IL CALZOLAIO A TEMPO PERSO

In Via Gaetano Argento numero 4 a Cosenza, nel 1913, c’è la bottega – cantina di Francesco Canonaco, che si compone di due stanze contigue di media grandezza. La prima, adibita alla vendita dei generi di negozio, serve anche da cucina e riceve luce dalla porta di entrata. Un grande armadio a vetri la divide quasi a metà, mentre un grosso pancone, altri mobili ed utensili la ingombrano, tanto da permettere appena il passaggio per attraversarla ed accedere alla seconda stanza, che serve da deposito e sala da giuoco. In questa seconda stanza, a livello superiore della prima, si entra da una piccolissima porta in un angolo, stretta da permettere il passaggio di una sola persona e salendo due gradini. Questa stanza riceve luce da una finestra che si apre sui giardini sottostanti; vi è fontanino da acqua e nello spazio della stanza si vedono due divisioni in muratura che formano due piccoli vani, l’uno per il getto, l’altro per ripostiglio, che rendono angusta la camera. Vi si trovano cinque tavoli, panchette, sedie, sacchi pieni di cereali ed altri oggetti ed utensili, i quali quasi non permettono di circolare liberamente nella stanza.

Nel pomeriggio del 16 febbraio 1913 ad un tavolo stanno giocando Francesco De Rose, Raffaele Azzinnari, Francesco Carbone, Gaetano Filice, Luigi Cundari e Raffaele Gareri, soprannominato ‘u catanzarise; ad un altro tavolo giocano Antonio Sirianni, Antonio Bosco, Francesco Petra e Cesare Stella. Al primo tavolo il gioco finisce e si fa il solito padrone e sotto. Mentre si distribuiscono le carte, Raffaele Azzinnari dice:

Se esco io padrone a Gareri non lo faccio bere! – cose che si dicono sempre scherzosamente.

Invece padrone esce Gareri e lascia bere solo Filice e Cundari. Poi, nel tracannare l’ultimo bicchiere di vino, Gareri sbotta:

‘U catanzarise non deve mai farsi prendere per fesso perché più ha il cuore buono e più è maltrattato! – di certo riferendosi alla battuta di Azzinnari.

Sei di Catanzaro e questo basta! – replica, ironicamente, Azzinnari e i due stanno per venire alle mani, ma gli avventori si mettono in mezzo ed evitano guai.

In questo frattempo anche i giocatori dell’altro tavolo hanno finito e, allo scopo di far completamente rappacificare i due litiganti, propongono di fare un padrone e sotto tutti insieme, mettendo un soldo ciascuno per comprare il vino. Tutti accettano tranne Gareri, che dice:

Io gioco se escludiamo Stella, che non ha partecipato al primo padrone.

Se la proposta per te è inaccettabile, te ne puoi anche andare – gli dica Azzinnari con tono risentito.

Perché mi vuoi escludere se tutti mi vogliono? – sbotta Stella.

Gareri, che sta con una mano nella sacca, si alza e si avvicina alla porta di uscita, poi dice:

Allora volete pigliarmi tutti per fesso! – quindi arretra di due passi e continua – Siete tutti carogne! – all’improvviso toglie la mano dalla tasca e tutti vedono cha ha una rivoltella. È un attimo e poi parte un colpo contro Stella che resta mortalmente colpito, stramazzando a terra senza un lamento, ma a Gareri non basta e gliene spara contro altri due, uno dei quali colpisce in bocca il cantiniere Canonaco, perforandogli un labbro e facendogli saltare un molare.

Dopo un attimo di smarrimento, Raffaele Azzinnari si lancia addosso a Gareri per disarmarlo ed evitare, così, eventuali altre vittime, ma durante la colluttazione parte un altro colpo che colpisce, fortunatamente solo di striscio, lo zigomo sinistro di Azzinnari, gli buca la falda del cappello e si nella stanza, chissà dove. A questo punto ‘u catanzarise, libero da altri impedimenti, scappa zigzagando in mezzo a tutto ciò che c’è nelle due stanze, sparando in aria gli altri due colpi rimastigli.

