposito, facendo il percorso inverso a quello fatto da mio marito e da Terranova, hanno incontrato mio marito prima che giungesse al ponte e dopo hanno incontrato Terranova.

– Vostro marito andava spesso a Fagnano?

Ogni domenica soleva recarsi a Fagnano, ove beveva qualche bicchiere di vino, ritirandosi spesso ubriaco. Chiedo che la Giustizia faccia luce su questi fatti.

Teresina Ricca non si limita a denunciare i presunti indizi contro Carlo Terranova per accusarlo di avere ucciso suo marito, ma scrive anche alla Questura di Cosenza per sollecitare nuove indagini, minacciando di interessare della cosa il Ministero degli Interni ed a questo punto si mettono in moto anche i Carabinieri di Fagnano, che cominciano ad indagare interrogando le persone citate da Teresina. Genoveffa Gallo conferma di avere visto Carlo Terranova e di non avere sentito, né visto nulla di strano, ad eccezione del vento, che quella sera era fortissimo. Anche tutti gli altri confermano di avere incontrato Terranova.

Interrogato, il cantiniere Luigi De Pietro conferma la presenza nel suo locale di Domenico Cosentino e di Carlo Terranova, che giocavano insieme a carte e assicura:

Nessuna quistione era sorta tra i due, ma vi erano state solo delle parole tra Crispo e Terranova a proposito di una carta che Terranova avrebbe cercato di rubare. Il defunto Cosentino, che era compagno di Crispo, cercò di calmarli. Intervenni anche io, che sono genero di Crispo, e li misi d’accordo. Crispo disse che non aveva nessuna intenzione di accusare Terranova di furto, ma che tutto era stato uno scherzo, motivo per cui offrì mezzo litro di vino, che venne consumato dai presenti, compreso Terranova.

Pasquale Crispo conferma la dichiarazione di suo genero e precisa le parole che furono pronunciate durante la partita a carte:

Terranova cercava di prendersi l’asso di briscola, ma essendomene accorto gli dissi “tu cerchi di rubare la carta, allora sei tu che mi hai rubato il fucile”. Preciso che il fucile mi fu rubato circa tredici anni fa. Terranova si risentì ed intervenne Cosentino, che disse “il fucile hanno potuto rubartelo, ma l’asso non te lo rubano!”. Visto che Terranova stava andando in collera, dissi che avevo scherzato e, dato anche l’intervento di mio genero, pagai mezzo litro di vino per fare la pace. Nessuna minaccia profferì Terranova all’indirizzo di Cosentino.

I signori Salerno, che hanno confermato di avere incontrato Cosentino e Terranova, precisano:

Incontrammo il defunto Cosentino a circa settanta metri dal ponte e mentre ci passò vicino ci domandò se fossimo vivi o morti, ma ci astenemmo dal rispondergli per tema che ci prendesse a sassate dato lo stato di ubriachezza in cui si trovava, motivo per cui Cosentino, dopo di averci un po’ insultati, continuò la sua strada. Poi incontrammo Terranova, che si recava in campagna ed era con Fiore Tarsitano, a oltre trecento metri dal posto dove avevamo incontrato Cosentino.

Anche Gaetano Giglio precisa:

Mentre tornavo in campagna con mio cugino Vincenzo Tarsitano, giunti sul ponte trovammo un cappello, che credevamo appartenesse a Terranova, essendo passato poco prima di noi. Domandammo a Genoveffa Gallo, che aspettava il marito a circa cento metri dal ponte, se lo avesse visto passare e la Gallo rispose essere passato poco prima e se avessimo allungato il passo lo avremmo certamente raggiunto, come infatti avvenne a circa quattrocento metri dal posto ove la Gallo era seduta.

Poi i Carabinieri rintracciano Francesco Giglio ed il suo racconto, sebbene dica di non avere riconosciuto l’uomo che incontrò sia perché stava trasportando sulla spalla un fascio di legna che gli impediva parte della visuale e sia per il buio, potrebbe essere quello decisivo per stabilire cosa accadde sul ponte:

Ricordo solo di avere visto una persona ubriaca a circa trecento metri dal ponte, che se ne andava verso la montagna cantando.

– Avete visto sul ponte un cappello o qualche altra cosa?

Non ho visto nulla anche perché il fascio di legna mi impediva di vedere tutta la strada.