Sul posto arrivano subito il Delegato di Polizia Ernesto De Marco ed il Capitano dei Carabinieri Alessandro Vattani, con un cospicuo numero di agenti e cominciano le indagini.

Il cadavere di Stella Cesare si trova a sinistra di chi entra, disteso supino sopra due sacchi di cereali. Il cadavere è completamente vestito con paletot grigio scuro, giacca e gilè nero, camicia col colletto inamidato, pantalone grigio a strie, scarpe di cuoio giallo a bottoni. Gli abiti sono in perfetto ordine, nessuna lacerazione presentano, né segni di violenza. Apparentemente il cadavere sembra di un giovane che ha passato i venti anni, ha baffi lunghi, barba rasa e capelli lunghi radi, come i baffi di color castagno oscuro. La testa è tutta intrisa di sangue, che imbratta il collo e gli abiti sottostanti; il sangue si scorge più copioso nelle regioni temporali destra e sinistra. Sul pavimento, a pochi centimetri dalle ginocchia del cadavere, si scorge una gran pozza di sangue liquido, il che fa ritenere, senza dubbio, che in quel sito sia stramazzato Stella Cesare appena colpito e che successivamente sia stato rialzato dagli astanti e adagiato sui sacchi vicini.

La morte, come è facile immaginare, è stata causata dal solo proiettile che ha colpito Stella al padiglione dell’orecchio sinistro, ha attraversato la massa encefalica in linea quasi retta ed è uscito un centimetro al di sopra del padiglione dell’orecchio destro.

Ma come è possibile che per un invito da amico ad amico, un uomo ha perso la vita in modo così atroce e altri due sono salvi per miracolo? Ci deve essere dell’altro dietro, forse del rancore per qualche fatto personale. E secondo la deposizione di Antonio Sirianni è proprio così:

Tra Cesare Stella e Raffaele Gareri non correvano buoni rapporti, per come ebbe a dichiararmi un giorno lo stesso Gareri, il quale si espresse nei seguenti termini: “Cesare, con tutto ciò che mi è tanto amico, pure cerca di sedurre mia sorella. Ma io, se mi capita, l’ammazzo!”.

Bisogna trovare conferme, ma adesso è necessario arrestare l’omicida. Non ci vuole molto a capire che con tutta probabilità si è rifugiato a Catanzaro e vengono avviate le ricerche anche lì. La mattina dopo, infatti, arriva il telegramma cha annuncia l’arresto di Raffaele Gareri, sorpreso in casa del padre con ancora in tasca la rivoltella Constable a percussione centrale, carica, e altre tre cartucce. Trasferito a Cosenza, Gareri racconta la sua versione dei fatti:

Non so io stesso darmi spiegazione dell’avvenimento che mi condusse in queste carceri. Io avevo giuocato tre partite con Raffaele Azzinnari e altri, mentre Cesare Stella, mio amicissimo, più di un fratello, giuocava in un altro tavolo. Nella terza partita fui io padrone e senza alcun risentimento, per scherzare, lasciai all’ombra tre giocatori, tra cui Azzinnari che, sempre per scherzo, in precedenza mi aveva detto che se fosse stato padrone mi avrebbe lasciato all’ombra. Quando vide che lo avevo lasciato senza bere, cominciò ad insultarmi, mi disse che non sapevo stare al tavolo e che ero buono soltanto per andare a buttarmi da un dirupo. Lo pregai di desistere, ma egli sempre più incalzava. Intanto io, che avevo lasciato all’ombra quei tre, volevo fare un’altra partita perché costoro potessero bere. Ciò non si volle dagli altri, i quali avrebbero voluto che al giuoco pigliassero parte quelli che erano rimasti dell’altro tavolo e che io non ricordo quanti erano, né chi erano. Rammento solo che vi era Cesarino Stella. Io ciò l’intesi come una prepotenza, non sapevo chi fossero e mi opposi. Allora Azzinnari cominciò a dire “ti piglio a schiaffi” e fece mossa per alzarsi ed insieme a lui qualche altro della compagnia. Io non ebbi la calma di stare inerte, estrassi la rivoltella e sparai soltanto due colpi in aria all’impazzata, più per fare minaccia che per ferire e fu una vera accidentalità se qualcuno rimase colpito. Mi diedi alla fuga credendo che nulla fosse successo, portando con me l’arma, ma senza sparare altri colpi. Anzi, dietro di me, quando uscivo dalla porta, fu sparato un colpo. Io vidi bene chi esplose il colpo, ma non voglio dirlo, né giammai lo dirò, tanto lo negherebbero tutti quelli che si trovavano nella cantina e che sono amici tra di loro. Io ero il solo forestiero e non fa meraviglia se mi sono tutti contrari.

– Tu quel nome me lo devi dire a tutti i costi! – urla il Giudice Istruttore, tirando un violento pugno sulla scrivania e dopo un po’ ottiene la confessione.

Dal momento che Vostra Signoria insiste nel sapere chi ha sparato contro di me, io dico che è stato Gaetano Filice, ma contro di lui non voglio dare querela, anzi mi son pentito di averlo nominato – poi si ferma a riprendere fiato e continua –. Io ho detto la verità, ma sono sicuro che tutti negheranno. Io andavo per abitudine armato di rivoltella, qualche volta però, non sempre. L’arma l’avevo comprata a Cosenza tre o quattro mesi fa… mi sembra di averla comprata da Gallo, non vorrei però che costui passasse per colpa mia qualche guaio

– E i soldi per comprare la rivoltella come li hai avuti? Te li ha dati tua madre che ti sostiene sempre?

Non è vero che il denaro necessario me lo ha dato mia madre… io lavoravo e guadagnavo tanto da potermi permettere qualche spesa… ritengo che siffatta insinuazione sia opera di Francesco Canonaco, almeno questa è la mia supposizione

– Da come hai raccontato i fatti sembri quasi un angioletto perseguitato da tutti, ma da quello che leggo sul tuo certificato penale si direbbe che sei una testa piuttosto calda… casa di correzione, maltrattamenti a tua moglie…

Fino all’età di quattordici anni sono stato rinchiuso in una casa di correzione, ma ho sempre tenuto buona condotta e non è affatto vero che io maltratti mia moglie, sono infamie che dicono quelli che mi vogliono rovinare… vi è stato, tra me e mia moglie qualche piccolo incidente, come avviene in tutte le famiglie di scarsi mezzi. Io, del resto, sono un po’ nervoso e spesso grido senza ragione

Qualche giorno dopo si presenta in Tribunale il cantiniere Francesco Canonaco e consegna due bossoli di rivoltella, dicendo:

Esibisco alla giustizia due capsule di rivoltella che io, dopo molte ricerche, ed avendo spostato tutti gli oggetti della mia bottega, ho rinvenuto per terra – la cosa è strana perché le rivoltelle trattengono i bossoli senza espellerli automaticamente, ma nessuno sembra farci caso. E gli altri che ha esploso Gareri dove sarebbero? Poi il Giudice Istruttore gli chiede:

– Gaetano Filice ha sparato contro Gareri?

Posso assolutamente escludere che qualcuno di quelli che si trovavano nella cantina abbia esploso contro Gareri colpi di arma da fuoco. Nessuno estrasse armi, né lo avrebbe potuto fare perché il fatto si svolse in un batter d’occhio ed ognuno pensò alla propria salvezza.

– È vero che Azzinnari e qualcun altro stavano per alzare le mani su Gareri?

È assolutamente falso che Azzinnari e gli altri abbiano usato violenza contro Gareri. Sarebbe stata una fortuna se ciò fosse avvenuto perché io, al primo sentore di alterco, sarei intervenuto ed avrei evitato quella scena di sangue. Gareri sparò quando nessuno se lo aspettava, né vi era ragione

Pesantemente tirato in ballo, Azzinnari viene nuovamente ascoltato:

Quanto ha affermato Gareri è tutto un contenuto di menzogna perché io nessuna parola offensiva o di minaccia rivolsi al suo indirizzo prima che commettesse le escandescenze. Non è vero che qualcuno di noi abbia inveito contro di lui. Egli, per cercare una magra giustificazione dei delitti, senza alcun motivo perpetrati, ha inventato fatti che non hanno nessuna sussistenza.