Perché potrebbe essere una testimonianza decisiva? Perché il Maresciallo Perri è convinto che Giglio, avendo incontrato una sola persona, evidentemente incontrò Carlo Terranova, che da pochi metri si era distaccato da Vincenzo Tarsitano per continuare il cammino verso la sua abitazione, mentre non incontrò affatto Domenico Cosentino, che quando passò Giglio doveva essere già caduto sotto il ponte. Infatti il teste De Rose Domenico, che era poco avanti al Giglio lo incontrò a circa cinquanta metri dal ponte ed il Giglio avrebbe dovuto incontrarlo poco dopo il ponte.

Carlo Terranova viene fermato e, interrogato, conferma i fatti esposti dal cantiniere e da Crispo, confermando anche di essere stato in compagnia di Fiore Tarsitano fino ad un centinaio di metri prima del casello stradale, poi continua:

Non ricordo di avere incontrato persone per strada, o almeno non ne ricordo i nomi perché ce ne erano parecchie che andavano a passeggio. Ricordo solo di avere incontrato Genoveffa Gallo e sua figlia, sedute dopo il ponte e domandai loro cosa facessero, avutane risposta che attendevano il marito, continuai la mia strada

Tale Tranquillo Servidio in paese va dicendo che la sera del 17 luglio, tornando da Cetraro a Fagnano, verso le 21,30 ha visto a circa 200 metri dal ponte due persone, una armata di bastone, dando così modo alla fantasia di sbizzarrirsi. I Carabinieri lo rintracciano e lo interrogano:

Credo che fossero Terranova e Cosentino, non potevano essere che loro perché passando dal ponte non ho visto per terra il cappello di Cosentino, motivo per cui a quell’ora doveva essere ancora vivo

Il Maresciallo Perri, però, smonta la tesi di Servidio con una domanda:

Mentre tornavate da Cetraro qualche macchina vi ha oltrepassato?

– Sì, durante la salita, precisamente era la macchina del barone Campagna di San Marco Argentano.

Questa circostanza taglia la testa al toro perché, come il Maresciallo ha già accertato, la macchina del barone venne fermata per errore al Baraccone da Gaetano Giglio, il quale aveva già raccolto il cappello, lo aveva consegnato a Giuseppe Amatuzzi e quindi, quando passò Servidio, il povero Cosentino era già morto.

Siamo ormai arrivati ai primi di aprile del 1950 ancora non si è concluso niente. Teresina Ricca, la vedova di Domenico Cosentino, si presenta dal Maresciallo Perri e riferisce che Ademo Amatuzzi si è dichiarato disposto a dire la verità circa la morte di suo marito e che, qualora lo si fosse desiderato, è disposto a recarsi in caserma per essere interrogato. Ovviamente Perri lo convoca seduta stante e Amatuzzi racconta che verso le 16,30 del 17 luglio 1949, assieme alla sorella Ines, usciti dalla casa della madre ove si teneva festa per la promessa di matrimonio di altra loro sorella, si recarono in un terreno da loro tenuto a terragera, sito in contrada Fuorilardo. Di ritorno dal terreno, anziché rifare la strada fatta all’andata, cioè la via provinciale, presero la via più breve e cioè seguirono il condotto che porta l’acqua alle vasche della centrale elettrica e dalle vasche presero un viottolo che, attraverso i castagni, scende direttamente sul ponte di Migliuolo. Giunti verso le 19,30, a circa sessanta metri di distanza dal ponte, intesero delle voci, che riconobbero per quelle di Domenico Cosentino e Carlo Terranova, e capirono chiaramente che stavano litigando. Non sapendo cosa stesse succedendo e per tema che andassero a finire anche loro in qualche pericolo, ritornarono sui loro passi, uscendo sulla provinciale a circa cinquecento metri dal ponte. Davanti a questa deposizione, il Maresciallo rintraccia Carlo Terranova e lo arresta. Interrogato, conferma che non incontrò Cosentino lungo la strada dopo aver salutato Fiore Tarsitano, a circa cento metri dal ponte, e che l’unica persona incontrata è stata Genoveffa Gallo, circa cento metri dopo il ponte, seduta ad aspettare il marito. Poi vengono interrogati nuovamente tutti i testimoni e tutti confermano le precedenti dichiarazioni, ma vengono ritenute più probanti quelle rilasciate da Ines Amatuzzi e suo fratello Ademo, che nel frattempo ha raccontato ad alcuni amici di aver visto Terranova colpire con un bastone Cosentino, prenderlo per un braccio e lanciarlo giù dal ponte, perciò Terranova resta in carcere con l’accusa di omicidio volontario.

L’avvocato Raffaele Baffa, difensore di Terranova, non ci sta ed il 22 aprile 1950 scrive al Giudice Istruttore per confutare le accuse contro il suo assistito e puntare il dito contro i fratelli Amatuzzi: perché i due Amatuzzi non hanno seguito la via normale, che è la più comoda e la più agevole, per passare dal ponte? Perché hanno preferito attraversare il bosco? Quale via hanno seguito? Occorre che la si faccia tracciare, percorrendola, prima dalla sorella e poi dal fratello o viceversa. Con chi si sono incontrati i due Amatuzzi? Non va dimenticato che sulla strada, in quella sera, sono passate diverse persone. La richiesta viene accolta e una settimana dopo si procede all’ispezione dei luoghi con i fratelli Amatuzzi e l’imputato. L’Amatuzzi ci conduce sullo scosceso pendio della collina che domina il ponte e si ferma in un punto che è a circa cento metri di distanza in linea d’aria dal ponte, con un dislivello di circa ottanta metri. La visuale tra tale posto e il ponte allo stato è sgombra, ma attraversata da rami di alcuni alberelli di castagno, le cui foglie sono in embrione. È da ritenere, però, che all’epoca del fatto, dato lo sviluppo delle foglie, il ponte non era visibile anche perché, come ci fa rilevare il Maresciallo, al di sotto degli alberelli, all’epoca del fatto vi era un’adulta pianta di castagno. Risalendo però il pendio per una decina di metri, la visione del ponte si ha completamente sgombra e si può benissimo identificare una persona che si trovi sul ponte o che lo attraversi, ma non si distinguono le parole, sebbene pronunciate a voce molto alta. Ademo viene fatto allontanare e l’esperimento viene ripetuto con Ines con identici risultati, con la differenza che indica un viottolo diverso da quello indicato dal fratello quando si allontanarono dal posto. “Abbiamo fatto due vie diverse” si giustifica. Poi il Giudice Istruttore termina: si dà atto, infine, che i viottoli indicati dai due Amatuzzi sono appena accennati e si svolgono su terreno impervio e quasi inaccessibile.

Poi il Giudice Istruttore interroga Ademo e Ines sotto giuramento e quando, contrariamente alla prova pratica, confermano di avere udito le voci di Terranova e Cosentino e di avere capito quello che si dissero, li fa arrestare per falsa testimonianza. Interrogati dopo qualche ora, i due confermano e vengono portati nel carcere di Cosenza. Il 2 maggio Ines ritratta e dice:

Signor Giudice, la verità è che a me e mio fratello quella sera sembrò di riconoscere dalla sola voce Terranova, ma non posso dire che si trattasse proprio di lui. Era l’imbrunire e non potevamo riconoscere le persone sul ponte… non so come mio fratello mise in giro la voce… sono stata in buona fede

Dalla voce trassi la convinzione che si trattasse di Terranova, se poi i sensi mi hanno ingannato, non posso affermarlo. Del resto non ho mai detto di averlo riconosciuto alla vista, né ho aggiunto altri particolari, pertanto non ritengo di avere detto il falso. Ho esternato, semplicemente, un mio convincimento. Se ho detto qualche cosa in pubblico dovevo essere in tale stato di ubriachezza da non capire nulla – e no caro Ademo, così è troppo facile! Quando si viene interrogati non si devono riferire “convincimenti”, ma fatti.

Comunque, la ritrattazione vale loro la libertà.

Il 5 maggio il Giudice Istruttore Raffaele Giannuzzi firma l’ordinanza di scarcerazione di Carlo Terranova perché sono venuti a mancare a carico dell’imputato indizi sufficienti di reità in ordine al delitto ascrittogli di omicidio. Ma Teresina Ricca non si arrende e chiede nuovi accertamenti sul cadavere di suo marito per stabilire che la ferita sul cranio è stata provocata da corpo contundente e non da caduta. Riesumata la salma, i periti concludono che la morte è dovuta a commozione cerebrale e bulbare per caduta da grande altezza, essendosi estesa, probabilmente, l’azione violenta al pavimento del IV° ventricolo.

Adesso non possono esserci più dubbi ed il 31 marzo 1951 la Sezione Istruttoria chiude l’istruttoria dichiarando non doversi procedere contro Terranova Carlo perché il fatto non sussiste.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.