– Gareri sostiene che Gaetano Filice cacciò la rivoltella e gli sparò un colpo…

Non è vero che Filice abbia estratto la rivoltella ed abbia sparato contro Gareri!

Raffaele Gareri, il 23 luglio 1913, viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario in persona di Stella Cesare; mancato omicidio in persona di Canonaco Francesco; mancato omicidio in persona di Azzinnari Raffaele; porto abusivo di rivoltella.

La causa si discute il 10 febbraio 1915 e la difesa, rappresentata dall’avvocato Pietro Mancini, presenta alcuni testimoni per fornire la prova che l’imputato è un ammalato di mente epilettico e che fosse tale nel momento in cui commise i reati per cui è a processo. Ascoltati i testimoni, la Corte dispone che l’imputato sia sottoposto a perizia psichiatrica e l’incarico viene affidato ai dottori Gerardo Ansalone, alienista del manicomio di Nocera Inferiore e Vittorio Clausi Schettini, medico chirurgo in Rogliano. Il dibattimento viene sospeso e Gareri trasferito nel manicomio di Nocera Inferiore.

Dopo più di due anni di osservazione, i periti concludono che l’imputato porta segni sicuri di degenerazione psico – organica; le numerose note antropologiche degenerative, la forte esagerazione dei riflessi profondi e la loro diseguaglianza nel campo somatico e la anomala evoluzione nel campo psichico, rivelatasi sin dai primi anni dell’infanzia, caratterizzano tutto il complesso degenerativo – morboso. Mentre dalla sua intima struttura psichica, cioè dalla ipertrofia egocentrica della personalità, e dalla anomala evoluzione sentimentale, donde il carattere prepotente e la completa assenza di sentimento morale, egli è spinto incoercibilmente ad atti criminali, una condizione nevrotica istero epilettoide, associata alla degenerazione criminale, ne rende ancora più fiacchi i già deficienti poteri inibitori, rendendo instabilissimo l’equilibrio psichico del nostro periziando. In lui è presente un elemento di sicura morbosità, l’associazione della delinquenza colla istero – epilessia. Tale associazione dà alle sue reazioni quella impronta di violenza morbosa, strettamente legata alla esistenza di un peculiare dinamismo psichico per il quale il suo meccanismo di determinazione volontaria è alquanto diverso da quello degli individui normali. La abnorme eccitabilità corticale e la grande deficienza di poteri inibitori rendono alquanto ristretto il campo di determinazione cosciente volontaria e ciò è il prodotto di una morbosità costituzionale immutabile.

Da queste parole si potrebbe intendere che Gareri sia incapace di intendere e di volere, o almeno lo fosse nel momento in cui avvennero i fatti, ma i periti chiariscono: al momento in cui commise i reati a lui ascritti non era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti. Tenuto conto, però, che alla costituzione anormale criminale è associata anche una condizione istero – epilettica, per cui Gareri è non solo delinquente ma un delinquente istero – epilettico, si deve ritenere che nel momento in cui commise i reati imputatigli, egli era in uno stato tale da scemare grandemente l’imputabilità, senza escluderla. Da ultimo, essendo nel Gareri associati insieme il carattere criminale, l’impulsività, l’eccitabilità e l’aggressività proprie degli istero – epilettoidi e quindi la tendenza ad atti criminosi gravi dietro stimoli anche lievi, riteniamo che egli non possa essere rimesso in libertà senza pericolo per gli altri.

È il 26 giugno 1915 e Raffaele Gareri viene abbandonato a Nocera Inferiore, ospite indesiderato. Tenta anche la fuga e il Direttore del manicomio si affretta a scrivere al Prefetto di Cosenza per lamentare la situazione e ribadire che non può più restare lì, non esistendo nel manicomio una vera e propria sezione per criminali e che quindi non è possibile garantire una rigorosa custodia.

Intanto l’Italia è entrata in guerra e la discussione della causa, di rinvio in rinvio, slitta al 22 novembre 1919.

Raffaele Gareri viene giudicato colpevole dei reati ascrittigli e condannato per tutti i reati addebitatigli, considerata la semi infermità mentale, ad anni 20 di reclusione, dei quali la Corte dichiara condonati anni 1 e mesi 4, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.

Il 23 febbraio 1920 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.